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Maggio-Giugno/2011 - Articoli e Inchieste
Una piaga moderna
Corruzione: definizione di una rete complessa d’interessi
di Lorenzo Baldarelli

Si propaga come una cancrena, funzionando come un sistema. È difficile isolare un ‘settore’ corrotto, come non si possono dividere
gli individui tra buoni e marci. La natura della corruzione è di creare delle reti, con il rischio
di vedere trasformata la società stessa


«Quanta acqua può bere un pesce che nuota liberamente nell’acqua?» Così il bramino Kautilya nel IV secolo a.C., nel suo libro ‘Arthashastra’, affrontava il tema della difficoltà nel riuscire a provare la disonestà finanziaria di un pubblico ufficiale. Spesso la corruzione è immaginata come la scena ambientata nel chiaroscuro di un retrobottega, pensate a Vito Corleone nella prima sequenza del film “Il padrino” di Coppola, oppure al cardinale de Bernis che riceve Casanova, ma ormai le cose molto spesso non sono proprio così “romantiche”.
Sempre più di frequente, infatti, il tema della ‘grande’ e ‘piccola’ corruzione appare su tutti i quotidiani: favori, doni (più o meno consapevolmente accettati) e mazzette sono la norma. Un tempo l’illegalità era concentrata nel settore edilizio, tra licenze, piani di lottizzazione e cambiamenti di destinazione. Poi ha guadagnato terreno: sono comparsi il ‘pizzo per esistere’ (per ottenere certificati di residenza e permessi di soggiorno), il ‘pizzo sulla cittadinanza’ (basti pensare al voto di scambio), il ‘pizzo per un tetto’ (in vista dell’assegnazione di case popolari o dell’imminenza dello sfratto), il ‘pizzo per lavorare’ (assunzioni per concorso, autorizzazioni all’esercizio di attività commerciali e licenze per i liberi professionisti), il ‘pizzo per sopravvivere’ (pensioni e farmaci) e infine il ‘pizzo per riposare in pace’ (trovare un posto al camposanto è sempre più arduo).
In sostanza, l’idea di corruzione, in tutta la sua complessità, sembra universale. Governi nazionali e istituzioni internazionali la pongono tra le priorità da affrontare, ma intanto il fenomeno appare quasi un tratto endemico di numerosi sistemi economici, sottosviluppati e non. Lo Zaire degli anni ottanta, ad esempio, diretto dal maresciallo e presidente Mobuto Sese Seko, è stato addirittura definito una “cleptocrazia” (governo fondato sul furto). Il fenomeno era endemico e paralizzava la crescita del paese ingrassando i conti svizzeri dei dirigenti. Tocqueville giudicava «volgare» una corruzione di saccheggiatori che terrorizzano e tesaurizzano. Ma il quadro che si presenta oggi è ben diverso. Il corruttore, e spesso anche il corrotto, tesse pazientemente la propria tela, intrattiene alleanze, si guarda dall’esprimere esigenze eccessive e agisce sul lungo termine. Il fasto che usa per sedurre gli amici, le cene e le feste durante le quali offre il denaro che ha appena rubato, gli danno “quell’aria di grandezza” che è l’altra faccia del malaffare.

Un passo indietro, che cosa si intende per corruzione?
«La corruzione - ci spiega Raffaella Coppier nell’introduzione del suo testo: ‘Corruzione e crescita economica’ - è un fenomeno che ha sempre caratterizzato tutte le civiltà, anche le più antiche. Dalle civiltà mesopotamiche, dove la reciprocità tra il dono interessato e il favore richiesto era una consuetudine consolidata, all’Atene di Pericle o alla Roma di Cicerone, dove la tangente era un costume formalmente condannato benché ampiamente diffuso, dall’Europa della Riforma luterana, cruciale nella fondazione di un’etica anticorruttiva, all’irrisolta questione morale dei giorni nostri».
Il termine deriva dal verbo latino rumpere, che significa rompere, e oggi è un fenomeno, molto complesso da definire, che si presenta in contesti diversi in relazione a molteplici cause e con differenti conseguenze. Inoltre la corruzione è illegale e perciò molto difficile da misurare quantitativamente.
Concussione, prevaricazione, millantato credito, tangenti, sottrazione di fondi pubblici, abuso di potere, nepotismo e favoritismi vari sono fenomeni sempre più difficile da individuare.
La corruzione è ovunque e in nessun posto, la si condanna urlando e la si incoraggia sospirandolo all’orecchio.
Prendiamo il caso descritto da Gaspard Koenig in “Il fascino discreto della corruzione”, «un imprenditore, chiamiamolo Caino, corrompe un politico locale, chiamiamolo Abele, per ottenere un appalto pubblico. Leggendo i titoli dei giornali si griderà: “Scandalo!” e a ragione. Ma scendiamo un po‘ nei dettagli. Caino è un vecchio amico di famiglia. Incontra Abele tutti i mercoledì al club del poker e non gli ha mai rifiutato la puntata quando era al verde. Caino ha sempre sostenuto le iniziative di Abele, compreso l’audace progetto del viadotto autostradale che gli ha procurato tante preoccupazioni all’interno della attuale maggioranza del consiglio comunale. Attento e gentile, sempre disponibile, Caino ha mandato dei fiori alla moglie di Abele dopo la sua operazione all’anca e ha offerto il primo lavoro al figlio di Abele. Quando poi si deve indire la gara d’appalto per la costruzione del viadotto, Abele ha in mente tre imprese della regione, di pari qualità. Sa che quella di Caino di questi tempi è in qualche difficoltà e che il viadotto sarebbe una buona occasione per rimettere in sesto il bilancio. Chi non troverebbe scortese se Abele da parte sua non favorisse il vecchio amico? E chi non troverebbe elegante se Caino da parte sua, una volta riassestate le finanze, ringraziasse Abele con una bella Mercedes cromata, molto utile in occasione delle prossime campagne elettorali?
Non è nemmeno certo che il contribuente ci rimetta. Si potrà economizzare parecchio facendo a meno delle commissioni e sotto commissioni di funzionari incaricati di timbrare i dossier e di valutare il progetto secondo mille criteri contraddittori. E poi, non è forse meglio che gli affari si regolino tra amici?»
Ebbene, la storia appena raccontata non è finzione. Abele è Jean-Louis Voirain, procuratore uscito dalla Scuola Nazionale di magistratura francese. Caino, invece, prende il volto di Tino Maloberti, autista di una società di trasporti. Nell’aprile del 2008, il procuratore aggiunto della Repubblica di Bobigny compariva davanti al tribunale penale di Parigi per presentare le seguenti accuse: «millantato credito, corruzione, riciclaggio aggravato e ricettazione di denaro proveniente da fondi pubblici». Insomma, il confine tra la concussione e la cortesia, l’interesse e i sentimenti, l’illegalità e l’onestà, appare molto fluido.
È possibile comunque fare una facile distinzione tra la corruzione privata e quella pubblica che ha sua volta è si divide in politica e burocratica. Nel nostro Paese il sistema burocratico si può semplificare come monopolistico, «i cittadini e le imprese - scrive Raffaella Coppier - per richiedere o vendere un bene o un servizio alla Pubblica Amministrazione, possono interagire solo con uno specifico burocrate. In questo caso, se il burocrate nega la fornitura del bene pubblico o è disposto a fornirlo solo in cambio di una tangente, il richiedente non può rivolgersi ad altri burocrati per ottenere lo stesso bene: dunque, mentre i richiedenti possono competere tra loro per ottenere il beneficio pubblico da un burocrate, i burocrati non possono competere tra loro perché hanno compiti specifici e giurisdizioni separate. Quindi anche se vi sono numerosi burocrati, ognuno di loro ha l’autorità esclusiva su un particolare gruppo di mansioni». Infatti la maggior parte dell’attenzione dei media si è concentrata sul fenomeno della corruzione pubblica ovvero quella che implica attività illegali che coinvolgono uno o più rappresentanti del governo e uno o più del settore privato.

Ma quali sono le cause
della corruzione?
La letteratura e l’esperienza empirica hanno individuato diversi elementi che possono essere considerati causa diretta o indiretta dei fenomeni di corruzione. Una causa è «rappresentata - viene spiegato in “Corruzione e crescita economica” - dai bassi salari corrisposti ai burocrati che non creano per questi ultimi incentivi sufficienti ad essere onesti». Una seconda causa deriverebbe dall’esistenza di leggi e regolazioni del mercato e dalle politiche industriali. «Una terza causa - spiega la Coppier - è individuabile nelle rendite monopolistiche presenti nel settore in cui operano le imprese e che rappresentano potenziali fondi a disposizione delle imprese stesse che vogliano pagare tangenti; una quarta causa della corruzione è rappresentata dai fattori culturali e sociali che possono influenzare il livello di tolleranza e dunque di diffusione della corruzione». Infine, quest’ultima potrebbe essere condizionata dalla leggerezza del sistema di punizione e di controllo. Per quello che ci riguarda cercheremo di ragionare su gli ultimi due punti.
I fattori culturali, etnici e sociali (la cultura legale di un paese o la religione professata dalla maggioranza della popolazione), ad esempio, determinano nella “morale” di una società la gravità di un atto di corruzione. «Le norme culturali tipiche di ciascun paese pongono un confine tra un regalo o un favoritismo e una tangente: dunque la definizione di ciò che è corrotto, o meno, è un fatto culturale e ciò che può essere definito corrotto da un osservatore esterno può essere considerato come un regalo accettabile all’interno di un paese». Per chiarire la questione è necessario fare qualche esempio concreto. Generalmente, almeno in Italia, è considerato «non grave» e tollerato chiedere una raccomandazione a un eletto per ottenere un posto, magari all’asilo nido. Cosa ben diversa è la visione di una società decadente, relativista, godereccia descritta nel “Satyricon” di Federico Fellini.
Tra le cause che ci interessano di più ci sono quelle legate al sistema di controllo e l’entità della punizione. «Poiché nel decidere - così viene riportato in “Corruzione e crescita economica” - se porre in essere un atto corrotto gli individui (siano essi burocrati o imprese) confrontano il beneficio atteso con il costo atteso e decidono di essere corrotti solo se il beneficio totale è almeno uguale al costo totale, le riforme tese ad aumentare i rischi di essere scoperti e l’entità della punizione possono ridurre la domanda e l’offerta di tangenti». In termini concreti questo significa che se ad esempio un burocrate (ma anche un politico o un qualunque funzionario) oltre alla prigione (poca), alla multa, rischiasse anche di perdere la pensione e il posto di lavoro, magari la sua predisposizione ad essere corrotto si abbasserebbe sensibilmente.
«Chiaramente - continua Raffaella Coppier - la strategia ottimale per il governo non è un livello zero di corruzione. Prendendo in considerazione i costi dell’attuazione di una politica di deterrenza, il livello di corruzione ottimale sarebbe quello in corrispondenza del quale il beneficio marginale (di una minore corruzione) eguaglia il costo marginale di una politica di deterrenza. La propensione ad agire in modo corrotto è ridotta, a parità di altre condizioni, quanto più alti sono i costi attesi dell’essere scoperti. Tra i costi attesi vi sono innanzi tutto i costi della punizione e la probabilità che queste sanzioni vengano effettivamente applicate, probabilità a sua volta influenzata dalle caratteristiche della struttura dei controlli».
Si potrebbe comunque pensare, sempre per ridurre il fenomeno, di creare una serie d’incentivi per far aumentare le denunce e le confessioni. In tal modo si spezzerebbe il meccanismo di solidarietà che lega corrotto e corruttore. Si potrebbe, ad esempio, introdurre trattamenti di favore (come nel caso dei pentiti di mafia) nei confronti di chi denuncia un atto di corruzione.

Perché nonostante la sua
potenziale dannosità è tollerata?
Soluzioni e punizioni
Per rispondere a questa domanda è necessario chiedersi se la corruzione crea un reale danno all’economia. A questa domanda hanno cercato di rispondere in tanti, e il “World Bank Institute”, negli atti “dell’Anti-Corruption Summit”, ha pubblicato i risultati di un’intervista. Il 14% delle Agenzie pubbliche pensa che la corruzione crei instabilità politica, il 24% pensa che danneggi la morale, il 22% che aumenti la povertà e il 31% che riduca la crescita.
In sostanza i tre filoni in cui si possono sinteticamente raggruppare i principali effetti della corruzione sono: la stabilità politica di un paese, la redistribuzione dei redditi e infine la crescita economica. Anche se tutti e tre i filoni sono estremamente interessanti, la nostra attenzione - forse per colpa anche della crisi - si focalizzerà sulle conseguenze della corruzione sulla crescita economica. «Su tale argomento - scrive la Coppier - la letteratura si è divisa in due fronti: da una parte, vi sono coloro che ritengono che la corruzione abbia conseguenze negative sulla crescita economica di un paese; dall’altra, meno numerosi, argomentano la positività della corruzione sulle performances economiche».
Una cosa risulta estremamente chiara, la corruzione nella quasi totalità delle sue manifestazioni ha un effetto negativo sul bilancio pubblico. Basti pensare alle decine di opere non produttive finanziate con soldi dello Stato solo grazie al pagamento di una tangente; la storia giuridica del nostro Paese e di molti altri è costellata da questi fatti. Infatti ‘Tangentopoli’ non è stato un caso isolato. In Pakistan il presidente della Repubblica revocò l’incarico di primo ministro a Benazir Bhutto, con l’accusa di corruzione; in Brasile il presidente Fernando Collor de Mello si dimise cercando di evitare la condanna (in Italia, invece, per sfuggire al giudizio della magistratura cerchiamo di farci eleggere in Parlamento); in Venezuela il presidente Carlos Andrés Pérez fu sospeso dalla carica per . Nel 2000, in Germania, la procura di Bonn mise sotto accusa l’ex cancelliere Khol per una serie di finanziamenti ricevuti dalla Cdu e in Francia nel 2002 si dimise un magistrato, il giudice Eric Halphen, che indagava sulle finanze occulte dei gollisti e del presidente Jacques Chirac. Questa lista, per concludere, serve a ricordarci che perché la corruzione possa svolgere il suo lavoro, bisogna che ci siano dei corrotti, dei corruttibili e dei corruttori: degli individui che accettino di “vendere l’anima”, barattando i propri princìpi (sempre se presenti) e i propri ideali con la realtà dell’esperienza. A tutti loro Dante avrebbe riservato «un fuoco eterno. Appena osano alzare la testa fuori dal liquido appiccicoso, un’orda di demoni si getta su di loro con zanne e uncini, infilzandoli senza pietà e strappando loro lembi di carne».

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