Affari, speculazioni e omicidi.
Le organizzazioni criminali del Sud provano ad allungare i loro tentacoli nelle Regioni del Nord. Cause e soluzioni proposte
dai maggiori esponenti del Silp
È all’inizio degli anni Novanta fine degli anni Ottanta che alcuni attenti osservatori si accorgono che le organizzazioni mafiose hanno cominciato, in modo sistematico, ad espandersi oltre i confini del Sud Italia. Non più solo con il narcotraffico e l’usura, al Nord le associazioni mafiose cominciano a fare i soldi si cominciano a fare anche con l’edilizia e la speculazione immobiliare. Il Parlamento, nel 1988, vara una legge che istituisce una Commissione che, per la prima volta nella storia italiana, estende le proprie indagini sulla criminalità organizzata ain tutto il territorio nazionale. Passano vent’anni e questo inverno il dibattito si riaccende. Lo scrittore Saviano riporta il tema in Tv, la Lega Nord risponde prima stizzita e poi, visteo le evidenze, in modo più collaborativo. Il ministro delle Riforme e leader Umberto Bossi dichiara: «Si infiltrano da tutte le parti. La Brianza ha molte infiltrazioni, perché c’è la possibilità di costruire. Infiltrazioni anche in politica ma non nella Lega. Io li tengo fuori dalla porta». Dobbiamo fidarci? Intanto il nome del consigliere regionale della Lombardia, Angelo Ciocca, è apparso nell’inchiesta sulla ‘ndrangheta che ha portato all’arresto oltre 300 persone, la maggior parte di loro al Nord.
Anche Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia, partecipando ad un dibattito a Milano (“Le Mafie a Milano e nel nord: aspetti sociali ed economici”) denuncia le infiltrazioni mafiose nell’economia del Nord. «L’economia italiana soffre da tempo di un’inibizione a crescere - ha detto - fra i fattori inibenti vi è anche l’infiltrazione mafiosa nella struttura produttiva, che è aumentata negli ultimi decenni, almeno nella sua diffusione territoriale. La crisi che abbiamo vissuto nei passati tre anni non ha certo migliorato le cose: non poche imprese, che hanno visto drammaticamente ridursi i flussi di cassa e il valore di mercato, sono divenute più facilmente aggredibili dalla criminalità». Bisogna quindi evitare, ricordando il famoso ruolo sociale delle banche, che le persone che si sentono rifiutare il credito poisiano costrette a si rivolganoersi ad altre fonti.
«La criminalità organizzata - ha aggiunto - può sfibrare il tessuto di una società, può mettere a repentaglio la democrazia, frenarla dove debba ancora consolidarsi».
Ma le organizzazioni criminali non si limitanosono limitate ad entrare nel tessuto economico,: per iniziare a controllare il territorio hanno anche cominciato a sparare. Dal 2005 al 2010 ci sono stati ben 24 omicidi tra Piemonte e Lombardia. Ettore Marcoli, ad esempio, il 20 gennaio del 2010, è stato freddato a Romentino (Novara) da un colpo di fucile a canne mozze al petto. Marcoli era un imprenditore del settore edile e delle cave. Angelo Cottarelli con la moglie Marzenna Topor e il figlio Luca (che aveva 17 anni), invece, sono stati seviziati e uccisi nella loro villa di Urago Mella (Brescia) il 28 agosto 2006. Il movente della strage sarebbe legato all’attività di Angelo Cottarelli, ‘cartiere’ di fatture false in favore dei cugini trapanesi Vito e Salvatore Mariano, presunti uomini di Cosa Nostra. C’è poi la triste storia di Lea Garofalo, originaria di Petilia Policastro (Crotone), uccisa e sciolta nell’acido il 24 novembre 2009. Lea era una delle poche collaboratrici di giustizia in grado di chiarire la faida in corso nella ‘ndrangheta crotonese.
Improvvisamente, e solo per una certa parte dell’opinione pubblica, il problema-mafia non è più solo una questione siciliana e ma va a toccare territori considerati fino a quel momento “immuni”. «In Italia non esistono più isole felici», spiega Claudio Giardullo, segretario generale Silp-Cgil, in un’intervista a Roberto Greco. «È in atto un salto di qualità da parte dei diversi clan, che non si limitano più alle sole attività criminali per procacciarsi denaro e risorse, ma puntano al controllo del territorio. Il passaggio avviene attraverso l’infiltrazione negli enti locali, soprattutto Comuni, ma anche Asl, come nel caso di Pavia».
Mario Roselli, segretario generale Silp della provincia di Reggio Calabria, in un’intervista a questo giornale, ci spiega che comunque la regia di moltissime attività mafiose rimane saldamente al Sud. Il caso della ‘ndrangheta e della Calabria è emblematico. «È qui (a Reggio Calabria, N.d.r) che paese dopo paese troviamo le famiglie di riferimento, che, seppur realizzano profitti illeciti in altre regioni o oltre il confine di Stato, si guardano bene dal perdere il controllo degli interessi che orbitano nella propria realtà territoriale. Anzitutto la famiglia ‘ndranghetista deve essere riconosciuta, onorata, rispettata nel proprio territorio. Essa rappresenta ‘un’istituzione’ a cui guardare per ogni necessità, che vadanno dal placare dissidi tra la gente al dare opportunità di lavoro, dalla concessione di facili finanziamenti con tassi da usura alla semplici ‘cortesie’ di tutti i giorni o ‘all’assicurare’ imprese e commercianti contro i danneggiamenti che altrimenti potrebbero subire. Essa si comporta come un vero e proprio antistato, che trova il suo humus nello stato di bisogno della gente. Dove lo Stato non arriva, ecco che dietro la porta c’è ‘l’amico degli amici’ che ti può risolvere il problema». «Lo Stato - ci continua a raccontare Roselli - deve restringere fino ad annullare gli spazi ‘assistenziali’ che la ‘ndrangheta riesce a gestire, mettendo in campo anzitutto adeguate politiche sociali e di sviluppo economico.
Bisogna incentivare solo insediamenti effettivamente produttivi, evitando finanziamenti ed imprese estemporanee e tempo, cioè che esistono solo il periodo strettamente necessario a fagocitare le agevolazioni statali, per poi chiudere i battenti, lasciando tra la gente ancora più sfiducia nelle Istituzioni di prima, rimandandola in quel fragile stato di ‘bisogno’ tanto caro alle mafie».
La Polizia e la magistratura, quindi, coadiuvati dal Silp (soprattutto per quanto riguarda la sensibilizzazione dell’opinione pubblica), possono e devono lavorare per arginare il fenomeno. «I primi Anni ’90 – afferma Daniele Tissone, segretario nazionale di Silp-Cgil – sono gli anni della manifestazione al nord del fenomeno e, nel contempo, quelli dell’intervento giudiziario in larga scala: non a caso organizzammo, insieme ai magistrati Lalla e Monetti, un’iniziativa sul tema. La presenza della criminalità organizzata nasce dalla necessità di reinvestire nel nord, dopo avere cambiato la proprietà, una parte rilevante del denaro contante provenenteto deal narcotraffico attraverso tipologie di attività comuni per tutto il settentrione quali estorsioni, usura, presenza nell’edilizia, investimenti, acquisizioni di immobili e quant’altro. Lo scopo del convegno di allora era innanzitutto quello di parlare, per la prima volta, di aspetti nuovi ma allarmanti per una maturazione più rapida presso la società civile. In quel periodo, anche tra le istituzioni, si propendeva per una minimizzazione del fenomeno che veniva interpretato qualealla stregua di “meri episodi occasionali”. Tutto questo ha generato un forte intralcio se non un’azione di freno allenelle attività di contrasto della criminalità organizzata, non solo al nord. Oggi, per fortuna, si parla di ciò con un maggiore senso di realtà e l’azione della magistratura e delle forze di polizia è foriera di risultati».
Il Lazio come laboratorio
per una collaborazione tra mafie
La presenza di organizzazioni di stampo camorristico o mafiosoa nella regione Lazio va fatta risalire agli anni Sessanta, ma dal 2000 ha assunto dimensioni rilevanti. I comuni laziali in cui si sono registrate attività criminali sarebbero una cinquantina e centinaia sono gli affiliati a cosche e clan. Gli affari illeciti girano intorno all’usura e allo spaccio di sostanze stupefacenti, senza dimenticare l’immancabile speculazione edilizia legata ai centri commerciali, strutture alberghiere e di ristorazione.
Il Lazio e la Capitale sembrerebbero dei grandi laboratori dove sta avvenendo una sorta di spartizione territoriale trea camorra e ‘ndrangheta. Entrambe comunque vedono nello smaltimento dei rifiuti e nella realizzazione - tramite imprese edili e amministrazioni politiche compiacenti - di opere pubbliche.
«Il quadro è ormai delineato - afferma Cosmo Bianchini, segretario Silp del Lazio - in un’intervista a Roberto Greco. Le varie cosche si comportano come se Roma fosse diventata una scacchiera, dove muovere le proprie pedine, facendo soldi, inquinando l’economia legale, infiltrandosi nell’apparato politico e amministrativo».
A dimostrare le parole di Greco Bianchini ci sono i numeri,: nella sola Capitale sono 383 i beni confiscati, tra immobili ed esercizi commerciali; nel Lazio, invece, sono una dozzina le famiglie di Cosa Nostra, due della Sacra Corona Unita, 16 clan camorristici e 24 ‘ndrine ad essere state censite in questi ultimi anni.
Ad intensificare le infiltrazioni mafiose contribuisce la crisi economica che rende le imprese edili e i lavoratori più aggredibili, soprattutto dal punto di vista della sicurezza sul lavoro. «La criminalità organizzata - sostiene Claudio Di Berardino, segretario generale Cgil di Roma e Lazio - tende ad accaparrarsi attività economiche e commerciali in difficoltà, essendo l’unico soggetto che può sempre disporre di grosse liquidità di denaro. La disperazione - aggiunge Di Berardino - dovuta alla perdurante mancanza di lavoro può ingenerare il rischio di una possibile manovalanza a disposizione della criminalità organizzata, da individuare soprattutto nelle zone periferiche della città».
Rimane da sottolineare l’aspetto più inquietante, ovvero la collusione tra politica e organizzazioni criminali. «Sono numerosi - afferma Bianchini - gli uomini politici arrestati o coinvolti che tuttora ricoprono cariche importanti». Il sistema mafioso, quindi, in maniera silenziosa contende alle amministrazioni locali le loro funzioni fondamentali. Un dato questo ormai evidente nella provincia di Latina, dove l’elenco dei consigli comunali del litorale del basso Lazio sciolti o sospettati di mafia è già pericolosamente consistente.
Liguria, una spiacevole sorpresa
Il caso della Liguria è tanto più eclatante quanto sorprendente. A tracciare un quadro della presenza di infiltrazioni mafiose nel Ponente ligure è Daniele Tissone, segretario nazionale di Silp-Cgil. «Dai documenti inviati dalla Procura della Repubblica di Torino alla Commissione Antimafia nonché dalle relazioni della Direzione Investigativa Antimafia a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 già emergevano ‘collegamenti e frequentazioni’ tra le cosche della Calabria e la provincia di Savona con personaggi noti alla cronaca per sospetti che riguardavano gli ingenti patrimoni e rapporti bancari con l’estero. Oltre all’immobiliare, come emerge dalle indagini dei primi anni ’90, anche l’occultamento di rifiuti tossici diviene un nuovo ‘business’ delle organizzazioni criminali e la Liguria, in particolare il ponente savonese, è parte di questo piano. Sempre la Liguria, oltre ad offrire facili occasioni di lavoro nella floricultura, nell’edilizia e nel settore turistico alberghiero, era ed è in grado di recepire agevolmente anche quella fascia di soggetti inclini a vivere di espedienti e di attività delittuose, atteso? che, già negli anni ‘50 e ‘60, contrabbando, ricettazione, estorsioni ed usura erano frequenti in quella zona, già intensamente influenzata, così come la vicina Costa Azzurra, dalla case da gioco di Stato, dalle frodi fiscali di frontiera e dall’abusivismo edilizio». Anche Fabio Occhi, segretario del Silp regionale, denuncia la situazione dell’Estremo Ponente in provincia di Imperia: Ventimiglia, Bordighera (il cui comune è stato sciolto per infiltrazione mafiosa) e Sanremo. «Nella cittadina di confine i problemi dei profughi, provenienti dal Maghreb e diretti in Francia, si assommano con i giri di scommesse clandestine milionarie». Ma anche nell’entroterra genovese si è spostata l’attenzione delle organizzazioni criminale, attratte dagli enormi profitti legati all’appalto del raddoppio della tratta ferroviaria Genova-Ventimiglia. «Le cosche calabresi sono piombate tutte lì, come le api sul miele - racconta Roberto Traverso, segretario del Silp locale -. L’infiltrazione avviene nel modo più subdolo, negli appalti al massimo ribasso, una pratica assai diffusa nel territorio un po’ in tutti i settori, ma in particolare nel comparto del movimento terra, essendo previsti grandi sbancamenti legati alla costruzione di gallerie».
Il modello Lombardia
Oltre 1600 beni confiscati ai clan in un solo anno, terzo posto in Italia per quanto riguarda i reati di estorsione legati alla mafia e primato nazionale per le segnalazioni di operazioni finanziarie sospette. Già negli anni 70 e 80, la Lombardia è stata al centro dei sequestri di persona, feroce attività criminale messa in atto dalla ‘ndrangheta al fine di realizzare quell’accumulo di capitale che le avrebbe consentito di entrare, negli anni Novanta, da protagonista nel mercato internazionale della droga.
La Lombardia non è solo la regione degli ‘affari’ è anche il maggior sbocco per il riciclaggio di denaro sporco e per le attività criminali dei gruppi criminali del Sud. «I clan puntano al cuore degli affari», osserva Santino Barbagiovanni, segretario del Silp lombardo. «Di conseguenza la presenza criminale si concentra su Milano e su province come Brescia e Varese». E alla luce del futuro Expo (2015) la preoccupazione cresce. Le decine di appalti, infatti, fanno gola a molte cosche.
La penetrazione delle organizzazioni mafiose a Milano e provincia aumenta di anno in anno, «favorita - secondo i magistrati della Dda - da una maggiore predisposizione degli ambienti amministrativi, economici e finanziari ad avvalersi dei rapporti che si instaurano con l’ambiente criminale». La procura distrettuale di Milano, coordinando le indagini antimafia, ha rilevato che le infiltrazione delle mafie emergerebbero soprattutto nei settori delle opere pubbliche, dell’edilizia, dei mercati e della circolazione del denaro.
Dalle indagini emergerebbe hanno evidenziato come la ‘ndrangheta, e in parte Cosa nostra di Palermo, controllino il narcotraffico e gli appalti pubblici, sfruttando società apparentemente legali per il riciclaggio.
Conclusioni e soluzioni
Indagini delle forze dell’ordine e della magistratura, rapporti Dia e fatti di cronaca nera, hanno reso ormai la cosa è evidente. Le mafie cercano di consolidare e allargare il loro controllo in moltissime regioni del Nord. Per contrastare questo preoccupante fenomeno, senza creare inutili e dannosi allarmismi, è necessario prima di tutto informare e sensibilizzare. Il Comune di Genova, ad esempio, ha sottoscritto con la Cgil, la Cisl e la Uil, più le categorie del pubblico impiego, un protocollo d’intesa finalizzato alla «prevenzione dei tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti e concessioni di lavori pubblici per il rispetto della qualità ed economicità dei lavori». Serve quindi confrontarsi e affiancare l'opera della Polizia e della magistratura al lavoro e alla sensibilità dei funzionari pubblici. In questo contesto il sindacato svolge un’opera fondamentale.
«Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, attraverso le indagini della magistratura sono oggi in grado di contrastare con una certa efficacia il fenomeno», dice Tissone. «Purtroppo i molti tagli alla sicurezza, oggi stimati in oltre un miliardo di euro, sono tuttavia alquanto scoraggianti. Infatti, in assenza di investimenti reali sarà difficile aggiornare tecnologie e mezzi comeper poter dare risposte efficaci nella lotta ad un crimine che è sempre più agguerrito e in crescita e che gode di un ingente patrimonio di risorse e mezzi. Il taglio degli straordinari che vede anche per il 2011 una ulteriore riduzione, il mancato turn-over in materia di nuove assunzioni ci confermano, nostro malgrado, che la sicurezza viene purtroppo ancora vista come un costo anziché come un investimento». Le ultime due leggi finanziarie, infatti, hanno ridotto i fondi al comparto sicurezza di 1,6 miliardi. «L’esatto contrario - conclude Claudio Giardullo, segretario nazionale del Silp - di ciò che andrebbe fatto se si vuole vincere la guerra alla mafia. Occorre puntare sul potenziamento degli organici, investire in prevenzione e aumenti di conoscenza per mettere a punto strategie comuni tra enti locali e autorità centrale».
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