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Maggio-Giugno/2011 - Articoli e Inchieste
Un po' di storia
Il cammino della Polizia di Stato verso la Riforma del 1981
di Lorenzo Baldarelli

Via la stella dagli alamari della divisa, spazio al monogramma RI (Repubblica Italiana), la Polizia di Stato con la legge 121 del 1981 sul ‘Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza’ cambia definitivamente volto. Si smilitarizza l’atavica divisione tra poliziotti e cittadini si riduce e nasce finalmente una rappresentazione sindacale. La storia di questo successo e dell’attuale assetto organizzativo della Polizia di Stato trova origine in un processo di formazione iniziato agli albori del Risorgimento


La Polizia di Stato è erede del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza istituito nel 1852 nel Regno di Sardegna, «nato per fornire ai Questori di Torino e Genova una forza di cui disporre in via esclusiva - come riportato nel volume “La storia e le uniformi della Polizia italiana” a cura di Antonio Laurito -, per l’esercizio delle funzioni a loro assegnate dall’Amministrazione della Pubblica Sicurezza, creata nel 1848.
Il suo compito era quello di: «...vegliare e provvedere preventivamente all'ordine e all'osservanza delle leggi nell'interesse sia pubblico che privato...». Le Guardie di Pubblica Sicurezza, nel luglio 1852, con la legge n. 1404, vengono poste alle dirette dipendenze del Ministero dell'Interno con funzioni di pubblica sicurezza.
«L’organizzazione della Pubblica Sicurezza e l’ordinamento del Corpo del Regno di Sardegna vennero estesi, a seguito delle annessioni dei territori degli Stati preunitari, a tutto il territorio nazionale». È proprio la continuità di tale ordinamento tra il Regno di Sardegna e Regno d’Italia il motivo per cui la Polizia di Stato affonda le proprie radici in una istituzione preunitaria. Detta continuità, infatti, «è data - continua Laurito - dalla conservazione della stessa organizzazione e degli stessi regolamenti, e non dal fatto che nel Corpo continui ad operare lo stesso personale». Va quindi sfatata la convinzione che la Polizia italiana sia figlia solo degli Apparitori e della Guardia Nazionale, in quanto l’ordinamento di queste istituzioni è diverso da quello del Corpo delle Guardie di P.S. Del Regno d’Italia. La Guardia Nazionale (sorta in Toscana con motu proprio il 4 settembre 1847), infatti, «aveva un ordinamento di tipo militare, un regolamento di disciplina, sull’uniforme e sull’impiego, con un sistema di reclutamento particolare che, mentre rendeva obbligatorio il servizio per alcune categorie di cittadini, prevedeva la compilazione di liste comunali in base alle quali venivano effettuate le chiamate alle armi secondo le esigenze del momento».
In conclusione, «la Polizia di Stato nei suoi oltre centocinquanta anni di storia, più volte riorganizzata e differentemente denominata ma con i medesimi compiti istituzionali e alla diretta ed esclusiva dipendenza del Ministero dell’Interno e delle Autorità di Pubblica Sicurezza, è in diretta continuità storica con la prima istituzione del Corpo delle Guardie di P.S. Del 1852 e la sua organizzazione è strettamente connessa a quella dell’Amministrazione della P.S.»
Alla fine dell'Ottocento nei maggiori centri urbani si avverte la necessità di organizzare un unico organismo di sicurezza che comprenda la Polizia del Regno e le polizie municipali. Da questa esigenza prende forma il nuovo Corpo delle Guardie di Città istituito nel 1890.
«Le guardie - viene scritto nel sito della Polizia di Stato - hanno il compito di vegliare al mantenimento dell'ordine pubblico e all'incolumità e tutela delle persone e delle proprietà, di prevenire, reprimere e scoprire i reati, di raccoglierne le prove e di procedere all'arresto dei delinquenti. Ha pure incarico di curare l'osservanza delle leggi e dei regolamenti speciali dello Stato, delle province e dei comuni, delle ordinanze delle pubbliche autorità, e di prestare soccorso in caso di pubblici e privati infortuni...».

Il Novecento e la Polizia
nel Regime
Il nuovo secolo inizia per l'Italia con una tragedia. «Il 29 luglio 1900 Re Umberto I - racconta Gian Piero Piazza - viene ucciso dall'anarchico Gaetano Bresci sul viale che conduce il corteo alla Villa Reale di Monza, l'ex residenza del viceré del Lombardo Veneto. Il regno alla cui guida subentrerà Vittorio Emanuele III, figlio di Umberto II, è in condizioni economiche di trend positivo. La rete ferroviaria ha raggiunto un'estensione capillare su tutto il territorio nazionale, il processo di modernizzazione registra vigorosi impulsi nel campo dell'industria laniera e cotoniera e della siderurgia con i forni Martin Siemens e il primo impianto siderurgico a Terni. La pianura padana collegata con il centro Europa favorisce la formazione del triangolo industriale Milano-Torino-Genova e le popolazioni di queste città registrano un notevole incremento demografico. La situazione di relativo benessere è tuttavia turbata dagli scioperi massicci della massa operaia nonostante l'avvento dei governi illuminati della corrente liberale di Giolitti». È proprio per gestire l’ordine pubblico che nel terzo governo Giolitti, grazie al “Testo unico sugli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza” (r.d. 31 agosto 1907 n. 690), si cercherà di metterà la parola fine a a tutto quello che rimaneva del vecchio sistema di polizia: furono sciolte le Guardie di Città e le guardie municipale. Nacque il Dipartimento della Pubblica Sicurezza alle dipendenze del Ministero dell’Interno, furono costituiti il “Corpo della Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza”, a ordinamento militare, deputato al mantenimento dell’ordine pubblico e il “Corpo degli Agenti investigativi, specializzati in compiti di polizia giudiziaria. Con il R.D. Del 20 agosto 1909 n.666 viene approvato il regolamento esecutivo.
Nell’aprile del 1925, tre anni dopo che Benito Mussolini aveva dato vita alla “Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale”, fu ricostruito il “Corpo degli Agenti di Pubblica Sicurezza” che prese parte con le altre forze armate alle operazioni belliche della Seconda guerra mondiale. Nel 1926 fu nominato Capo della Polizia Arturo Bocchini; qualche anno dopo la sua nomina fu emanato il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS), che regolamentava con minuzia allora inusitata la vita quotidiana, e poco dopo ancora fu istituito il Tribunale Speciale (che aveva come compito la lotta agli oppositori politici) e fu reintrodotta la pena di morte. Bocchini impiegò la sua non comune capacità organizzativa creando nel 1930 l'OVRA (Organismo di Vigilanza per la Repressione dell'Antifascismo). Inoltre, introdusse notevoli modifiche organizzative e tecniche nel funzionamento delle questure (molte delle quali non soppresse in età repubblicana), così da poter allestire agevolmente un'imponente raccolta di dati in tempo reale che a Palazzo Venezia venivano analizzati anche per monitorare il consenso popolare. Fra queste modifiche il cosiddetto “mattinale”, rapporto burocratico contenente dati sulla forza presente e consuntivi dei fatti (crimini, incidenti, altri fatti di rilievo) della giornata precedente.
«Nel 1944 le vicende belliche e le emergenze istituzionali - citiamo il sito internet della Polizia di Stato -determinano la necessità di un adeguamento del Corpo degli Agenti di Pubblica Sicurezza che, già nel luglio del 1943, ha assunto lo status militare. L'Amministrazione della Pubblica Sicurezza riafferma le proprie prerogative istituzionali in materia di ordine e sicurezza pubblica esercitate fino al luglio 1943 anche dalle Milizie e dalla P.A.I., con la creazione di un organismo di sicurezza: il Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, istituito con le caratteristiche originarie del Corpo fondato nel 1852. Nel nuovo organismo transitano, a partire dal 1945 e a testimonianza del clima di rappacificazione sociale, gli appartenenti della P.A.I., della Polizia Repubblicana e numerosi uomini delle Forze Armate, delle Milizie e delle formazioni irregolari partigiane».
Il dopoguerra e le premesse
della Riforma del 1981
La Polizia nel dopoguerra non è più uno strumento di consolidamento e perpetuazione di poteri autoritari, ma diventa, in uno Stato di diritto, «strumento di garanzia e controllo della legalità, esercitato maggiormente nelle città, centri di maggiori interessi economici e finanziari, politici e culturali». L’Amministrazione della Pubblica Sicurezza nel 1959, «avvertita la necessità di potenziare l'attività di prevenzione dei reati che coinvolgono minori, donne o che comunque offendono la moralità ed il buon costume», comincia ad avvalersi del Corpo di Polizia femminile, formato da Ispettrici e Assistenti. «Il Corpo - spiega Antonio Laurito - forniva alle Questure un insostituibile contributo professionale dimostrando di essere tecnicamente preparato a percepire con una maggiore sensibilità psicologica i reati subiti o consumati da minori o dalla popolazione femminile, espletando funzioni costanti di osservazione e prevenzione di fenomeni particolarmente riprovevoli».
Agli inizi degli anni ’70, i segnali che il Corpo delle Guardie di P.S. e l’Amministrazione della Pubblica Sicurezza avessero bisogno di una revisione, «non solo organizzativa ma in special modo ordinamentale», erano fin troppo chiari. «L’opinione pubblica - continua Laurito -, attraverso la pubblicazione di articoli che evidenziavano il clima di tensione che agitava i reparti della Polizia sia per le condizioni economiche che di servizio, apprendeva che all’interno del Corpo vi era una diffusa istanza di miglioramento. La situazione di disagio diede luogo a varie iniziative, anche politiche e sindacali, dirette ad ottenere una revisione delle condizioni di lavoro dei poliziotti e del loro status militare». Queste «istanze di miglioramento» sono state portate avanti con tenacia dal un Movimento democratico di poliziotti che ha anche «pagato - qui non posso non citare Franco Fedeli - un duro prezzo che non può essere ignorato: repressione, umiliazioni, violenze contro centinai di tutori della legge che chiedevano solo di fare meglio il proprio mestiere ed essere più utili alla collettività. Grazie alla loro perseveranza, al loro spirito democratico, alla fedeltà ai loro ideali, oggi il Paese (era il febbraio del 1981, N.d.R.) può sperare in una Polizia più efficiente e capace di produrre sicurezza, un servizio sempre più richiesto nel nostro Paese».
Una riforma
da «gestire»
e da migliorare
Il “Nuovo Ordinamento dell'Amministrazione della Pubblica Sicurezza” fu adottato con legge il 1° aprile del 1981 n. 121 ed entrò in vigore il 25 aprile successivo. L'articolo 16 indicava la Polizia di Stato come il primo organismo tra le forze di polizia, poste a tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica. Non fu una semplice riorganizzazione della struttura, bensì un vero e proprio cambiamento radicale dell'apparato statale preposto a garantire l'ordine e la sicurezza pubblica in una prospettiva europea. La legge, approvata a larga maggioranza dal Parlamento, «mirava, infatti, ad istituire - ci spiega Laurito - una forza di polizia intimamente legata al tessuto sociale, figlia della legalità democratica e repubblicana». Diventava evidente che il Paese aveva la necessità di una polizia, organizzata, preparata, competente, in grado di far fronte all'evoluzione della criminalità e del terrorismo, che valorizzasse e che riconoscesse, al suo interno, quei principi democratici che la nostra Costituzione Repubblicana richiamava da 30 anni.
La Riforma poggiava le sue basi su tre colonne: unità, efficienza e democraticità. «L'unità - continua Laurito - era perseguita con la ricomposizione dei tre ruoli del personale, già dipendenti del Ministero dell'Interno: Corpo delle Guardie di P.S., ruolo dei Funzionari di P.S. e Corpo di Polizia femminile». Con la riorganizzazione delle strutture e la revisione dei sistemi di reclutamento e di qualificazione professionale si mirava all'efficienza. La Polizia, infine, diventava democratica «col riconoscimento ai poliziotti di una serie di diritti propri delle altre categorie di lavoratori».
A distanza di trent'anni, però, molte delle promesse e dei “valori” scaturiti dalla riforma si sono infrante di fronte alla visione miope della politica. Tra i temi principali e attuali, che meriterebbero un dibattito pubblico, c'è la discrezionalità nei poteri dei poliziotti, che alcune volte ha visto incrinare il rapporto tra i cittadini e le istituzioni. Abusi, violenze e corruzione sono atti illeciti che vanno puniti con maggiore severità. La sospensione dal servizio e l'espulsione dal corpo dovrebbero essere affiancati dalla perdita della pensione, ovviamente nei rari casi gravi, e da un risarcimento per la perdita di onorabilità del Corpo.
«In Italia - viene riportato dal sito della Polizia il 14 maggio 2010 - la presenza delle donne in polizia è aumentata esponenzialmente: rispetto a cinque anni fa (12.992) sono cresciute di quasi due mila unità. Oggi sono 14.862, a fronte di 89.118 uomini, pari al 13% della forza complessiva». Rispetto alla Francia, però, il confronto è sfavorevole. «La Polizia nazionale e la Gendarmerie francesi impiegano, rispettivamente, 34.749 donne, pari al 23,8%, e 14.600, cioè il 15% del totale». Tale ritardo potrebbe essere dovuto alla normativa attualmente in vigore per l'accesso ai ruoli iniziali di Polizia di Stato e per tutte le altre forze di polizia a ordinamento militare o civile. Nel 2004, infatti, la legge 226 ha anticipatamente abolito il servizio di leva obbligatorio introducendo una norma che riserva il 100% dei posti messi a concorso per i ruoli iniziali ai volontari delle Forze Armate. Inoltre, la sospensione, fino al 31 dicembre 2020, dei concorsi pubblici ha reso davvero esigua la presenza delle donne.
Altro tema di grande attualità, affrontato anche nella campagna elettorale di Milano, è la sovrapposizione di competenze fra le forze di polizia. Sprechi di risorse, stupide ed inutili rivalità, tagli e sacrifici sono le conseguenze di un compromesso tra politica, istituzioni e Tutori dell'Ordine. Per il segretario nazionale del Silp, Claudio Giardullo, il compromesso trovato tra le varie forze dell'ordine «è stato vissuto come un tavolo di equilibrio e non come un'interconnessione che deve venire dal di fuori delle forze stesse».

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