In ordine di tempo, le parole più recenti sono state spese dal Presidente della Repubblica e dal Ministro dell’Interno che, almeno nelle intenzioni, sembrerebbero allinearsi con quel che sta accadendo nel resto d’Europa:
il superamento delle divisioni tra corpi con lo scopo comune della sicurezza. Perché da noi no?
Una tela di Penelope tessuta e quindi disfatta. Una riforma che sa più di refrain elettorale che di reale intenzione. Agitata com’è a seconda dell’evenienza: incoraggiata coi sostenitori; sconfessata di fronte a chi la critica. Parliamo del riordino del settore sicurezza e dell’unificazione delle forze di polizia, tanto dibattuti quanto mai realizzati. La conferma è nelle cronache degli ultimi anni, nelle dichiarazioni di molti cui ancora non ha fatto seguito alcun cambiamento. O forse sì, quello del riconoscimento dei carabinieri come quarta forza armata: una scelta però di segno opposto alla regia unica tra le forze dell’ordine. In molti infatti si sono chiesti perché elevare l’Arma a rango di forza armata, tanto più che già esistevano Corpi specializzati come l’esercito italiano, l’aeronautica e la marina militare. Perché allora una soluzione che, di fatto, ha finito col gettare benzina sul fuoco di un confronto già acceso?
Celebrazioni e speranze
Andiamo con ordine. Maggio 2011, 159° anniversario della fondazione della Polizia di Stato, Giorgio Napolitano - nel ricordare la legge 121 del 1981, quella della cosiddetta smilitarizzazione del Corpo - pronuncia le seguenti parole: «Una scelta fondamentale per coniugare l’esigenza di salvaguardare lo straordinario patrimonio di professionalità e di tradizioni delle diverse Forze di Polizia con l’altra, non meno avvertita e imprescindibile, di ricondurre tutte le risorse a un più efficace impegno comune». Stiamo quindi parlando di unificazione delle Forze di polizia? Presumibilmente sì, ma il cammino è lungo e nella questione si è inserita un’annosa querelle. Tra gli animatori, il ministro Roberto Maroni che ha annunciato per questo mese l’istituzione di una commissione di studio in vista della riforma della legge del 1981 che secondo lui avrebbe fatto il suo tempo. Una commissione che, sebbene composta anche dai sindacati, fa discutere e molto. In ballo c’è il futuro di un comparto che, oltre a scontare un’oggettiva carenza di investimenti, paga lo scotto di un’organizzazione che andrebbe ritarata su criteri più moderni. Gli scopi? Funzionali ed economici, come nel resto d’Europa già sanno.
Un ‘matrimonio’ alla francese
Non a caso il presidente francese Nicola Sarkozy ha messo la Gendarmerie al servizio del ministero dell’Interno, sottoposta all’autorità civile, pur essendo un corpo storicamente simile a quello dei carabinieri. E allora la domanda è: perché lì è potuto accadere mentre da noi c’è una palese ostilità? Numerosi commentatori riconducono le ragioni all’insofferenza dei vertici dell’Arma a sottostare a una nuova gerarchia - specie se civile - col malcelato timore di perdere una specie di primato acquisito. Andando sul web, spulciando le chat in cui operatori del settore si confrontano, è un continuo di rivendicazioni: dai carabinieri che non vogliono esser confusi con altri Corpi, ai poliziotti che non ci stanno a sentirsi da meno dell’Arma. Tra le tante, giusto un paio: la prima con un carabiniere che sottolinea come «non sia proficuo togliere lo status di militari ai carabinieri visto che è proprio ciò che li ha resi più efficienti» e un altro che aggiunge: «È triste cancellare con un colpo di spugna tutto ciò che è stata la nostra storia. Io resterò sempre carabiniere». Ma cosa rischia la Benemerita se accorpata col resto delle Forze dell’Ordine? Di finire sotto la giurisdizione del ministero dell’Interno e non della Difesa, come per altro previsto dal disatteso art. 3 della legge 121/1981 secondo cui «l’Amministrazione della pubblica sicurezza è civile». Un ‘matrimonio’, quindi che, se s’avrà da fare, comporterà non poche tribolazioni. Questo è poco ma sicuro.
Esempi europei
Comunque, tornando al resto d’Europa, la tendenza degli altri Stati fa pensare che prima o poi la questione ‘unificazione’ toccherà anche il nostro Paese: volente o nolente. In Spagna ad esempio è stato creato un organo di pubblica sicurezza che coordina Polizia e Guardia Civil, tutti dipendenti dal ministero dell’Interno. In Germania c’è da tempo una polizia nazionale investigativa sotto la direzione degli Interni mentre in Gran Bretagna, alla più nota Scotland Yard, si affiancano il Metropolitan Police Service - nella provincia di Londra - e i poliziotti locali in ogni città. Regie uniche, dunque, sotto il controllo degli Interni. Il tutto, per smania di cambiamento, rimozione del passato, perdita di identità delle istituzioni deputate alle sicurezza? Niente affatto: per fare della sicurezza il tratto prioritario e dell’economia un punto forte piuttosto che una iattura; perché razionalizzando il settore, anche in Italia, si punterebbe all’ottimizzazione del lavoro e del servizio. Difficile da far capire in un Paese come il nostro dove il ministro della Difesa Ignazio La Russa riesce a dire che i carabinieri sono come la Ferrari e la polizia più simile alla Fiat. Una smaccata preferenza, in seno al Governo, che a tutto fa pensare fuorché all’intenzione di seguire nelle scelte il resto d’Europa. E come se non bastasse, fu sempre il titolare della Difesa a dirsi pronto a amputarsi una gamba piuttosto che veder confluire l’Arma nel ministero degli Interni. Tant’è.
Le problematiche italiane
A completare il quadro, un sistema tortuoso della gestione della sicurezza che a partire dalla frammentazione dei vari Corpi produce una spesa anche molto rilevante. Ogni Forza di polizia, infatti, è alle dipendenze di un ministro, ha a capo un direttore centrale - sia esso capo della polizia, comandante generale dell’Arma, della guardia di finanza, della polizia penitenziaria o Corpo forestale dello Stato - fino ad arrivare al livello provinciale, dove operano un questore per ogni Provincia, coi relativi omologhi delle altre Forze di polizia. Se questo non bastasse, i numeri del personale in servizio la dicono lunga: la polizia ha 108 mila uomini, i carabinieri 110 mila, 60 mila solo la Finanza ai quali si aggiungono i 38 mila operatori delle carceri e gli 8 mila della Forestale. Serve forse un genio della matematica a capire che tutto il loro lavoro potrebbe essere ottimizzato con un coordinamento unico, sollevando i cittadini e contribuenti da oneri economici che non hanno un corrispettivo in sicurezza? Tanto più che spesso nel servizio avvengono delle oggettive sovrapposizioni di competenza.
L’unificazione delle Forze di polizia produrrebbe un Corpo formato da migliaia di persone, unite in una macchina sicuramente più efficace. Per non parlare del versante economico che potrebbe contare su una netta riduzione dei costi e una presenza più capillare nel territorio. Alle cinque cabine di regia nazionali se ne sostituirebbe una, più funzionale e conveniente. Non dimentichiamo che in tutta Italia ci sono oltre 100 province, 515 sale operative (una per ogni forza dell’ordine) quando potrebbero essere poco più di cento. Ora, se l’obiettivo è la sicurezza, il riordino unitario andrebbe in tale direzione. Se lo scopo è invece tutelare una sorta di orgoglio d’appartenenza, certo che no. E a poco valgono le rassicurazioni del ministro Maroni che annuncia a breve la prima banca dati nazionale sulla documentazione antimafia: per ora ogni Forza di polizia ha il proprio Ced (centro elaborazione dati) in barba al fatto che, per legge, dovrebbe esserci soltanto una banca dati interforze.
È quindi mai possibile che neppure la crisi economica giochi a favore del cambiamento? Che necessità, in questo caso, non faccia virtù? Che non ci si accorga che le scarse risorse economiche messe a disposizione delle Forze dell’Ordine sono disperse in tanti rivoli? Eppure non è complicato intendere la necessità di stare al passo coi tempi. E a chi dice che l’unificazione delle forze di polizia sarebbe impopolare, chiediamo: quale cittadino potrà mai dirsi contrario se i benefici saranno in termini di accresciuta sicurezza?
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