M ai come in questo periodo si parla di giustizia, ma delle ingiustizie chi ne parla?
Il 18 dicembre 1998, otto sindacati di Polizia, tra i quali chi scrive - all’epoca dei fatti tutti appartenenti alla stessa sigla sindacale - divulgarono un comunicato interno, sul proprio organo ufficiale di informazione, che terminava con gli auguri di Natale e alcune strofe ironiche in rima. L’unico obiettivo del documento era quello di criticare l’inerzia dell’allora questore della provincia di Forlì-Cesena, a causa di un episodio che tuttora, se si vuole usare un eufemismo, ha dell’incredibile.
Tutto ebbe inizio con il servizio di scorta ad un collaboratore di giustizia, svolto da personale del commissariato di Cesena. Partenza nel primo pomeriggio con direzione Roma, a bordo di auto civile sprovvista di protezione passiva. Sostituzione con auto blindata poi, senza soluzione di continuità, ritorno verso una nebbiosa città del nord Italia nella quale il collaboratore di giustizia, la mattina seguente, doveva essere sentito dal magistrato. Al termine del colloquio rientro a Cesena.
Il servizio di scorta, estremamente delicato per la sua natura, durata, itinere, mezzi impiegati, condizioni atmosferiche, ecc., venne valutato dagli stessi partecipanti e dagli estensori del documento carente delle più elementari misure di sicurezza e privo di tutela, sia per gli operatori di Polizia che per il collaboratore di giustizia.
Il questore, autorità provinciale di Pubblica sicurezza nonché referente per i rapporti con i sindacati di Polizia, non accettò assolutamente l’addebito, anzi, senza preoccuparsi per quello che sarebbe potuto accadere durante un servizio così ad alto rischio, decise fosse più saggio non attivarsi per ricercare le eventuali responsabilità del “disservizio”, ma, sentendosi offeso e denigrato nella propria dignità personale, pensò fosse più opportuno denunciare gli otto poliziotti/sindacalisti.
Il pubblico ministero, dopo gli accertamenti di rito, il 24 marzo 1999 chiese il rinvio a giudizio per tutti gli imputati, accusandoli di “diffamazione aggravata a mezzo stampa”. Nell’udienza preliminare del 22 maggio 2003, il giudice del Tribunale di Forlì dichiarò tutti gli imputati assolti perché “il fatto non costituisce reato”.
In data 11 giugno 2003, il pubblico ministero, evidentemente insoddisfatto, ha proposto ricorso in appello avverso la sentenza di assoluzione. Da allora un silenzio assoluto circonda gli otto pubblici ufficiali, prigionieri, e nello stesso tempo vittime, della giustizia/ingiustizia e della lentezza burocratica.
A questo punto la domanda che sorge spontanea è: che giustizia è mai questa?
Considerato che da oltre dieci anni, e chissà per quanti altri anni ancora si andrà avanti; considerata l’assoluzione degli imputati in primo grado; considerata l’avvenuta prescrizione del “gravissimo” reato eventualmente commesso; considerato che qualcuno è già andato in pensione ed altri stanno pensando di andarci; per quanto tempo ancora questi onesti servitori dello Stato dovranno subire questa attesa di giustizia, tuttora pendente sulle loro teste come la spada di Damocle?
A tale proposito è giusto che per avere svolto la propria funzione di sindacalisti, evidenziando gravi carenze organizzative dell’Amministrazione ed a tutela di lavoratori e cittadini nell’attività di Polizia, si possa essere privati di alcuni diritti?
Ebbene sì, dopo il danno la beffa. Sì, perché a prescindere da quanto “costano” le vicende giudiziarie - tra carte bollate, avvocati, viaggi, tempo, stress ed altro ancora - come sappiamo, indipendentemente dal torto o dalla ragione, gli otto poliziotti/sindacalisti sono stati tutti privati, e sottolineo privati, dal 1998 anche dei riconoscimenti e delle onorificenze previsti dalla legge. Questo perché l’ordinamento della Pubblica amministrazione sancisce che fino a quando il grado di giudizio non è definitivo, si potrebbe ancora essere giudicati colpevoli e di fatto così si viene giudicati. E per fortuna in Italia c’è la presunzione di innocenza... Pertanto, con questa grave “macchia”, lo stato di servizio del pubblico ufficiale viene congelato.
Nel frattempo gli anni passano e con loro passa anche la possibilità di ricevere quanto si è guadagnato meritatamente durante un lungo percorso professionale, fatto di sacrifici e di impegno nel lavoro. Gratificazioni che, ad onor del vero, non sono indispensabili e non aumentano lo stipendio, ma si sà la vita è fatta anche di queste piccole ma grandi soddisfazioni personali.
Purtroppo, alla resa dei conti, cioè quando tutto sarà finito, senza vincitori né vinti, resterà solo tanta amarezza e un interrogativo: chi risponderà del danno materiale, morale e psicologico subito in questi anni dagli otto operatori di Polizia?
A questo punto, vista la richiesta di archiviazione della denuncia per offesa e vilipendio al Capo dello Stato, che ha scagionato a tempo di record l’onorevole Antonio Di Pietro, viene da chiedersi se la legge è veramente uguale per tutti.
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