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Marzo - Aprile/2011 - Interviste
L'opinione dell'avv. Nino Marazzita
Lo Stato punisce ma vince la battaglia solo se riesce a rieducare
di a cura di Eleonora Fedeli

La Costituzione italiana prevede la funzione
repressiva dei reati, ma anche riabilitativa della
pena. Questo vale in particolar modo per i giovani
perché soggetti con più prospettiva di vita e più
facilmente recuperabili. Ma gli operatori sociali
devono essere davvero bravi e incorruttibili

A volte scompaiono. Per mesi si inseguono tracce confuse, si cercano indizi, si azzardano ipotesi. Poi, un giorno, riaffiorano dal silenzio che le aveva avvolte, senza vita. Come in una versione macabra del nascondino, Elisa, Sarah e Yara sono svanite per mesi, senza che nessuno le abbia viste o sentite e poi sono semplicemente ricomparse, a pochi passi da casa, spezzando la corsa affannosa di chi le cercava chissà dove. Sono ragazze adolescenti, con i loro diari segreti, le loro passioni, i poster del cantante preferito. Sono ancora bambine imprigionate in corpi inconsapevoli, che un giorno finiscono in fondo a un pozzo o sulla terra sporca, interrotti e martoriati.
Ci sono loro, giovani vittime dei desideri morbosi o dei risentimenti dei “grandi”. E poi ci sono Erika e Omar, che una sera decisero di trucidare con 97 coltellate la mamma e il fratellino di lei, compiendo uno dei delitti più efferati e insensati della cronaca nera italiana.
Anche loro erano adolescenti, in quella fase delicata di transizione in cui si vuole scoprire il mondo da soli, senza che nessuno dica quando e come farlo. La famiglia, il diaframma tra i loro sedici anni e quella libertà assoluta, è stata lacerata brutalmente da una lama affilata, fino a scomparire.

Che si tratti di adolescenti vittime o carnefici, mi sembra interessante un dato: nella famiglia, luogo “sicuro” per definizione, si annidano pulsioni e attriti che possono sfociare in vere e proprie tragedie. Non è il caso, forse, di mettere in discussione il concetto di “famiglia”, di ripensarlo?
La famiglia tradizionale, quella contadina, di estrazione cattolica è ormai scomparsa. Era una struttura patriarcale, dove le donne erano in una posizione di netta inferiorità rispetto ai componenti maschi. Un ordine gerarchico in cui la violenza perpetrata ai danni di mogli e sorelle era insabbiata, coperta, nascosta. C’erano, però, importanti valori formali, come la solidarietà. Con la mutazione genetica di cui parlava Pasolini, quei valori di riferimento si sono definitivamente estinti. In un Paese alla deriva da un punto di vista sociale e culturale, in cui la politica è il peggior esempio che viene dall’alto, con chi me la devo prendere? Con Omar ed Erika? Loro hanno fatto una cosa terribile per la quale devono pagare, ma nel rispetto delle regole di uno Stato di diritto, di un processo e di una carta costituzionale che tende alla rieducazione.

Questo ultimo concetto sembra poco digeribile da parte dell’opinione pubblica. Omar è già uscito di prigione e all’idea che tra un anno anche Erika potrebbe aver scontato la sua pena c’è chi grida allo scandalo.
Per me lo scandalo è leggere articoli di noti editorialisti che, dopo aver premesso che in uno stato di diritto le sentenze vanno eseguite e rispettate, definiscono quella di Omar non abbastanza severa. A questi signori vorrei domandare: dopo quanto tempo questo ragazzo sarebbe dovuto uscire di prigione? Come si quantifica secondo loro la punizione per un delitto così efferato?
Non bisogna dimenticare che la Costituzione italiana prevede non solo la funzione repressiva, ma anche educativa della pena. Questo vale soprattutto per i minori, perché sono soggetti con più prospettive di vita, più facilmente educabili. Il processo di rieducazione si attua attraverso un controllo continuo sul minore da parte di assistenti sociali, educatori e psicologi. Quando questi ritengono che la persona è reinseribile nella società, il minore ha il diritto di accorciare la pena che ha avuto. Omar ha dato segnali precisi di reinserimento e quindi è uscito di prigione: dov’è lo scandalo? Non riesco a capire.
Il problema da porsi è un altro: il valore del meccanismo riabilitativo. Anche Angelo Izzo secondo le perizie psichiatriche era reinseribile nella società, ma una volta uscito di prigione ha commesso crimini ancora più efferati di quello del Circeo. Perché gli hanno concesso la certificazione necessaria per tornare in libertà? E’ stato un errore dei periti? Purtroppo no. Izzo è uno schizofrenico di grande lucidità, che è riuscito a irretire un gruppo di magistrati di Palermo convincendoli di avere moltissime informazioni su delitti commessi da altri criminali con i quali condivideva la cella. Con l’intelligenza malata dello schizofrenico era in grado di fare ricostruzioni talmente attendibili da diventare un vero e proprio confidente della magistratura palermitana. Di fatto tutti i casi riaperti sulla base delle soffiate di Izzo alla fine si sono rivelati un flop. Purtroppo è stato un atto di cinismo da parte dei magistrati, che gli hanno affidato un perito compiacente: nella certificazione di 62 pagine, più di 50 sono occupate da una lettera nella quale Izzo dichiara di essersi pentito e di avere il forte desiderio di dedicare la sua vita alla solidarietà. Il problema, quindi, sta nell’integrità delle perizie, spesso minate da elementi di corruzione e di negligenza.

Forse ciò che spinge le persone a invocare pene più dure è lo sgomento che desta un delitto così efferato apparentemente senza movente.
Il movente infatti non c’è, quello di Novi Ligure è il delitto di due adolescenti immaturi che credono di poter avere tutto. Un gioco di ragazzini poco educati, che non hanno valori. Ci sono grandi responsabilità dei genitori, anche se devo ammettere che il padre di Erika ha dato grande prova di equilibrio e di civiltà: stare vicino a una figlia che ha ucciso tuo figlio e tua moglie senza vederla sempre con il coltello in mano è un’impresa improba.
Chi si scandalizza per l’uscita di Omar è solamente in preda a una furia giustizialista. Il nostro Paese, tra gli altri, ha questo difetto: nel decadimento morale e culturale, si stanno perdendo gli anticorpi garantisti e la gente è portata alla condanna. Mi colpisce molto che tra gli errori giudiziari venga considerato il delitto di Garlasco, perché il ragazzo è stato assolto in primo grado. E’ follia, il processo non è neanche finito, ci sarà l’appello, poi la Cassazione. Una condanna non dovrebbe essere emessa sull’onda emotiva, ma su una prova al di là di ogni ragionevole dubbio. Quando un processo è indiziario bisogna avere elementi chiari trovare il movente, l’arma del delitto, conoscere il momento della morte.

L’adolescenza per definizione è un momento delicato, di crisi, di transizione. Oggi, però, in molti pensano che al disagio fisiologico di questo periodo della vita se ne aggiungano altri, di tipo psicologico e sociale. Ma sono davvero gli adolescenti il problema o le famiglie incapaci di gestirli?
In parte bisogna uscire da quel luogo comune che si è generato nel ’68, secondo cui tutte le colpe sono della società. In tal modo si è eliminato il senso di responsabilità personale: si poteva fare qualsiasi cosa, tanto era colpa della famiglia, della scuola e dello Stato. Ma non bisogna neanche fare l’errore contrario, cioè pensare che sia tutta una questione di responsabilità personali. La responsabilità, infatti, si raggiunge attraverso un processo di maturazione in cui il ruolo della famiglia è fondamentale. E, soprattutto, è importante vivere in una società benevola, non incattivita. E questa, purtroppo, è una società che inasprisce i giovani.

Spesso si insegna ai bambini a diffidare dagli sconosciuti, ma la morte di Sarah Scazzi e di Yara Gambirasio dimostrano che il “mostro” è spesso molto vicino, a volte dimora tra le stesse mura domestiche.
Questo è sempre avvenuto. Il dato interesante è un altro: oggi si uccide con un movente che è sempre meno tale. Se è vero, ad esempio, che Sabrina ha ucciso Sarah Scazzi, lo ha fatto per motivi estremamente futili: Sarah era più bella, più giovane, sfuggiva al suo controllo e in più riceveva le attenzioni del ragazzo di cui era innamorata. Pare addirittura sia stata rifiutata. Ma queste possono essere motivazioni così forti da condurre all’omicidio?

Questo vuol dire che oggi si uccide con più leggerezza?
A mio avviso significa che la percezione della vita sta irrimediabilmente perdendo valore. Quando sparisce una bambina, un’adolescente, un essere umano, il mondo intero si deve fermare e da lì deve ripartire. C’è una minore responsabilità nei confronti del senso della vita, non solo quella degli altri, ma anche nei confronti della propria. Quando si guida a 180 km/h in città non solo si disprezza la vita degli altri, ma anche la propria. Si può uccidere, si può morire, si può finire in carcere.

E’ come se non avessimo più niente da perdere?
Il fatto è che oggi è difficile per un adolescente credere in un ideale. Si discute molto sulla scomparsa delle ideologie, sulla loro perdita di significato e di valore. Le ideologie, invece, sono fondamentali, perché veicolano ideali. Non sono fatti così astratti come molti pensano. Oggi, però, non si hanno più punti di riferimento, se non la televisione, vera e propria portatrice di microbi. Qualche tempo fa, in una trasmissione, si parlava di chirurgia plastica. In un suo intervento il chirurgo Roy de Vita afferma con orgoglio di essere pienamente d’accordo con la legge che proibisce alle minorenni di rifarsi il seno. Pioggia di applausi. Nessuno però si rende conto di una cosa: se lo Stato comincia a occuparsi delle tue scelte personali e si sostituisce ai tuoi genitori, significa che da Stato di diritto è diventato Stato etico. Dalla chirurgia plastica si può facilmente passare al comportamento sessuale, politico, religioso e ci ritroveremmo, senza accorgercene, in un regime che impone i suoi valori.

In una società così allo sbaraglio, in uno Stato che tenta di supplire le carenze di una famiglia smembrata, la legge che ruolo ha?
La legge incide pochissimo nel mutamento dei costumi e della cultura. Questo accade poche volte, quando c’è un legislatore talmente illuminato da anticipare i cambiamenti. In Italia, oggi, l’unica legge che può migliorare la condizione della famiglia è di tipo economico e sociale, che garantisca una distribuzione più equa delle cose. Che dia la possibilità a un giovane di trovare lavoro e di sposarsi. Quello di cui abbiamo bisogno è una società più benevola, non che ti guardi in cagnesco.


FOTO: Erika e Omar

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