La Confederazione Sindacale Internazionale è un organismo che rappresenta 168 milioni di lavoratrici e lavoratori, riunendo 311 organizzazioni nazionali di 155 Paesi. In Italia vi aderiscono Cgil, Cisl e Uil. I diritti sindacali sono dei diritti umani al lavoro universalmente riconosciuti; essi sono definiti e garantiti in due Convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (la n. 87 e la n. 98), ratificate rispettivamente da 148 e 158 degli Stati appartenenti all’Oit, su un totale di 181 Paesi nel mondo.
Ogni anno la Confederazione Sindacale Internazionale pubblica un Rapporto sulle violazioni dei diritti sindacali nel mondo. Durante il 2007 sono stati 91 i sindacalisti assassinati a causa del loro ruolo. Spetta alla Colombi l’imbarazzante primato con 39 sindacalisti uccisi; seguono la Guinea dove in occasione di manifestazioni contro il regime del presidente Lansana Conte hanno perso la vita 30 sindacalisti, ed il Guatemala dove, in un clima sociale fortemente repressivo, sono stati assassinati 4 sindacalisti; altri rappresentanti di lavoratori hanno perso la vita in Etiopia, Mozambico e Zimbawe.
Le forme di aggressione nei confronti delle attività sindacali sono molteplici: licenziamenti illegali e carcere sono strumenti utilizzati spesso nei Paesi dove i governi intendono impedire ai lavoratori di organizzarsi per poi negoziare miglioramenti salariali e nelle condizioni di lavoro.
In 15 Paesi sono state adottate nuove disposizioni giuridiche ed amministrative che limitano le attività sindacali, ignorando quanto richiesto dalle Convenzioni promosse dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, ovvero l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di promuovere il lavoro dignitoso e produttivo in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità umana per uomini e donne. Tutto ciò è avvenuto in Ciad, Ghana, Madagascar, Tanzania, in Asia oppure in Georgia, dove circa 20.000 lavoratori sono stati licenziati da alcune imprese forti di un nuovo codice del lavoro che nega i più elementari diritti. Altrove - come in Bielorussia - sono proseguite le sistematiche violazioni dei diritti sindacali.
Dal Rapporto emerge un dato preoccupante circa l’Africa, dove molti datori di lavoro approfittano delle lacune legislative per incoraggiare le divisioni tra i lavoratori creando talvolta gruppi controllati direttamente dagli imprenditori che si sostituiscono arbitrariamente ai rappresentanti sidacali. Ciò avviene in Paesi come lo Zimbawe e lo Swaziland dove operano imprese cinesi denunciate sia per le precarie condizioni di lavoro che per lo sfruttamento della mano d’opera. I lavoratori migranti subiscono sfruttamenti ed abusi e spesso sono privati di qualsiasi diritto di rappresentanza. Le situazioni più critiche sono segnalate in Medio Oriente dove si ha notizia di numerosi incidenti sul lavoro per le condizioni di totale insicurezza, con particolare riferimento al Qatar.
Altre violazioni avvengono nelle cosiddette “zone franche d’esportazione” mediorientali; in Arabia Saudita qualsiasi forma di organizzazione tra lavoratori subisce un serrato controllo, in Iraq due sindacalisti sono stati condannati a morte per la loro attività. In Asia i migranti non hanno un trattamento migliore: basta considerae l’eliminazione del loro sindacato da parte del governo della Corea del Sud ed il mancato riconoscimento del diritto di associarsi in Thailandia, Singapore e Bruinei. L’attività sindacale viene ostacolata dal regime militare del Pakistan e proibita in Bangladesh ed in Corea del Nord; la Cina perseguita sistematicamente i sindacalisti mentre in Cambogia e nelle Filippine vengono segnalati assassini di esponenti sindacali.
L’America Latina mantiene il triste primato del maggiore rischio per il sindacalismo: pur essendo diminuiti gli omicidi in Colombia rispetto al 2007, vi sono stati molti tentativi di omicidio, un aumento delle espulsioni, arresti arbitrati, perquisizioni illegali e minacce soprattutto nei settori dell’agricoltura, della sanità e dell’educazione.
Ancora morti in Brasile, Cile, El Salvador, Messico, Panama e Perù.
Anche alcuni Paesi industrializzati hanno registrato varie restrizioni alle attività sindacali; i giudizi nelle questioni “Viking” e “Laval” nell’Unione Europea hanno rimesso in discussione diritti che sembravano acquisiti, mentre i governi Bush e Howard hanno intensificato le azioni ostili verso le organizzazioni sindacali negli Stati Uniti e in Australia. Per altro, il governo Howard è stato sconfitto alle elezioni del 2007 dopo aver impostato gran parte della campagna elettorale su una legge concernente “le scelte nel lavoro” fortemente criticata dall’opinione pubblica.
Le sentenze Viking (Cgce C-438/05) e Laval (Cgce C- 341/05) della Corte di Giustizia europea prima citate, riguardano sistemi lavoristici e di relazioni sindacali affatto peculiari, quali sono quelli scandinavi. Anche la sentenza Ruffert (Cgce C-346/06) incide su un modello contrattuale, quello tedesco, che non trova corrispondenza in altri ordinamenti europei. In particolare le sentenze Viking e Laval hanno richiamato l’attenzione sul problema della configurabilità di limiti all’azione sindacale a tutela della libertà economica della controparte con particolare riferimento al diritto di sciopero.
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