In un convegno a Torino, promosso dal Centro
di Documentazione, Ricerca e Studi della Cultura
Laica, diversi dissidenti islamici hanno potuto
far sentire la loro voce che ha generato un sano
e acceso dibattito di idee
Torino. Centro storico. Circolo dei lettori. Ampie vetrate e soffitti alti con stucchi. In una antica cornice nobiliare, che ospita importanti eventi della vita culturale dell’antica capitale sabauda diversi dissidenti islamici hanno potuto far sentire la loro voce in una contesto sicuro. Sicuro perché laico. A organizzare l’evento infatti, dal titolo “L’Islam in occidente” era il Centro di Documentazione, Ricerca e Studi sulla Cultura Laica “Piero Calamandrei” (www.centrostudicalamandrei.it). Una tradizione laica di vecchia data ed illustre, quella di Torino che negli ultimi tempi sembrerebbe forse rinascere grazie anche alle attività della Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni. Convegni, rassegne di film, dibattiti, mostre e altri eventi culturali tutti tesi a contrastare l’egemonia religiosa, nella maggior parte dei casi cattolica, sul mondo politico. Senza però dimenticare nuovi ma non meno preoccupanti attacchi alla laicità, come quelli portati avanti in nome della religione islamica. Se da un lato l’obbiettivo del convegno era presentare al pubblico un quadro d’insieme della situazione delle comunità islamiche nel contesto europeo, dall’altro proprio la matrice laica del convegno ha permesso ad alcuni nomi di spicco della galassia di coloro che pur di cultura musulmana, si oppongono alle derive dell’integralismo islamico e lottano a favore della laicità come strumento politico di difesa dei diritti di tutti.
Questo ha permesso un sano per quanto a volte acceso dibattito di idee senza che nessuno proferisse minacce o impedisse ai vari intervenenti di esprimersi. Certe derive, è il caso di dirlo, nei contesti laici non accadono.
Pubblico attento e partecipe e interventi di rilievo. Per quanto, a volte, decisamente discutibili. Come è il caso della studiosa francese Marjiorie Moya che, nel corso della sua relazione ha usato termini come “discorso normativo” riferito alle politiche laiche dello stato francese o “separazione tra la realtà e la cronaca raccontata nei media”, come se i vari episodi documentati di attacco alla laicità da parte degli estremisti islamici anche in Francia fossero frutto di mera fantasia. Molti accademici, per quanto preparati, seguono una corrente di pensiero post-moderna che glorifica ed enfatizza positivamente tutto ciò che è diverso tout court. Uno stato laico viene quindi visto negativamente e questo è venuto fuori dalle espressioni usate dalla ricercatrice. O da alcune sue omissioni ad hoc. Come il fatto di non aver ricordato che la legge contro il burqa non fa alcun riferimento né a questioni religiose né di parità tra uomo e donna ma si appella a questioni legate alla sicurezza e alla necessità di identificare tutti i cittadini della repubblica. O il fatto che nessuna donna velata sia mai stata aggredita ma che a volte le donne vestite in modo non islamicamente corretto lo siano state. O il fatto che la Commisione Stasi che aveva dato il via libera alla legge del 2004 proprio ascoltando la testimonianza di ragazze musulmane che dicevano che se a scuola il velo sarebbe stato permesso allora la pressione da parte delle comunità nei loro confronti sarebbe aumentata. Interessante notare che la studiosa ha usato il termine ostensibile relativo all’abbigliamento religioso mentre la legge vieta invece quello che è ostentatorio.
Molto meno culturalmente connivente con la cultura religiosa islamica è stato il britannico Rumy Hasan, docente alla University of Sussex di Brighton che ha raccontato come, per colpa del multiculturalismo, sempre più in Gran Bretagna, il livello di coesione sociale si sta sfaldando. Lo stato finanzia e sostiene iniziative sociali e culturali a favore delle varie comunità etniche e religiose e questo come risultato ha prodotto una sempre maggiore segregazione razziale. Segregazione dovuta solo in minima parte al razzismo da parte della maggioranza della popolazione di bianchi e molto al desiderio di autoisolamento da parte delle varie comunità religiose, islamiche in primis ma anche, seppur in misura minore, indù e sikh. Hasan ha parlato con chiarezza del distacco psicologico che è sempre più in atto tra i membri delle comunità islamiche che costruiscono barriere culturali e sociali sempre più forti con la restante parte della popolazione. Queste comunità, pur vivendo in un determinato spazio geografico sono con la mente in un altro posto e vivono secondo regole diverse dagli altri cittadini britannici.
Shokat Norouzi, vicepresidentessa della Commissione Esteri del Consiglio Nazionale della resistenza iraniana, ha riferito dell’abuso e dello storpiamento delle leggi islamiche da parte del regime teocratico dell’Iran e delle brutali violazioni dei diritti umani che in nome di queste leggi vengono commesse.
Monica Lanfranco, giornalista e scrittrice, ha ricordato quanto sia importante preservare ed espandere la laicità dello stato per garantire la libertà e la dignità delle donne e proteggerle dagli integralismi religiosi che le vorrebbero trattare come delle minori e relegarle a ruoli subalterni. Tra gli altri relatori tre in particolare hanno destato attenzione. Abdellah Mechoune, presidente dell’Organizzazione Islamica del mondo arabo ed europeo, l’unico imam in Italia ad essere presente al processo contro i familiari di Hina che ha anche portato un omaggio agli organizzatori della conferenza. Italiano naturalizzato da pochi mesi, 35 anni di origine marocchina, Abdellah, vestito in giacca e cravatta, appare una figura degna di attenzione e capace di posizioni controcorrente.
Maryam Namazie, britannica di origini iraniane, è la combattiva portavoce di “One law for all” (www.onelawforall.org.uk), comitato che si batte per la messa al bando dei tribunali islamici nel Regno Unito denunciando le pratiche misogine e liberticide degli stessi. Profuga iraniana la Namazie è anche impegnata nella campagna a favore di Sakineh.
Wassyla Tamzali, franco-algerina, si batte da anni con determinazione e coerenza contro le derive dell’estremismo islamico non solo nel Maghreb ma anche in Europa. Fieramente femminista e laica la Tamzali denuncia anche il relativismo culturale che sta permettendo derive integraliste sempre più preoccupanti. Nelle pause dei lavori del Convegno hanno accettato di essere intervistati.
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