Nella sua città natale
presso i Musei di San Domenico
fino al 12 giugno
Con questa esposizione, la città di Forlì intende celebrare il suo artista più famoso, raccogliendo per la prima volta la parte delle sue opere mobili. Se già in passato (nel 1938 e nel 1994) Melozzo è stato oggetto di importanti esposizioni, non si è tuttavia mai potuto presentare un numero importate di opere superstiti, non si era condotta una riflessione sul ruolo centrale svolto dall’artista forlivese nella vicenda del Rinascimento italiano, preferendo studiarne la personalità nel contesto romagnolo. A questo proposito importante per la considerazione del Melozzo da parte della critica italiana è stata la mostra del ’38 voluta da Mussolini che lo vedeva più come mito romagnolo che come protagonista del Quattrocento italiano. Già ricordato come pittore in un documento del 1461, Melozzo degli Ambrogi (1438-1494) si era ben presto allontanato da Forlì per attingere ai centri più vitali del Rinascimento, da Padova a Urbino a Roma dove divenne l’artista di punta negli anni dei pontificati di Pio II e Sisto IV, fino a meritarsi il titolo di pictor papalis. La sua ricerca era incentrata sulla bellezza della figura umana considerata in grado di imporsi come canone di una perfezione formale su tutto il creato. Su questa base si è potuto affermare che “senza Melozzo difficilmente si spiegherebbe Raffaello” (Antonio Paolucci). E’ su questa linea che la mostra intende studiare il Melozzo, restituendolo alla sua dimensione più autentica e innovativa. Per documentare il percorso dell’artista forlivese la mostra affianca alle sue opere capolavori degli artisti con cui venne in contatto nel corso della sua formazione, come Andrea Mantegna, Piero della Francesca, Bramente, Pedro Berruguete, tutti conosciuti a Urbino. Poi a opere di artisti conosciuti a Roma come Beato Angelico, Mino da Fiesole, Bartolomeo della Gatta e Antoniazzo Romano. Il cuore della mostra è il grande affresco staccato di Melozzo raffigurante Papa Sisto IV nell’atto di nominare l’umanista Bartolomeo Platina, prefetto della biblioteca apostolica. Per la prima volta questo capolavoro supremo è uscito dai musei vaticani. La scena rappresentata in questo dipinto è nota. In un ambiente di una classica eleganza, aperto in fuga prospettica, il grande intellettuale Platina riceve in ginocchio la nomina, circondato da dignitari e prelati. Il Papa Della Rovere affida all’affresco di Melozzo il valore di un vero e proprio manifesto politico. E Melozzo per primo con un linguaggio raffinato ed elegante erige la forma della pittura vaticana. La stessa che sarà in seguito soprattutto di Raffaello. Accanto a questo affresco sempre del Melozzo sarà accostato quello degli Apostoli e Gli Angeli Musicanti. Questi due dipinti stringono in emblema il messaggio della mostra, ovvero come nel tempo tra la metà del XV secolo e i primi anni de XVI secolo il periodo storico che i manuali chiamano il Rinascimento, l’ideale della bellezza si sia incarnata nella gloria e nello splendore delle umane sembianze. E come il forlivese Melozzo sia stato a suo tempo testimone e alfiere di quella incredibile vicenda.
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