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Gennaio - Febbraio/2011 - Laboratorio
laboratoriopoliziademocratica@gmail.com
Una norma divenuta anacronistica
di Antonio Patitucci Segr. Prov. Silp-Cgil - Roma

Cicerone, in una delle sue alte disquisizioni, precisava come la norma fosse concepita per una finalità positiva, che poneva l’uomo al centro delle priorità, ed evidenziava a tal proposito che il bene dell’uomo avesse prelazione rispetto al formalismo della norma, quando il presuposto di giustizia e verità fossero palesemente acclarati ed inconfutabili.
Il D.p.r. 737/81 (Regolamento di disciplina per gli appartenenti alla Polizia di Stato) è in vigore ormai da oltre un ventennio, si riferiva ad un contesto sociale ed ordinamentale completamente cambiato rispetto ad oggi.
E’ del tutto evidente che le finalità di tutela etica, deontologica ed ordinamentale che il D.p.r. 737/81 intendeva perseguire alla sua origine, vanno riviste alla luce di un contesto sociale stravolto, dove le relazioni parentali, il diritto di famiglia, le relazioni economiche, il concetto di etica e di morale, hanno acquisito nell’attuale ordinamento giuridico prospettive diverse rispetto a ieri, anche in funzione del ruolo, del contegno e del concetto di Pubblico ufficiale, ed in particolare dell’appartenente della Polizia di Stato, che si ricorda non è un militare.
Questo, per fare emergere che la disciplina in argomento, sia realmente obsoleta, anacronistica e quindi ingiusta ed inefficace.
Infatti quando una norma non è comunemente riconosciuta ed accettata come equa e giusta, ottiene il più delle volte il risultato opposto rispetto alla volontà del legislatore. Inoltre l’attuale sistema accusatorio dove l’onere della prova è del tutto a carico dell’accusato, pone il dipendente in una condizione di piena soggezione procedurale rispetto all’accusa.
Un esempio concreto di quanto possa essere paradossale la disciplina di cui parliamo, farà capire meglio le gravi incongruenze.
La contestazione per non aver onorato i debiti, spesso è un’afflizione ingiusta che riguarda gli appartenenti della Polizia di Stato, indipendentemente che il mancato adempimento del debito sia dovuto all’impossibilità di pagare per manifesta povertà.
Infatti l’esimente della impunibilità per “causa di forza maggiore”, prevista dal nostro ordinamento, anche se non esclude la responsabilità civile per debiti assunti, dovrebbe escludere la responsabilità disciplinare quando il contegno, quindi la condotta del dipendente, esclude la sua volontà a non adempiere, con manifesta assenza di colpa.
Un caso concreto che si rinnova spesso riguarda il poliziotto separato. Sentenze sproporzionate rispetto alle risorse economiche realmente disponibili del coniuge, “infliggono” il pagamento di assegni per alimenti, che arrivano fino a due terzi dello stipendio, costringendo il dipendente ad una condizione finanziaria, che lo pone al di sotto della soglia di sopravvivenza e realizzando una condizione oggettiva che rende impossibile adempiere ad un eventuale precetto, in ragione di una procedura esecutiva.
Di converso l’Amministrazione, pur avendo tutti gli elementi che palesano l’impossibilità a pagare, e quindi la causa di forza maggiore, che esclude qualunque volontà colposa del poliziotto separato, concesta pedissequamente la sanzione e burocraticamente applica, infierendo, l’art. 4 del D.p.r. 737/81 (pena pecuniaria), che va da 1 a 5 trentesimi.
Questo è uno dei casi concreti che delineano una impalcatura normativa, dell’attuale regolamento di disciplina, che impone agli attori in gioco, e in primis ai sindacati di Polizia, di attivarsi tempestivamente per emendare e rinnovare la norma de quo, affinché una categoria già afflitta per tanti motivi, non sia pregiudicata ingiustamente anche a causa di una legge non più capace di interpretare le reali esigenze di una nuova realtà professionale, che si confronta quotidianamente con la complessa società di oggi.

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