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Marzo - Aprile/2011 - Analisi
Il Risorgimento visto da Gramsci
di Belphagor

Nel pensiero di Antonio Gramsci l’indagine sulla cultura nazionale e popolare, nel suo rapporto con la cultura filosofica, assume un rilievo significativo, anche in relazione al problema della costruzione nazionale dello Stato italiano, a partire dal Risorgimento. In un contesto come quello attuale, nel quale torna centrale la riflessione sulle radici dello Stato nazionale, anche in occasione delle celebrazioni sul 150° dell’Unità e delle tensioni culturali e politiche che rimettono in discussione l’unità del processo risorgimentale, quello di Gramsci si presenta come l’ultimo grande tentativo novecentesco di pensare in maniera organica l’Italia come nazione moderna e di rintracciarne un’identità culturale e popolare”: così inizia la prefazione di Gaspare Polizzi al volume, da lui curato, “Tornare a Gramsci – Una cultura per l’Italia”, promosso dall’Istituto Gramsci Toscano, pubblicato da Avverbi. Una raccolta di sedici saggi realizzati nell’ambito delle iniziative sviluppate dall’Istituto nel 2007 per la celebrazione dei settanta anni dalla morte di Gramsci.
Tornare a Gramsci? A molti, per carenza di elementi conoscitivi, potrà sembrare un invito pressoché incomprensibile. Mentre a qualcuno suonerà addirittura quasi blasfemo. Perché Antonio Gramsci, non dimentichiamolo, era comunista. Anzi era uno dei fondatori del Partito comunista d’Italia (predecessore del Pci), e, rinchiuso nel carcere fascista, restava la sua figura di riferimento ideologico. Anche se con qualche occasionale dissonanza. E Gaspare Polizzi (autore del saggio “Leopardi e Gramsci di fronte alla modernità”) parla di “ultimo grande tentativo novecentesco di pensare in maniera organica l’Italia come nazione moderna”. Dobbiamo forse oggi – inorridisca chi vuole – affidarci al pensiero di un dirigente comunista della prima ora per esaminare i vari aspetti, positivi e negativi della nostra nazione?
Ma i comunisti non sono quelli che hanno sbagliato tutto, sia pure – secondo i critici più benevoli – in buona fede, e magari con le migliori intenzioni?
Sia come sia, forse il parere di questo comunista (al quale secondo Mussolini si doveva “impedire di pensare”) merita di essere ascoltato. E va detto che a rimettere in questione il processo unitario risorgimentale intervengono non solo “tensioni culturali e politiche”, ma anche argomenti e atteggiamenti di livello piuttosto infimo.
***

Nel capitolo intitolato “La nazione mancata”, Alberto Burgio riporta le riflessioni di Gramsci su “Le rivoluzioni passive in Italia”. Scrive Burgio: «Secondo Gramsci, una rivoluzione passiva è un processo di trasformazione diretto dalle classi già al potere. Per tale ragione queste rivoluzioni sono processi in qualche misura paradossali: è proprio soddisfacendo istanze sociali di rinnovamento, spinte evolutive provenienti dal basso, che le classi dominanti riescono a “salvare il loro particolare”. Questo fatto comporta rilevanti conseguenze. Come mostrano le rivoluzioni classiche (a cominciare dalla rivoluzione francese, per Gramsci paradigma delle rivoluzioni “attive”), ad avere interesse a profondi mutamenti in senso progressivo dello stato di cose esistente sono in genere le classi subalterne».
Nel Risorgimento, la spinta delle forze progressiste rappresentate da Mazzini, Garibaldi, Ferrari, Pisacane, e altri fautori del Partito d’Azione, alla fine furono fortemente condizionate dai conservatori. Di qui la definizione gramsciana di “rivoluzione passiva”: «Il processo unitario italiano che per l’appunto Gramsci definisce “uno svolgimento storico complesso e contraddittorio”, una transizione si intreccia a un quadro di conservazione. Trasformazioni profonde, marcatamente progressive, sono, per paradosso, garanzie del consolidamento della struttura sociale e del quadro dei poteri politici costituiti». In particolare Gramsci sottolinea «l’arretratezza della borghesia democratica sullo sfondo del processo unitario, arretratezza che determina secondo Gramsci l’egemonia dei moderati e la conservazione della “posizione politica ed economica” delle “vecchie classi feudali”, mantenute con funzioni “governative” nel quadro dei soggetti dirigenti. La premessa è che esistono nell’Italia, alle origini del processo unitario, “gli stessi problemi impellenti che nella Francia dell’antico regime”, che oltr’Alpe hanno condotto alla Rivoluzione e alla costituzione del nuovo Stato nazionale borghese». Nella sua analisi Gramsci individua due aspetti principali: «Il primo rimanda al contesto specifico, storicamente determinato, sul cui sfondo si dispiega il processo unitario, cioè alla configurazione dei soggetti in campo e delle problematiche politico-storiche all’ordine del giorno». Su questo piano Gramsci chiama in causa in primo luogo la renitenza della borghesia italiana a realizzare una coraggiosa riforma agraria, che nel cementare l’alleanza con il lavoro contadino avrebbe tuttavia stimolato ulteriori mutamenti, non compatibili con la forma sociale esistente. Questo Gramsci intende definendo quella italiana una “speciale borghesia rurale” e scrivendo che “è mancato nel Risorgimento … un fermento ‘giacobino’ nel senso classico della parola”.
Di qui anche il fatto che l’industrializzazione non è stata “una rivoluzione economica di carattere nazionale”, marcando le differenze economiche tra le diverse regioni.
***

Ovviamente Antonio Gramsci, morto nel 1937, rapporta le sue conclusioni all’Italia del suo tempo, e comunque sostiene che «il processo unitario abbia costituito uno svolgimento fondamentalmente progressivo». Dopo Gramsci ci sono state la guerra, la Resistenza, la Repubblica, la Costituzione, e – piuttosto che voler cancellare il Risorgimento - ci si dovrebbe chiedere in quale misura sia avanzato, e che cosa manchi a completare l’opera. Magari con un po’ di fermento giacobino.
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Per approfondimenti sul tema si consiglia:
“Tornare a Gramsci – Una cultura per l’Italia”. Promosso dall’Istituto Gramsci Toscano. A cura di Gaspare Polizzi. Autori: Bartolo Angiani, Massimiliano Biscuso, Lucia Borghese Bruschi, Alberto Burgio, Giuseppe Cacciatore, Pietro Clemente, Tullio De Mauro, Maria Fancelli, Giulio Ferroni, Gianluca Fiocco, Giuseppe Guida, Antonino Infranca, Franco Lo Piparo, Michele Maggi, Gaspare Polizzi, Mario Quaranta. Avverbi Edizioni. Pagg. 374. ? 14,00.

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