Abbiamo assistito alla beatificazione di Giovanni Paolo II.
La prima domenica di maggio di quest’anno 2011. Abbiamo visto 700 mila persone al Circo Massimo per una veglia che preludeva una cerimonia seguita da tutto il mondo. Tutto si è svolto a Roma stupendoci per l’organizzazione e la sicurezza.
Un popolo internazionale che, pur di partecipare ha affrontato anche sacrifici considerevoli. Un miracolo? Forse il più raro ed unico, sotto gli occhi di tutti, che ci ha fatto sentire la sua presenza con il suo corpo ed il suo volto anche se Lui era tornato alla casa del Padre. Quest’uomo che era riuscito ad avvicinare cielo e terra insegnando un modo di vivere la fede nella società moderna.
Una vita iniziata in Polonia, la sua patria, dove svolgeva il suo lavoro come professore di morale.
La sua pietà, la sua sapienza, le sue lezioni stabilivano contatti personali stimolando lo studio della teologia morale.
Molti erano gli incarichi che lo assorbivano fin quando, a trentotto anni venne nominato vescovo ausiliario di Cracovia e non poté più tenere le sue lezioni per assumere la responsabilità della diocesi.
Una personalità unica. Ogni sua celebrazione era preceduta dal Silentium di raccoglimento. Durante le visite pastorali in una parrocchia o una celebrazione in qualche chiesa non parlava mai, non perdeva tempo a conversare: era sempre raccolto, meditava e pregava.
nella celebrazione delle Messe, dava importanza ai vari gesti per spiegare il significato simbolico che quei gesti volevano esprimere. Concepiva le Messe con un carattere comunitario, il popolo di Dio per Cristo ed in Cristo. La Messa divenne il centro della sua vita, l’inizio della sua giornata.
La cappella privata era il luogo del suo particolare incontro con Dio e li ascoltava ciò che il Signore gli diceva per il suo lavoro quotidiano che era per Lui una continua preghiera.
Da giovane Vescovo accolse con entusiasmo l’annuncio del Concilio per iniziativa di Giovanni XXIII accogliendo senza paura tutte le novità.
Per Monsignor Wojtyla il Concilio iniziato l’11 ottobre 1962 era l’occasione per fare nuove esperienze pastorali e sociali, per incontrare grandi studiosi ed esperti. Monsignor Wojtyla era un vescovo che non aveva paura del mondo e riuscì a prevedere tempi nuovi per la Chiesa in Polonia, con orientamenti opportuni, con l’esperienza in difesa dei diritti dell’uomo, e il diritto alla libertà di coscienza o di confessione.
Essere vissuto sotto un regine totalitario, l’aveva rafforzato nelle sue prospettive ecclesiali e sociali rendendolo un interlocutore per le altre Chiese e per il mondo sociale attuale.
Monsignor Karol Wojtyla divenne il punto di riferimento dei diversi gruppi sociali polacchi. Sostituendo le rivendicazioni dei lavoratori. Proteggeva i giovani, gli intellettuali ai quali era vietato di frequentare la Chiesa e poi i dissidenti e i perseguitati, in nome della dignità della persona umana e per la sopravvivenza della sua Patria.
I suoi viaggi lo aiutavano a conoscere la realtà dei diversi continenti, ma soprattutto furono l’occasione per conoscere gli uomini in situazioni diverse e a prepararsi ai compiti che avrebbe svolto come pastore della Chiesa universale.
Dopo la morte di Papa Luciani tutto il mondo interrogava Dio: perché? Una morte avvenuta trentatré giorni dall’elezione. Cosa significava questa morte, per la Sede di Pietro? Un nuovo conclave, e all’ottava votazione Karol Wojtyla fu eletto con 99 voti e prese il nome del Pontefice defunto.
Il primo discorso dopo l’elezione è rimasto nei cuori d tutti “Aprite le porte a Cristo, non abbiate paura”…..Quelle parole volevano infondere forza e coraggio in modo particolare alle nazioni ridotte in schiavitù e alle quali Giovanni Paolo II annunciava la libertà.
Quella frase è diventata il programma della Chiesa, il programma del pontificato che ancora oggi non ha perduto nulla della sua attualità e fa parte integrante della missione della comunità ecclesiale. E’ la via della Chiesa, l’uomo anima e corpo, verso verità e libertà.
|