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Marzo - Aprile/2011 - Osservatorio
Il Dalai Lama rinuncia al suo ruolo politico
di Carlotta Rodorigo

«Fin dagli anni Sessanta ho più volte sottolineato che i tibetani devono avere un leader eletto dal popolo, al quale io possa cedere il potere. E’ arrivato il momento di passare ai fatti »: in occasione del 52° anniversario della rivolta tibetana contro l’occupazione cinese, il Dalai Lama ha annunciato che presto abbandonerà il suo ruolo politico, conservando solo quello di rappresentante religioso. Tenzin Gyatso, l’attuale Dalai Lama, è alla guida – con poteri discrezionali, anche se affiancato da un parlamento eletto - di un governo tibetano in esilio, insediato a Dharamsala, nel nord dell’ India.
La decisione del Dalai Lama giunge in un momento in cui appaiono aumentate le pressioni su Pechino affinché il governo cinese renda al Tibet – ora dotato di uno statuto del tutto formale di “regione autonoma” – almeno una parte della sua indipendenza. L’amministrazione Obama, finora prudente nel trattare il problema tibetano, con l’intento di non irritare il colosso cinese, sembra voler dimostrare più apertamente la sua solidarietà nei confronti del “Papa buddista”. Il 24 febbraio scorso Timothy Roemer, ambasciatore americano in India, ha partecipato a Dharamsala all’inaugurazione di un nuovo centro di accoglienza dei profughi tibetani. Da notare che anche se l’India ospita il governo tibetano in esilio, il governo di Nuova Delhi limita il suo riconoscimento a un “ufficio del Dalai Lama. Il portavoce del ministero degli esteri indiano Vishnu Prakash alla richiesta di commentare la notizia si è limitato a dichiarare che l’India continuerà ad ospitare il Dalai Lama, «una figura religiosa profondamente rispettata ».
La rinuncia di Tenzin Gyatso al suo ruolo politico rende necessaria una votazione per scegliere il nuovo leader con funzioni di primo ministro, il che dovrebbe porre qualche problema organizzativo dato che la diaspora tibetana – ovviamente le elezioni non potrebbero svolgersi nel Tibet occupato – è presente in molti Paesi e continenti. In effetti il voto sarà espresso dal parlamento di Dharamsala. Già si fanno i nomi di tre candidati: Lobsang Sangay, professore all’università di Harvard, Lobsang Namgyel, esponente dell’aristocrazia tibetana, e Tashi Wangdi, ex direttore dell’ufficio del Dalai Lama. Stando al quotidiano The Straits Times di Singapore, i primi due sono considerati vicini agli Usa, mentre Wangdi sarebbe “filoeuropeo”.
Il titolo di Dalai Lama fu attribuito per la prima volta nel 1578 al monaco Sonam Gyatso, capo della corrente buddista Gelupa, dal sovrano mongolo Altan Khan. In lingua mongola Dalai significa oceano, e poiché Lama è l’equivalente di maestro, o saggio, il titolo è traducibile come “oceano di saggezza”. Il Dalai Lama è venerato come manifestazione del Budda della Compassione, e la sua successione è basata sulla reincarnazione. Tenzin Gyatso è il XIV Dalai Lama.
Pur non contestando la sua legittimità, il governo cinese ha deciso di assumere il compito di scegliere le future reincarnazioni – ovviamente dopo la morte di Tenzin Gyatso -, funzione ritualmente svolta da un Reggente, incaricato di guidare la ricerca del potenziale candidato al titolo. Le autorità di Pechino hanno dichiarato nel settembre 2007 che i monaci tibetani di alto rango verranno nominati dal governo cinese, che saranno questi ad eleggere il XV Dalai Lama. Del resto la Cina ha posto sotto la sua “tutela protettiva” Gedhun Choekyi, indicato da Tenzin Gyatso come Panchem Lama, la seconda autorità del buddismo tibetano. In realtà Choekyi sarebbe stato sequestrato, insieme alla sua famiglia.
La decisione del Dalai Lama di rinunciare al suo ruolo di rappresentante politico potrebbe rendere più agevoli eventuali trattative con il governo cinese, anche se Pechino finora non sembra orientata a fare concessioni.

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