Roberto Biorcio da anni segue il partito
di Umberto Bossi che da movimento antipolitico e antipartitico
degli anni Novanta si è trasformato in forza di Governo, creando
di volta in volta un nemico da combattere e osteggiare. Ora però
ha amministrazioni e Ministri e il gioco si fa più difficile
La Lega tende a gestire le sue politiche pubbliche mettendo in evidenza soprattutto l’orientamento dell’azione contro qualche nemico o avversario. Non credo verrà meno la capacità leghista di inventare potenziali contrapposizioni. Solo se i risultati concreti delle azioni dei suoi ministri e amministratori risulteranno chiaramente insoddisfacenti, il ruolo del Carroccio potrà essere messo in discussione”. Non usa mezzi termini il prof. Roberto Biorcio nell’individuare la principale modalità d’azione della Lega nord, che costituisce un substrato comune a tutte le sue fasi di espansione e di crisi, fin dalla sua affermazione negli anni Novanta. Una politica, quella della Lega “che si costruisce sulla distinzione antagonista amico/nemico [...], contrapponendo un ‘noi’ – radicato nelle culture locali e nelle tradizioni delle regioni dell’Italia settentrionale, a un ‘nemico’ che assunse via via il volto di Roma, del Sud, degli immigrati, dei politici romani” e che “ha saputo intercettare e mobilitare uno specifico tipo di elettorato [...] nelle classi popolari e nei settori meno istruiti della popolazione”.
“La rivincita del Nord. La Lega dalla contestazione al governo? (Editori Laterza, 2010, pag. 196, e 18) è un libro fondamentale per comprendere il successo della Lega nelle regioni settentrionali, il suo sistema valoriale, le sue contraddizioni. Attraverso una rigorosa analisi dei dati, Biorcio ripercorre la storia del movimento guidato da Umberto Bossi, collocabile senza dubbio tra i partiti populisti contemporanei, avendo con questi numerosi tratti in comune: delegittimazione dei partiti tradizionali e delle istituzioni rappresentative con conseguente valorizzazione di forme di democrazia diretta e plebiscitaria; appello a leader forti; protesta contro l’eccessiva pressione fiscale; creazione di capri espiatori (come ad esempio gli immigrati) per canalizzare e sfruttare le paure e il senso diffuso di insicurezza.
Negli anni, la Lega è riuscita a “mettere in moto una trasformazione profonda della cultura politica”, ma questo è avvenuto mettendo in discussione il principio del rifiuto di ogni discriminazione e “l’idea che le libertà e i diritti non sono universali, di tutti, ma hanno valore solo per i possessori legittimi di uno specifico territorio e della cultura, della lingua, e della religione storicamente radicate della comunità che lo abita”.
Professor Biorcio, partiamo dalle origini. Nata negli anni ’80, ma rimasta sempre ai margini dello scenario politico, la Lega inizia ad affermarsi solamente nella prima metà degli anni ’90, dopo il crollo del sistema dei partiti storici, riuscendo ad imporsi come movimento “di rottura” col passato. Quali fattori contribuirono al suo successo a livello, prima regionale e poi nazionale?
L’affermazione della Lega all’inizio degli anni Novanta si fondò soprattutto sulla sua capacità di gestire, potenziare e fondere due processi che si erano sviluppati nel decennio precedente: in primo luogo, il risveglio dell’autonomismo regionalista nelle regioni settentrionali e, poi, la crescita delle critiche e della disaffezione nei confronti dei partiti politici. Il riferimento alle regioni del Nord fu molto importante per fondare una identità politica forte e indipendente dai tradizionali riferimenti di classe o di religione.
Il regionalismo però non sarebbe stato in grado, da solo, di garantire un vasto consenso elettorale. Il salto di qualità si verificò soprattutto per merito della Lega Lombarda, guidata da Umberto Bossi, grazie alla combinazione del regionalismo originario con la protesta populista contro i partiti nazionali. La domanda di autonomia regionale fu trasformata in battaglia popolare contro la partitocrazia romana (“Roma ladrona”). I successi elettorali in Lombardia si estesero poi a tutte le altre regioni settentrionali.
Nel suo libro, dati alla mano, individua tre fasi di espansione elettorale della Lega Nord. Al di là delle peculiarità dei singoli periodi, c’è una costante, un dato di fondo, che possa aiutare a comprendere i motivi per cui, dopo il declino, la Lega è sempre riuscita a riconquistare la fiducia dei suoi elettori e a raccogliere ulteriori consensi?
Le fasi di relativo declino della Lega hanno avuto origine dalla concorrenza esercitata con successo da Berlusconi e dal suo partito. In queste fasi il Carroccio è però riuscito a conservare un elettorato fedele nelle aree territoriali del suo primo insediamento ed è riuscito poi a rilanciare la propria espansione sfruttando le opportunità politiche che si sono presentate.
Nel 1996 la Lega ha rilanciato l’antipolitica con una campagna simmetrica contro “Roma Polo” e contro “Roma Ulivo”, recuperando elettori che non si riconoscevano nelle due principali coalizioni.
Dopo la formazione del Pdl, il Carroccio ha recuperato molti voti nell’area di centrodestra tra il 2008 e il 2010 presentandosi come il partito che si impegnava più coerentemente e con maggiore forza per il contenimento dell’immigrazione e la lotta alla criminalità; ciò anche grazie a una maggiore presenza sul territorio, e al ruolo svolto dalla rete dei suoi sindaci.
Dalla seconda fase di espansione (1996) la Lega inizia ad acquisire consensi anche dal ceto operaio. Come si spiega, considerato che non ha mai negato il proprio appoggio a politiche marcatamente neoliberiste (riduzione del potere dei sindacati, ecc.)?
Nella prima metà degli anni Novanta la Lega si era affermata soprattutto nelle aree del Nord caratterizzate dal modello produttivo della piccola impresa radicata sul territorio. In questi contesti la conflittualità fra lavoratori e imprenditori poteva essere superata e sostituita dal comune impegno per ridurre il prelievo fiscale e contributivo dello Stato, e per limitare il trasferimento delle risorse al Sud. Denunciando la collusione fra grande capitale, sindacati e governo su queste questioni, il Carroccio ha avuto successo tra gli operai soprattutto nelle piccole e medie imprese.
Negli ultimi anni la globalizzazione dei mercati e gli effetti della crisi economica hanno spinto molte imprese a delocalizzare la produzione dove il costo del lavoro è più basso. Tra i lavoratori è cresciuta l’insicurezza e la protesta contro lo Stato perché non riesce a trattenere la produzione in Italia e non frena i flussi di immigrati considerati una minaccia per l’occupazione e la sicurezza fisica. La Lega si è impegnata nella lotta per contenere gli effetti negativi della globalizzazione gestendo soprattutto le tensioni fra gli operai autoctoni contro quelli immigrati, la classica “mobilitazione dei penultimi contro gli ultimi”. Le idee sul patto fra produttori che erano state proposte senza ottenere molto successo dai sindacati leghisti negli anni Novanta sono state progressivamente accettate da ampi settori popolari, dalla Confindustria e da due dei principali sindacati confederali (Cisl e Uil).
Quali sistemi valoriali legano tra loro i militanti leghisti?
La Lega non ha proposto un proprio sistema di valori ma si è limitata per molti anni a valorizzare la cultura e i valori tradizionali della “gente comune” delle regioni del Nord, sottolineandone le differenze rispetto a quelle attribuite alle popolazioni del Sud e al ceto politico insediato a Roma.
Sono stati riproposti dal Carroccio molti stereotipi diffusi a livello popolare, valorizzando soprattutto l’appartenenza e la solidarietà limitata a particolari aree regionali. Le proposte politiche leghiste hanno così fatto emergere un nuovo criterio di cittadinanza che prevede il primato - o la esclusività - delle comunità regionali (o locali) per i diritti e l’accesso alle risorse economiche e sociali disponibili. Un criterio che ripropone nel nostro Paese le idee del Front National francese sulla “preferenza nazionale” (les Français d’abord). Sono stati così rimessi in discussione i principi universalisti della nostra Costituzione, ed è stata negata in particolare l’uguaglianza dei diritti politici e sociali che sta alla base della democrazia.
L’identità del movimento è in gran parte fondata sulla costruzione di un nemico da combattere (prima i meridionali e ‘Roma ladrona’, poi i cosiddetti poteri forti, ora gli immigrati), elemento che accomuna tutti i movimenti populisti d’Europa: secondo lei, fino a che punto sarebbe azzardato sostenere che, senza qualcuno o qualcosa contro cui costantemente scagliarsi, la Lega si avvierebbe verso un inesorabile declino?
La Lega ha costruito le proprie proposte politiche e la propria identità utilizzando soprattutto la contrapposizione con diverse figure di “nemici” su cui scaricare i risentimenti e le proteste diffuse a livello popolare. Negli ultimi dieci anni, dopo avere acquisito importanti posizioni nel governo nazionale e nella gestione di Comuni, Province e Regioni del Nord, il Carroccio ha dovuto cambiare il suo profilo politico, secondo la formula del “partito di lotta e di governo”.
La Lega tende però a gestire le sue politiche pubbliche mettendo in evidenza soprattutto l’orientamento dell’azione contro qualche nemico o avversario. Non credo verrà meno la capacità leghista di inventare potenziali contrapposizioni. Solo se i risultati concreti delle azioni dei suoi ministri e amministratori risulteranno chiaramente insoddisfacenti, il ruolo del Carroccio potrà essere messo in discussione.
Negli ultimi tempi sembra che l’emergenza sia diventata la normalità: ciò che prima era eccezione, ora è quotidiano. Emergenza rifiuti, emergenza criminalità, emergenza sicurezza... Quanto le politiche nazionali della Lega Nord incidono realmente sulla realtà, modificandola, e quanto, invece, si limitano al piano simbolico, di facciata?
La Lega ha sempre privilegiato l’aspetto simbolico della propria azione politica per dimostrare come i suoi rappresentanti nelle Istituzioni politiche nazionali, regionali e locali siano attenti alle domande emergenti nell’opinione pubblica, soprattutto se percepite come “emergenze”.
Il partito cerca così di dimostrare di essere “dalla parte dei cittadini”, indipendentemente dai risultati concreti ottenuti. La proposta delle “ronde padane” ha avuto soprattutto il significato di testimoniare la volontà della Lega di mobilitare le comunità locali contro la microcriminalità, il degrado e soprattutto la presenza degli immigrati in alcuni contesti territoriali. Una volta regolamentate, e private di simboli e significati politici, le ronde sono state un fallimento, pressoché totale perché hanno reclutato pochissimi volontari.
Anche il federalismo che dovrebbe cambiare l’architettura istituzionale della nostra Repubblica mantiene soprattutto l’aspetto di una affermazione di principio, di valore simbolico. Il suo profilo resta tuttora molto vago, e la sua attuazione è comunque rimandata di alcuni anni. Un discorso analogo vale anche per molti provvedimenti promossi a livello nazionale e locale per contrastare l’immigrazione e la criminalità.
Queste misure hanno suscitato molte polemiche e discussioni quando sono state proposte, ma hanno avuto pochi effetti concreti perché sono state spesso ridimensionate dai pronunciamenti della magistratura e della Corte Costituzionale. Oppure sono state solo attuate in maniera marginale per le difficoltà operative e la carenza dei mezzi a disposizione. I successi degli ultimi anni nella lotta contro la mafia, sono stati i risultati di un lungo lavoro della magistratura e delle Forze di polizia, intrapreso prima e indipendentemente dal ruolo assunto dalla Lega nel governo nazionale.
Altro tratto essenziale dei movimenti populisti è la presenza di un leader forte, carismatico e finora la Lega è identificata con Umberto Bossi, nonostante i suoi problemi di salute. Quando il Senatur non sarà più in grado di guidarla, verrà meno la figura di riferimento per gran parte dei militanti: quali conseguenze sul piano dei consensi?
Il ruolo di Bossi ha avuto e ha grande importanza per la Lega, ma non si può considerare il Carroccio un “partito personale”: dopo venti anni è in grado di sopravvivere anche se il suo leader carismatico non sarà più la sua guida.
Nel 2004 una grave malattia del Senatur aveva creato molte difficoltà al partito che era da poco rientrato nella coalizione di centrodestra. Negli ultimi anni la Lega si è notevolmente consolidata e ha un gruppo dirigente solido e riconosciuto, in grado di gestire efficacemente il Carroccio anche in assenza del suo leader. Potrebbero emergere problemi solo se si innescassero conflitti laceranti tra i principali dirigenti per la successione: una prospettiva che Bossi si impegna già oggi a contenere e ridimensionare.
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Roberto Biorcio è professore associato di Sociologia presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca. Laureato in Fisica e in Scienze Politiche, ha conseguito il dottorato in Sociologia e Ricerca Sociale a Trento.
Svolge attività di ricerca e studio sulla partecipazione politica, sul comportamento elettorale, sui partiti, sulle culture politiche e le trasformazioni della democrazia.
E’ autore di numerose pubblicazioni: “La sfida verde. Il movimento ecologista in Italia” e “L’analisi dei gruppi”, entrambi pubblicati da FrancoAngeli; “La padania promessa. La storia, le idee e la logica d’azione della Lega nord”, per il Saggiatore; “Sociologia politica. Partiti, movimenti sociali e partecipazione”, per i tipi del Mulino.
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