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Marzo - Aprile/2011 - Articoli e Inchieste
GdiF
Amianto, sconcerto e preoccupazione in Friuli Venezia Giulia
di Lorenzo Lorusso - Presidente nazionale dei Finanzieri Democratici

C’è sconcerto e preoccupazione tra i dipendenti della Guardia di Finanza del Friuli Venezia Giulia. Una lunga serie di accessi agli atti amministrativi detenuti presso l’Azienda Sanitaria, il Genio Civile e il Comune di Trieste ha consentito ad alcuni volenterosi finanzieri di prendere visione di centinaia di pagine di documenti: planimetrie, analisi chimiche sofisticate e finalizzate a quantificare le fibre di amianto disperse nell’aria di alcune caserme durante le bonifiche, segnalazioni alla Procura della Repubblica poste in essere da parte dell’Azienda Sanitaria Triestina. Tutta questa documentazione – ottenuta legittimamente in base al combinato disposto della legge 7 agosto 1990 nr. 241 e del D.P.R. nr. 184 del 2006 – ha un unico comune denominatore, ci dice una sola cosa: molte caserme della nostra Regione erano piene di amianto di ogni genere, compatto e friabile. Non solo. Una vastissima zona del porto, dove per molti anni sono stati scaricati sacchi di amianto, è tuttora coperta da tettoie in eternit di pessima qualità e in stato di totale abbandono.
Dicevamo sopra che ci sono alcuni fascicoli presso la Procura che, ovviamente, riguardano coloro che si sono ammalati di mesotelioma della pleura o di altre patologie ad esso correlate. Il reato ipotizzato dalle varie procure italiane nell’ambito di fattispecie analoghe è quello di “Omicidio colposo plurimo oppure lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro”, contemplati dall’articolo 25-septies del D.Lgs. 231/2001.
Sappiamo per certo che ben 18 dipendenti della Guardia di Finanza, i quali operavano o continuano ad operare nel Friuli Venezia Giulia, ed anche la consorte di uno di loro, sono stati iscritti nel Registro Regionale degli Esposti a seguito di una valutazione tecnica operata dall’Azienda Sanitaria. Purtroppo almeno 4 operatori delle Fiamme Gialle – rientranti nelle categorie dei sottufficiali, graduati e finanzieri – sono già deceduti dopo lunghe e tormentate agonie. Sconcerta e amareggia apprendere che, ad una delle vedove che abbiamo avuto modo di incontrare recentemente, non molto tempo fa sia stato risposto in forma ufficiale dal Comando della Guardia di Finanza di Trieste più o meno così: “Per ottenere il riconoscimento della causa di servizio di suo marito, faccia la domanda”. Evidentemente questo ufficiale del Corpo ignora completamente che esiste un procedimento d’ufficio in questi casi e che proprio egli avrebbe dovuto adempiere a quest’obbligo. E’ avvilente pensare che una vedova, tra il dolore e le varie incombenze familiari, si debba preoccupare anche di inoltrare una istanza al Comando per vedersi riconosciuto quanto l’Amministrazione di suo marito già sa, ovvero un diritto sancito dalla legge.
Come si diceva, tra gli anni Settanta e fine anni Ottanta, transitavano dal porto di Trieste sacchi contenenti eternit frantumato, spesso mescolato a terriccio o ad altre sostanze che ne rendevano difficile l’identificazione. Era il periodo in cui non tutti i sacchi riportavano il logo con una “a” stilizzata che ne identifica il contenuto, divenuta poi obbligatoria per tutti gli involucri contenenti amianto. I finanzieri che operavano nelle dogane erano addetti al riscontro delle merci con verifica diretta del contenuto, ma questa operazione veniva effettuata senza una necessaria protezione: i guanti, una tuta da lavoro e le mascherine BN5U. Queste ultime sono le uniche efficaci per impedire alle microfibre di amianto di penetrare nelle vie respiratorie di chi lavora a distanza ravvicinata con l’amianto. Le tradizionali mascherine sanitarie di stoffa o di cartone rinforzato, che spesso vediamo in circolazione e che sono discretamente efficaci contro alcune polveri, non sono sufficienti ad impedire la penetrazione dell’amianto.
Quello dei finanzieri ammalatisi di mesotelioma o di patologie amianto correlate è un numero statisticamente alto rispetto alla media nazionale divisa per zone e per categorie di lavoratori. Lo ha sottolineato in alcuni suoi trattati ed in alcune conferenze anche il prof. Claudio Bianchi, insigne medico legale ed uno dei maggiori esperti in campo nazionale di mesotelioma della pleura. Risulta poi che, nella zona di Passeggio Sant’Andrea e della vicina via Locchi, a poche decine di metri dalla ex Fabbrica Macchine, oltre ai finanzieri sono decedute anche due donne residenti nel luogo e che nulla avevano a che fare con la caserma. Questo dato statistico, senza per questo volere fare allarmismo o accusare qualcuno, indica la pericolosità della zona, dal solo edificio adibito a caserma (Comando Regionale), nonostante abbia già subito ben tre bonifiche, non è stato possibile asportare una parte consistente dell’amianto residuo.
Quanto sia temibile l’amianto si sapeva anche negli anni Quaranta e Cinquanta (all’uopo vedasi legge delega 12 febbraio 1955, nr. 51) ma in Italia è stato messo al bando con la legge nr. 257 del 1992, quella che ha preceduto di soli due anni la più popolare legge 626/1994 sulla sicurezza degli ambienti di lavoro. Resta da chiedersi come mai si è proceduto così lentamente nelle opere di bonifica e sorgono alcuni dubbi quando nello stesso luogo di lavoro ci sono troppe morti sospette. L’azione penale è obbligatoria e, pertanto, siamo certi che la magistratura esaminerà con scrupolo tutte le segnalazioni pervenutele – tenendo conto che già con il decreto 303 del 1956 sono state individuate quasi tutte le casistiche penali in tema di amianto – ma anche gli articoli stampa di denuncia che sono stati scritti in questi ultimi anni, nonché le tre interrogazioni parlamentari che i finanzieri hanno recentemente ottenuto da membri del Governo, dell’Opposizione e del Gruppo Misto.
Un impegno bipartisan a significare che le questioni di salute non hanno un colore politico. Questa battaglia a difesa della salute pubblica non sarebbe stata possibile porla in essere senza il fondamentale e professionale aiuto dell’Avvocato Ezio Bonanni del Foro di Roma, del Prof. Claudio Bianchi di Monfalcone e del docente di ingegneria Prof. Marino Valle di Trieste (perito di parte dei finanzieri). Ma un plauso speciale va al certosino lavoro del Presidente dell’Associazione Esposti Amianto del Friuli Venezia Giulia, Aurelio Pischianz, che con il suo impegno e la sua costanza sta scalfendo quel muro invalicabile del silenzio che ci stava circondando. Pischianz ha dato voce a chi ora non potrebbe più parlare per difendersi, all’operaio Roberto Persich (simbolo della battaglia contro l’amianto) ma anche a tutti coloro che sono morti per colpa dell’inerzia di chi avrebbe dovuto tutelare la salute dei lavoratori, finanzieri compresi.

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