Intervista a Robin Clover, che dirige un'agenzia
specializzata nel contrasto di questo reato
e che racconta di come si siano attrezzati
per prevenirlo e fronteggiarlo
Nel 1982 un quarantaseienne scozzese, Arthur Richard Jackson, si innamorò ossessivamente di una giovane attrice di Hollywood, Theresa Saldana. Come e perché si accese una scintilla morbosa nella mente di quell’uomo non possiamo saperlo. Quello che sappiamo è che ne scaturì un’insana spirale di atteggiamenti psicotici e tormentosi, che passarono dalle lettere ai pedinamenti, dalle telefonate anonime e moleste all’ingaggio di un investigatore privato, reo d’aver fornito a Jackson la posizione esatta dell’abitazione della donna. Jackson, indirizzo alla mano, non ebbe quindi difficoltà a farsi trovare davanti la porta della casa di Theresa. L’attese per alcune ore, pazientemente, fin quando la ragazza fece ritorno, quindi la pugnalò per dieci volte, dieci violenti, drammatici, immotivati fendenti. Miracolosamente Theresa si salvò, e Jackson venne condannato per aggressione. Aggressione, quindi non per tutto quello che l’aveva preceduta.
Ma non è tutto. Nel 1987, Bardo, un ragazzo di Tucson, Arizona, improvvisamente polarizzò tutte le sue attenzioni sull’attraente starlette del cinema Rebecca Shaeffer. Dopo decine di assillanti lettere, spedite per mesi, a cadenza regolare, definite successivamente dagli inquirenti “dal contenuto paranoico”, e un paio di tentativi di avvicinamento fisico all’attrice, vanificati dall’intervento di bodyguards, decise di recarsi direttamente presso l’abitazione della Shaeffer, a Los Angeles. Lo fece con una pistola a seguito. La incontrò, quindi le sparò in pieno petto, uccidendola. Bardo fu ovviamente condannato per omicidio. Ma non per i comportamenti precedenti.
Questi due fatti di sangue sconvolsero le coscienze dei californiani, per la loro natura assurdamente prevedibile, ma anche per l’inefficacia delle leggi del tempo, non in grado di fornire idonei strumenti di prevenzione in casi del genere. Infatti, nonostante l’indignazione dell’opinione pubblica che considerava le autorità incapaci di bloccare questi evidenti potenziali assassini, continuarono a seguitare gli omicidi, cinque per l’esattezza ed in un breve lasso di tempo. Delitti del tutto simili per modalità a quello della Shaeffer, sempre a Los Angeles, nella ricca Contea di Orange. Il magistrato John Watson venne incaricato di giudicare i casi in questione. Watson non trovò, in tutte le norme a sua disposizione, la possibilità di considerare gli omicidi alla luce delle particolari condotte ossessive e minacciose poste in essere prima degli assassinii. Stese quindi egli stesso la bozza del progetto di legge che, in definitiva, divenne nel 1990 la prima legge antistalking degli Stati Uniti.
Da quel momento gli Usa divennero il Paese più all’avanguardia nell’affrontare un crimine di nuova concezione che si estende oltre i confini delle violazioni di diritto comune: lo stalking. Ma non solo. Più in generale dagli anni Novanta in poi è aumentata notevolmente la sensibilità dell’opinione pubblica verso tutti i reati di violenza scaturiti da atteggiamenti di prevaricazione, tipici ad esempio nelle violenze tra le mura domestiche o nelle violenze sessuali. Queste fattispecie criminali oltre a ferire, se non uccidere il corpo, sviliscono la dignità, annichiliscono la coscienza e degradano la persona umana. Intaccano quindi i diritti fondamentali dell’uomo.
Oggi, per affrontare queste problematiche, lo spirito pragmatico delle norme statunitensi, prevede solo alcune inderogabili e superiori leggi federali, lasciando poi autonomia normativa ai vari stati della federazione e, in essi, alle varie Contee che li costituiscono. Di conseguenza in ogni singola Contea si sviluppano strategie differenti volte al contrasto ed alla prevenzione dello stalking e delle violenze domestiche e sessuali. Si produce cioè una statuizione che risponda, come diritto positivo, alle necessità della realtà contingente in cui vige.
Esiste però una previsione comune di tutte le normative antistalking e di contrasto alle violenze domestiche e sessuali, ovvero la creazione e la più ampia diffusione sul territorio Usa, di agenzie paragovernative specializzate nel contrasto e nella prevenzione di questi reati.
La dott.ssa Robin Clover dirige dal 2001 uno di questi centri: il Sublette County Sexual Assault Family Violence (Safv) Task Force, operativo dal 1983 nella Contea di Sublette (Wyoming). A suo parere la profonda conoscenza del contesto sociale in cui si opera e la stretta e leale cooperazione tra le autorità, oltre al supporto finanziario del governo, sono le tre fondamentali caratteristiche di queste strutture. Queste condizioni, secondo la dottoressa Clover, sono necessarie per raccogliere il consenso e la fiducia della popolazione.
Dottoressa Clover, dal 2001 è la direttrice del Sublette County Sexual Assault Family Violence (Safv) Task Force. Vuole spiegarci le finalità di questa associazione?
Il Safv Task Force è un’agenzia che offre protezione e assistenza alle vittime di stalking, violenza domestica e violenza sessuale. Obiettivi primari dell’organizzazione sono non solo il supporto immediato alle persone che richiedono assistenza, ma anche perseguire un profondo cambiamento sociale tramite l’educazione che svolge una funzione preventiva.
Nel corso della nostra esperienza diretta, abbiamo maturato la convinzione che nella maggioranza dei casi le violenze nascano da precedenti atteggiamenti di potere e controllo di una persona nei confronti di un’altra. Questi comportamenti, protratti nel tempo, possono sfociare in veri e propri atti criminali. Questo abuso di potere, se così si può dire, in ambito soprattutto familiare, sta contribuendo all’ascesa di varie forme di violenza nella nostra società. E’ per questo che cerchiamo di essere più possibile efficaci nella prevenzione, cercando di far conoscere a tutta la popolazione quali aspetti caratteriali e quali atteggiamenti personali, possano essere un campanello d’allarme per possibili futuri episodi di violenza. Lo scopo è fornire strumenti conoscitivi alle potenziali vittime, ma anche quello di poter ingenerare nelle menti di potenziali attori negativi un self-change, un auto esame critico che li porti a migliorarsi.
Ci può delineare la struttura del Safv Task Force?
La sede principale si trova nella cittadina di Pinedale, ma abbiamo altre sedi in differenti città.
Un Consiglio di Amministrazione è il nostro organo di governo. Esso è responsabile del controllo fiscale e della politica del centro. Io sono la responsabile delle operazioni da svolgersi quotidianamente e informo regolarmente il Consiglio sulle nostre attività.
Abbiamo poi un’unità di crisi 24 ore su 24, 7 giorni su 7, gestita da sei assistenti volontari, sempre presenti a turno. I volontari soprattutto Americorps [corrispondente per analogia al nostro servizio civile n.d.r.] sono una parte importante del nostro programma. Ci sono poi 4 impiegati a tempo pieno ovvero: il direttore del programma, un coordinatore dei servizi di emergenza, un assistente amministrativo e un coordinatore dei servizi di prevenzione.
Cosa troverà concretamente una persona in difficoltà che decida di rivolgersi a voi? E come verrà poi reinserita nella società, permettendole una vita autonoma, senza più il vostro aiuto?
Nel momento in cui una persona che ha subito un qualche tipo di violenza o evento drammatico si rivolge alla nostra organizzazione, verrà accolta da una struttura che si prenderà cura in ogni aspetto delle sue necessità: tutela della sicurezza e salute personale, tutela legale, fornitura di alloggi sicuri e anonimi, se necessario anche per figli o prossimi congiunti, gruppi di sostegno psicologico, assistenza finanziaria. Ovviamente dopo un primo periodo, più o meno lungo a seconda dei casi, dove si supererà la fase di crisi, ci adopereremo affinchè le vittime riacquisiscano completa autonomia. A questo proposito abbiamo sviluppato programmi volti a recuperare i meccanismi autodecisionali anche sotto stress e a recuperare il senso dell’autostima che inevitabilmente viene meno nei casi di cui stiamo trattando.
Altri programmi mirano al recupero di una normale vita sociale e lavorativa. Ciò avviene attraverso un graduale reinserimento nella vita della comunità, supportando in tutti i modi i nostri assistiti. Un esempio possono essere le borse di studio, che istituiamo per permettere a chi ne avesse bisogno di riprendere e terminare gli studi.
Dottoressa Clover, ci ha appena elencato una serie di importanti ma costosi servizi che il vostro centro è in grado di offrire. Potrebbe spiegarci brevemente come si finanzia il Safv Task Force?
Certamente. Il finanziamento proviene al 50% dal governo: sia federale (cioè gli Usa) sia statale (Wyoming). Un altro 25% invece lo fornisce l’amministrazione della nostra Contea.
Infine per quanto riguarda il restante 25%, esso proviene da donazioni e attività di raccolta fondi da noi stessi svolte.
Dal vostro piano strategico per gli anni 2010/2012, emerge l’attività educativa da voi svolta presso scuole ed Università, ma anche l’utilizzo dei mezzi di informazione come strumento di attività culturale preventiva. Vuole darci qualche esempio concreto di queste attività?
L’attività educativa per noi è fondamentale. Andiamo nelle scuole per relazionarci direttamente con gli studenti, dalle scuole primarie alle superiori, fino alle Università ed anche in organizzazioni giovanili al di fuori del sistema scolastico. Ogni attività è buona per fare divulgazione: organizziamo incontri, lezioni, forniamo materiale informativo tramite opuscoli, invitiamo noti personaggi nazionali ad intervenire ai nostri dibattiti, addirittura cerchiamo di farci conoscere dal mondo giovanile offrendo piccole donazioni per feste di laurea ove sia bandito l’alcol!
Per i bambini invece è nato il progetto White Bird. Questo consiste nel raccontare delle fiabe, “sfruttandone” il significato metaforico. In questo modo possiamo arrivare a parlare di violenza con un approccio più adeguato all’infanzia. Il nome White Bird deriva dalla favola di Hansel e Gretel, nella quale un uccellino bianco aiuta i protagonisti a scappare dal pericolo. Insegniamo quindi ai bambini come sia importante rivolgersi agli “uccellini bianchi” in grado di aiutarli nella loro vita quotidiana, come insegnanti, amici, familiari.
Per quanto riguarda i media, distribuiamo a chiunque ce ne faccia richiesta il nostro piano strategico, offriamo numerose interviste televisive e ai giornali. Lo scopo di tutto questo è far capire, far conoscere, per cercare di cambiare le mentalità grazie alle quali può ingenerarsi violenza.
Le risulta che realtà operative come la vostra siano presenti in tutti gli Stati degli Usa?
Sì. Tutti gli Stati degli Usa hanno programmi di aiuto per vittime di stalking e violenza domestica, e comunque hanno diversi centri di crisi per le vittime di violenza sessuale. In alcuni Stati sono presenti centri che si occupano ognuno di un determinato crimine. In altri Stati, come il nostro, un solo centro si occupa di tutte e tre le fattispecie delittuose essendo tra l’altro strettamente correlate.
In Wyoming esistono 24 programmi simili al Safv, uno in ogni Contea.
Dalle statistiche in vostro possesso, emerge una prevalenza di determinate categorie sociali che richiedono i vostri servizi?
No, le persone che vengono da noi sono di qualsiasi razza, religione e livello sociale. Posso inoltre dirvi che abbiamo trattato anche casi di uomini vittime di stalking! Seppur in numero notevolmente inferiore alle donne. Quello che però sta emergendo nel corso degli anni, è una leggera prevalenza di donne economicamente non autosufficienti, quindi costrette a rimanere legate ad un uomo violento, loro malgrado, per mera necessità.
Sono aumentate le richieste di aiuto negli anni, nella sua Contea?
Sì, ma siamo quasi certi che l’aumento delle denunce e dei casi venuti alla luce, sia riconducibile al fatto che ormai la gente conosce il nostro centro e conosce i servizi da noi offerti. E’ più facile trovare il coraggio di uscire allo scoperto quando si sa dell’esistenza di luoghi nati proprio allo scopo di aiutarti concretamente, soprattutto se queste organizzazioni si trovano abbastanza vicine, logisticamente, a te.
Ho capito che la diffusione di questi centri sul territorio è un fattore che può fare la differenza, mi spiego: conoscere la comunità dove si opera, instaurare un rapporto leale e collaborativo al massimo con gli altri organi preposti ad intervenire in queste difficili e delicate situazioni, sono alla base del successo dei nostri interventi, e della fiducia che la popolazione ha in noi.
Lei afferma che la collaborazione tra i vari organi preposti ad intervenire in caso di stalking e violenze sessuale e domestica, è una delle basi della vostra attività. Come vi coordinate con le autorità locali?
La cooperazione tra le autorità è certamente un elemento imprescindibile. D’altra parte non si può rischiare che una vittima di violenza domestica, stalking, o di violenza sessuale, possa ricevere un disservizio causato dalle falle del sistema organizzativo. In termini generali il Safv Task Force collabora con l’ufficio dello Sceriffo, il Dipartimento dei servizi di famiglia, i Tribunali locali, gli uffici sanitari, i distretti scolastici e le comunità di fede.
Ogni anno inoltre viene redatto un Memorandum of Understanding ovvero un documento d’intesa tra tutti gli Enti interessati, in cui si stabiliscono delle linee guida volte a migliorare il coordinamento dei servizi, sulla base soprattutto dei risultati degli anni precedenti.
Qual è il reato prevalente con cui vi scontrate? Quali sono, a vostro parere le possibili cause?
L’86% dei casi si riferisce a violenze domestiche, il 10% a stalking, e il 4% a violenza sessuale. In generale le cause di reati tra le mura domestiche sono riconducibili all’errata convinzione da parte di un individuo, di avere il diritto di prevalere e prevaricare l’altro a qualsiasi costo.
Devo però sottolineare come i dati relativi alla violenza sessuale, che emergono da questa statistica, delineino un quadro troppo “roseo”, cioè stimano una frequenza del reato certamente inferiore a quello che realmente avviene. Questo perché ancora oggi risulta difficoltoso per molte donne, riuscire a denunciare una violenza sessuale, soprattutto, è importante ribadirlo, quando avviene tra le mura di casa.
Come si integrano i vostri programmi con quelli delle altre Contee e degli altri Stati?
Come detto precedentemente esistono 24 programmi come il nostro, uno per ogni Contea. I rappresentanti di ogni programma si riuniscono regolarmente al fine di scambiarsi informazioni e discutere delle strategie più efficaci nel contrasto di questi reati. Questa assemblea è chiamata Wyoming cooperation against domestic and sexual violence.
Per quanto concerne gli altri Stati della Federazione, ognuno istituisce un programma del tutto autonomo e secondo le leggi del proprio Stato, fatto salvo il rispetto delle leggi federali.
Negli ultimi anni, in Italia, si è legiferato in maniera specifica sul reato di Stalking (legge 23 aprile 2009, n. 11. artt. 7-12), permettendo finalmente alle autorità competenti di agire in prevenzione, grazie all’Istituzione del reato di “atti persecutori”. Ci sono, secondo la sua esperienza, sufficienti strumenti legislativi statali e federali in Usa per questo tipo di reati?
L’autonomia legislativa dei diversi Stati della Federazione, permette la promozione di statuizioni adeguate alle esigenze di ogni diverso contesto, ferma restando, ovviamente, l’osservanza delle superiori leggi federali, laddove vi fossero. Per questo ogni Stato ha una sua peculiare normativa anche in tema di stalking, violenza domestica e violenza sessuale.
Tuttavia il governo centrale degli Stati Uniti negli anni ha elaborato una legislazione sempre più attenta e pragmatica che offre notevoli strumenti a chi, come noi, opera sul campo. Tra tutte credo meriti d’essere citata la legge federale del Violence Against Women Act, la quale, tra le altre cose, ha permesso di aumentare il finanziamento federale a programmi come il nostro.
Quali sono i presupposti fondamentali che devono essere presenti per realizzare programmi come il vostro?
A chi mi rivolge questa domanda rispondo sempre con i tre punti fondamentali:
1. supporto della comunità, che si ha instaurando rapporti di fiducia;
2. determinazione, preparazione e collaborazione degli addetti ai lavori;
3. supporto finanziario.
Infine, quel che pure è determinante in casi delicati come quelli di cui si parla, è fornire risposte adeguate e personalizzate caso per caso, conoscendo a fondo il contesto socio-culturale in cui opera.
Ci può fare un breve esempio di un caso che le è stato particolarmente a cuore?
Certo. Ricordo che nei primi anni come direttrice del Sublette County Ssfv Task Force, entrai subito in contatto con un caso piuttosto complesso.
Si rivolse a noi una donna, sulla cinquantina, la quale da anni era vittima di vessazioni e violenze da parte del compagno. Stranamente, e per più di una volta, dopo aver richiesto e fatto attivare tutti i servizi e le relative procedure del nostro centro, la donna decideva di far ritorno sempre dal compagno, pur sapendo quello che le sarebbe costato. Dopo diversi tentativi andati a vuoto si decise di affidarla ad un team di specialisti con lo scopo di capire la causa di questo comportamento anomalo. Ci vollero lunghi mesi di consulenza, con un dialogo quotidiano. Finalmente venne alla luce un trauma infantile che era stato riposto per anni nei meandri della sua mente. Già da bambina infatti era stata sottoposta ad una violenza, in ambito domestico. Questo ricordo fu fondamentale per riuscire a comprendere come nel compagno attuale identificasse lo stretto parente che aveva abusato di lei e dal quale, pur avendolo desiderato, non poteva staccarsi all’epoca dei fatti perché ancora bambina.
La comprensione dell’origine del suo strano comportamento, le permise infine di fuggire da quel rapporto distruttivo e di evitarne altri in futuro.
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Fino al 1989 (caso Shaffer) l’unico strumento di difesa per le vittime di stalking consisteva nei Civil Protection Order, (Ordini restrittivi o di Protezione civile), i quali intimavano ad un molestatore o presunto tale, semplicemente di evitare contatti con la vittima. La limitatezza di questi ordini risiedeva nella loro ammissibilità, che differiva poi da Stato a Stato. In alcuni Stati, ad esempio, era previsto un rapporto giuridico riconoscibile tra vittima e autore del reato (come il matrimonio), in altri tali ordini potevano essere emessi solo in seguito ad una avvenuta violenza fisica, vanificandone il senso.
Per ovviare alle carenze degli Ordini restrittivi, i giudici potevano avvalersi dell’ampio uso discrezionale delle leggi penali previsto negli Stati Uniti, cercando reati già presenti nell’ordinamento, che si avvicinassero alle condotte dello stalker, come molestie, minacce, minacce a mezzo telematico ecc.
Autorevoli giuristi americani hanno però sottolineato l’inadeguatezza di questa pratica. Le leggi utilizzate per sopperire alla mancanza di una normativa specifica antistalkig, non consideravano due caratteristiche fondamentali insite nella condotta dello stalker: la natura ripetitiva di atteggiamenti ossessivi e la grande gamma di questi atteggiamenti bizzarri, i quali non possono tutti essere previsti dalle norme, ma devono essere considerati ad un livello di maggiore astrattezza.
Nel 1990 la California è il primo Stato del mondo a dotarsi di una chiara e peculiare legge antistalking (a seguito di scioccanti casi di cronaca).
Nel 1993 il Congresso, allo scopo di fornire delle linee guida agli Stati per la stesura delle varie leggi antistalkig, incarica la National Criminal Justice Association di produrre un vero e proprio modello. Il risultato sarà il Model anti-stalking Statute. Molti Stati in seguito modificarono le statuizioni interne proprio per accordarsi all’esempio proposto dal Congresso.
Nel 1996 viene approvata la prima legge federale antistalking: la Interstate Stalking Punishment and Prevention Act. La legge permette tra l’altro il superamento dei confini statali: gli ordini restrittivi emessi in uno Stato valgono da ora in poi in tutti gli Stai Uniti.
FOTO: Robin Clover
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