La parabola dell’emergenza immigrati
a Lampedusa, sebbene non ancora conclusa,
ha rappresentato per il Governo un banco
di prova fondamentale sul tema della gestione della pubblica sicurezza. Tuttavia, per decidere se l’ostacolo è stato superato, è ancora presto
Lampedusa ha da tempo smesso di essere argomento da prima pagina sui giornali anche se gli arrivi non sono affatto cessati. Dopo la rivoluzione in Tunisia, anche la guerra in Libia sta spingendo masse di disperati alla ricerca di un futuro migliore verso la fortezza Europa, e nello specifico verso l’Italia, la cui posizione geografica di ponte tra Africa e vecchio continente rende il nostro paese principale obiettivo della pressione migratoria. Pertanto, non stupisce quanto il problema dell’accoglienza dei profughi, il cui numero oramai ha superato le 50 mila persone, agiti il dibattito politico italiano, promettendo strascichi futuri su equilibri politici, locali e nazionali, la cui stabilità ha vacillato vistosamente negli ultimi due anni.
Se non è ancora arrivato il momento di fare i conti, è tuttavia opportuno fare delle considerazioni di carattere operativo.
A fronte di una prima analisi, purtroppo, ciò che si rileva della gestione emergenziale di questa vicenda è una forte insufficienza da un punto di vista ‘tecnico’.
Le cause di una tale bocciatura, proveniente tra l’altro anche dal personale della Polizia di Stato comandato nell’isola siciliana, vanno ascritte alla mancanza di risorse, uomini, mezzi e infrastrutture.
L’accoglienza, l’accompagnamento e la gestione dei migranti, compiti di cui la Polizia di Stato si è fatta carico insieme agli altri soggetti appartenenti alla forza pubblica e al mondo dell’associazionismo, hanno trovato insormontabili difficoltà ad essere espletate. Le condizioni di lavoro per gli operatori di polizia sono state e permangono tuttora inaccettabili di fronte ad una mole di lavoro che ha dell’insostenibile.
Marinai o poliziotti?
Tra le cose successe, se ne possono menzionare alcune che testimoniano una situazione a dir poco preoccupante. Dall’inizio dell’emergenza e per buona parte dei mesi finora trascorsi, i poliziotti sono stati inviati a Lampedusa senza alcuna profilassi, a completo disprezzo della loro sicurezza sanitaria.
L’attribuzione dei compiti degli operatori di polizia ha seguito un iter molto confuso. Basta ricordare che durante le operazioni di smistamento dei migranti i poliziotti, come novelli marinai, sono stati costretti a passare alcuni giorni in mare in attesa che dal ministero arrivasse la decisione in merito alla destinazione dei profughi, in vista di una loro collocazione nei diversi centri di accoglienza distribuiti nelle regioni d’Italia, avendo in dotazione una sola bottiglietta d’acqua al giorno.
Tuttavia, tale situazione risulta relativamente poco grave, se confrontata con la questione delle ore di lavoro, ovvero dei massacranti ‘turni lampedusani’ cui i poliziotti sono stati comandati in occasione dell’emergenza.
Durante una fase particolarmente calda degli sbarchi, nel febbraio 2011, sono stati denunciati turni di servizio notturni di 11 ore (dalle 22:00 ore 09:30 del giorno successivo) inframmezzati da soste tanto brevi quanto irregolari dal punto di vista dello statuto dei lavoratori, per poi venire nuovamente impiegati dalle successive ore 20:00 e per tutta la notte a seguire.
Pochi uomini non armati:
il problema della sicurezza
degli agenti
Altro forte problema, causato dall’insufficienza di risorse messe a disposizione e che si è ripercosso sulle condizioni di lavoro dei poliziotti in servizio a Lampedusa mettendone in pericolo la sicurezza personale, riguarda l’accompagnamento dei migranti.
Finora in tali fasi – hanno denunciato tutte le sigle sindacali dei poliziotti – le operazioni si sono contraddistinte da superficialità e approssimazione. Le decisioni riguardo agli spostamenti dei migranti, evidentemente provenienti da chi latita dal campo d’azione, non hanno minimamente tenuto conto delle risorse effettivamente a disposizione, rischiando di compromettere non solo la riuscita delle operazioni ma anche l’incolumità dei pochi poliziotti che operano per attuare lo sgombero dei migranti da Lampedusa verso altre destinazioni. Una situazione paradossale, che ha visto mancare la sicurezza proprio per chi invece di sicurezza si occupa, considerando anche il tono delle repliche in merito provenienti dal Ministero dell’Interno:
«Sull’aereo – per il trasporto dei rifugiati N.d.R. – non si portano armi, le manette o le fascette non sono necessarie: i tunisini vanno a star meglio. La prevenzione sanitaria? Non c’è il rischio di epidemie». Per rimanere in argomento, non fa certo sorridere una delle indicazioni inviate nei giorni scorsi dalla Direzione ministeriale alla Questura che parla di un «servizio di scorta svolto in abiti civili, senza arma e manette di sicurezza in dotazione». Interessati alla vicenda, venti poliziotti romani tra i quali un ispettore.
Sebbene le denunce dei poliziotti hanno avuto ad oggetto la norma che prevede come regolare distribuzione degli uomini per gli accompagnamenti dei profughi venti poliziotti per cento profughi, per giunta senza un minimo dispositivo di tutela sanitario e antisommossa, ci sono stati episodi il cui livello di rischio ha di molto superato ogni soglia consentita.
Il 30 marzo scorso, difatti, durante l’esecuzione di un’operazione di sgombero che coinvolgeva varie migliaia di profughi indegnamente accampati a Lampedusa, è accaduto che al servizio di scorta ad una moltitudine di 827 immigrati sulla nave con destinazione Taranto, siano stati comandati solamente cinque poliziotti.
Inoltre, come se non bastasse, detta operazione si è fortemente complicata allorché la navigazione, invece di raggiungere come da programma il porto di Taranto alle 23, si è protratta per tutta la notte poiché nel previsto sito di approdo non erano stati approntati i servizi di accoglimento e di sicurezza connessi all’arrivo del natante. La vicenda, che per i suoi contorni quantomeno controversi aveva destato l’interesse dei media, ha davvero rischiato di trasformarsi in tragedia quando a bordo si è diffusa la falsa notizia che il mezzo si sarebbe diretto in Tunisia. Da quel momento infatti gli imbarcati hanno dato sfogo alla loro ira devastando le suppellettili della nave, desistendo solo grazie alla professionalità ed alla determinazione dei cinque agenti a bordo, il cui operato ha permesso al natante di giungere nel porto pugliese la mattina successiva.
Dalle testimonianze degli agenti protagonisti della vicenda emerge il fortissimo senso di insicurezza: «Ad un certo punto – hanno raccontato gli agenti – abbiamo avuto paura che finisse male ed eravamo solamente in 5 per controllare 827 persone».
Il Governo ha gettato la maschera:
le indennità
per i servizi fuori sede
Nella risposta all’emergenza sbarchi a Lampedusa, a detta di molti operatori di polizia, l’esecutivo sembra aver definitivamente gettato la maschera sul comparto delle politiche di sicurezza. Uno stridente contrasto con quanto, a suo tempo e in varie occasioni, il Governo aveva invece promesso riguardo all’intenzione di rafforzare l’impegno finanziario e l’allocazione di risorse verso Interni e Difesa, priorità di un esecutivo di centro-destra.
A tal proposito la vicenda delle indennità per i servizi fuori sede nell’isola siciliana è significativa. In questo caso, infatti, ai poliziotti sono stati attribuititi 18 euro giornalieri come indennità di servizio, cifra irrisoria che dimostra quali sono le reali intenzioni del Governo.
Va inoltre ricordato che ai poliziotti, come del resto a tutte le categorie del pubblico impiego, sono stati congelati gli stipendi in finanziaria, in maniera tale da vincolare il reddito per gli anni 2011, 2012 e 2013 a quello percepito nell’anno 2010. Ciò significa che i poliziotti che sono stati impiegati per gestire lo stato di emergenza degli sbarchi dei profughi a Lampedusa, con ogni probabilità si troveranno a dover lavorare gratis nel caso – che a questo punto, data la piega che stanno prendendo gli eventi, sembra essere una certezza – che il lavoro straordinario, la trasferta fuori dalla propria sede di servizio, i servizi esterni ed il lavoro notturno che saranno obbligati ad effettuare, porterà, quest’anno, a superare il reddito del 2010.
Un futuro da scongiurare
Poliziotti volontari? Sembra che, date le circostanze, le possibilità non siano tanto irrealistiche, perlomeno se una parte del turno di lavoro non riesce ad essere coperto dallo Stato.
Una realtà che in Italia sembra fantascienza ma che già esiste in altri paesi. Come ad esempio gli Stati Uniti, dove la drammatica crisi della finanza pubblica che sconvolge il paese, ha portato Stati e città sull’orlo della bancarotta a tagliare drasticamente, oltre la scuola pubblica, l’assistenza a poveri e anziani, anche gli organici delle forze di polizia. Nonostante poliziotti e pompieri, grazie alla delicatezza del loro ruolo, ai rischi che corrono e al loro peso politico abbiano stipendi superiori rispetto al resto del pubblico impiego, i policymaker finiscono per sforbiciare gli organici. E, per cercare di non ridurre i livelli di sorveglianza, ricorrono volentieri ai volontari.
Gente che rischia, e che a proprie spese – eccetto una copertura assicurativa – va di pattuglia con un poliziotto ben pagato.
Sembra incredibile, eppure i commissariati sono sommersi da offerte di collaborazione volontaria e sono oltre 2000 i dipartimenti di polizia che negli Usa addestrano questi ‘poliziotti amatoriali’. Che si offrono volontari per vari motivi: c’è il pensionato che vuole sentirsi ancora utile alla società (e che prima si limitava alla sorveglianza davanti alle scuole, aiutava mamme e bimbi ad attraversare), chi vuole il brivido, gli studenti di giurisprudenza o di chimica che la prendono come un’occasione per fare esperienza sul campo e anche i giovani disoccupati che vanno volontari in pattuglia sperando di procurarsi, col tempo, un mestiere. Una sorta di ‘stage’ con la speranza che, se apprezzati, i volontari potrebbero rientrare in un futuro reintegro degli organici. Un ennesimo esempio di flessibilità e pragmatismo americano. Un esperimento che ricorda il ‘modello Marchionne’ applicato alla sicurezza e che, per quanto assurdo, potrebbe essere implementato anche in Italia, paese il cui Governo non è certo nuovo ad esperimenti di finanza creativa né di pesanti trasformismi sociali.
Basti pensare che appena il 14 marzo scorso i sindacati di polizia, ma anche quelli del Corpo Forestale dello Stato e dei Vigili del Fuoco, avevano effettuato un sit in ad Arcore. Sebbene non fosse la prima volta che la polizia si presentava a Villa San Martino, questa protesta nasceva dal mancato impegno del Governo ad adottare provvedimenti di tutela della specificità del comparto sicurezza e del soccorso pubblico, promesse puntualmente tradite, con pesanti conseguenze operative.
Visioni divergenti
«L’Italia berlusconiana è uno strano animale politico che ha imparato a diffidare della chiacchiera universalista, non teorizza l’accoglienza indiscriminata ma intanto pratica la salvezza di massa» . Così ha scritto Il Foglio di Giuliano Ferrara, a nostro avviso centrando la questione, ma scambiando il dritto per il rovescio.
Analizzando la vicenda di Lampedusa, stridono le contraddizioni tra la posizione dei principali esponenti del Governo, caratterizzate da una forte esposizione mediatica e roboanti dichiarazioni risolutive, e la realtà dei fatti, ovvero una situazione nella quale la scarsità di uomini, mezzi e infrastrutture ha causato situazioni esplosive, vedi la fuga dei profughi dal centro di accoglienza di Manduria con conseguenti dimissioni del sottosegretario Mantovano. Lo scorcio offerto alle telecamere è stato sempre parziale, sbilanciato su quanto promesso e mai su come poi ciò (non) si è realizzato.
Sia le promesse di Berlusconi – dallo svuotare l’isola dai rifugiati in un giorno al costruire un casinò, dal realizzare un campo da golf al concedere una moratoria fiscale, bancaria e previdenziale di un anno a Lampedusa – quanto gli sterili strepiti di Maroni sulla presunta mancanza di aiuti dell’Unione Europea sono quanto di più simile ad una chiacchiera universalista. Ci sia stato in relazione a questa vicenda, dimostrando il totale scollamento di questo Governo dalle reali esigenze da soddisfare e dai reali problemi da risolvere di tutti i cittadini coinvolti dall’emergenza, fossero essi i poliziotti in servizio, gli abitanti dell’isola e finanche gli sbarcati in cerca di un futuro migliore.
Siamo d’accordo nel dire che durante questa emergenza umanitaria è stata praticata la salvezza di massa. Ma se a Lampedusa un vero e proprio collasso non c’è stato, lo si deve principalmente alla freddezza e alla professionalità degli operatori di polizia e di tutte le forze dell’ordine che hanno agito sull’isola, protagoniste, tra gli affanni dovuti agli oneri di servizio, di numerosi interventi di salvataggio nei confronti dei disperati spesso naufraghi in pericolo di vita di fronte agli scogli siciliani.
Conclusione
L’immigrazione è un problema serio e le rivoluzioni che stanno sconvolgendo il mondo arabo hanno reso ancora più complicato, soprattutto per l’Italia, ponte tra Europa e Africa in mezzo al Mediterraneo, meta vicina da raggiungere. Non sarà con il fumo delle sparate verbali contrapposte che lo risolveremo, ma con politiche efficaci che sappiano rispondere alle esigenze dei cittadini e ai valori democratici di rispetto dei diritti umani.
Ogni Paese ha una sua storia. E una sua cultura: noi italiani, figli di migranti sparsi nei quattro angoli del mondo, i barconi dei disperati non potremo mai ricacciarli al largo.
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