Il termine più usato in questi giorni è certamente “sicurezza”. Ma cos’è la sicurezza? Il sapere e sentire che la propria vita, incolumità, abitazione, famiglia, insomma che i beni essenziali non saranno violati da alcuno perché lo Stato, entità a cui è assegnato il potere di stabilire le regole, farle osservare e punire chi le viola, eviterà che ciò avvenga e punirà chi lo facesse. Elementare. Ma come deve applicarsi in un convinvere sociale che si proclama evoluto, dove la sicurezza si misura anche con la democrazia, la giustizia e l’equità? La Dichiarazione universale Onu dei Diritti dell’uomo dal 1948 al primo articolo afferma: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.
E’ stato adempiuto in tal senso? Rientrano in tale asserzione i bambini stranieri che allogiati sotto i ponti vivono tra i topi del lungotevere a Roma ed altrove, gli emigranti disperatamente abbracciati ai gabbioni per tonni nel mare in tempesta o che hanno come tomba le onde? Tutto ciò si concilia con i miliardi accumulati al solo battere di ciglia dai tronfi Paperoni nostrani e stranieri? E’ importante che oggi l’Italia affronti veramente il tema “sicurezza”, con la consapevolezza di essere stata la culla del diritto internazionale, dello ius gentiùm di duemila anni fa, e di essere la patria spirituale del Cristo, spesso dimenticato, che scaccia i mercanti dal tempio. Che contributo innovativo potrebbe essa dare all’Europa ed al mondo, operando con saggezza e lungimiranza al di là del proprio orticello, magari celtico! La società sarà sempre più un villaggio globale dove casa, cibo, lavoro, spesso sopravvivenza, verranno cercati sempre e ad ogni costo. Non ha da poco denunciato la Fao che 800 milioni di persone soffrono ogni giorno la fame? Non ha aggiunto l’Ilo (Organizzazione mondiale del Lavoro) lo scorso 12 giugno che 150 milioni di bimbi tra i cinque e i quattordici anni sono sfruttati in lavori insani, per “produrre”?
Se l’ottica del pingue evoluto Occidente resterà solo quella del profitto e del fuperfluo come essenziale, le ingiustizie, le immigrazioni selvagge, l’aggressività per i beni vitali, non potranno che aumentare e con ciò le richieste di sicurezza, diversamente percepite, magari con carri armati e nuovi muri. In questa visione l’uomo sta diventando lui stesso “bene di consumo”, lo gridano i tanti crimini predatori, le violenze sui minori-oggetto, le ciniche operazioni della fabbrica-clinica milanese, il sangue e i reni venduti in Asia, i bimbi uccisi trovati senza occhi e cuore in America latina.
Si fa presto a dire sicurezza. Compito di una società democratica e civile, è coniugarla con la fruizione dei beni essenziali per tutti. Certo, i problemi ci sono né esiste bacchetta magica per risolverli. Ma occorre affrontarli senza fare del concetto “sicurezza” una coperta per coprire se stessi. Troppe approssimazioni sono state fatte (sarebbe lungo qui elencarle, dall’indebolimento delle Forze di polizia, alle carenze negoziali internazionali, ai facili schematismi destra-sinistra). E’ ora ineludibile andare al di là delle ideologie: la sicurezza è un bene di tutti.
Difficile da realizzare compiutamente: costa umiltà, preparazione, saggezza e lungimiranza. Ma è la sfida delle vere democrazie e delle classi politiche dirigenti. Le questioni pur delicatissime e importanti, se e quali forze militari e/o di Polizia usare, se e quali immigrati clandestini espellere, non devono divenire alibi dialettico-strumentale, vano e pericoloso, per chi non sa o non vuole prendere la vera direzione di marcia: rimettere al centro la persona, chiunque essa sia.
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