Intervista ad Angelo Zappalà, criminologo
clinico e giudice onorario, sull’utilizzo
dello strumento della psicologia
da parte delle Forze dell’ordine
Da anni si occupa professionalmente dell’area di ricerca connessa alla psicologia investigativa e criminale che tratta ad ampio raggio delle connessioni e degli utilizzi della psicologia nel lavoro delle Forze dell’ordine, in particolar modo per ciò che concerne l’aspetto delle indagini. Angelo Zappalà, autore di diversi libri sull’argomento, oltre che criminologo clinico e giudice onorario esperto del Tribunale per i minorenni di Torino è anche direttore scientifico del corso universitario in perfezionamento in Criminologia e Psicologia Investigativa, giunto ormai alla quinta edizione ed organizzato dalla Scuola superiore di formazione Rebaudengo di Torino.
Senza andare in dettagli tecnici e specifici ho voluto intervistare Zappalà, nel suo studio nel centro storico di Torino. L’intervista è stata un modo per fornire il quadro generale riguardo alla psicologia criminale e da ciò, contemporaneamente, è scaturita un’interessante analisi sulle interazioni che i fenomeni criminosi hanno con il mondo dei media e la cultura in generale.
Quanto conta e quanto è contato in passato l’utilizzo della psicologia nelle indagini della Polizia? Si da alla psicologia il giusto peso o a volte un peso eccessivo?
Ogni volta che si indaga c’è una relazione con degli esseri umani, di conseguenza la psicologia c’entra sempre in particolar modo negli interrogatori, anche se magari in passato non era ufficialmente definita come tale. Ultimamente esiste una sovraesposizione mediatica nella letteratura, nella fiction e anche nei talk show anche per via della fascinazione che l’analisi psicologica di chi ha commesso un crimine e sulle motivazioni che l’hanno spinto a farlo suscitano nel pubblico di non addetti ai lavori.
Nelle Forze di polizia dal 1995 e nell’Arma dei Carabinieri dal 2005 si sta investendo sempre di più sugli aspetti psicologici in particolar modo per il criminal profiling e le tecniche di interrogatorio. Inoltre in seguito all’approvazione della legge anti-stalking c’è sicuramente un rinnovato e forte interesse per gli aspetti psicologici del lavoro portato avanti dalle Forze dell’ordine.
Quali sono gli ambiti specifici di indagini in cui l’uso della psicologia è assolutamente imprescindibile?
Sicuramente l’uso della psicologia è presente in tutti gli ambiti ma sicuramente i settori dove il suo utilizzo si rivela fondamentale riguarda l’ambito delle tecniche di interrogatorio sia per quanto riguarda i testimoni che le vittime/testimoni ed anche nei casi di reati sessuali, della negoziazione di ostaggi e del profiling delle caratteristiche socio-demografiche e di personalità di chi delinque.
Esistono studi dai quali si evince che l’utilizzo della psicologia criminale contribuisce fortemente alla risoluzione dei casi?
Non mi vengono in mente studi specifici in merito ma questo non significa che, anche se non è stato in qualche modo misurato in maniera chiara non sia utile. Ad ogni modo anche se le Forze di polizia non hanno analizzato la questione con studi ad hoc esistono comunque ricerche in tal senso in ambito accademico.
Non c’è la tendenza a volte a voler in qualche modo giustificare comportamenti criminosi con la scusa della religione, della cultura, della condizione sociale, storia familiare, ecc.?
Spiegare è un comportamento tipico dell’essere umano, visto che ci interroghiamo su tutto allora lo facciamo anche sui comportamenti criminosi per cercare di spiegarli. La comprensione di tali comportamenti viene a volte confusa con la giustificazione degli stessi, in psicologia sociale si parla di “errore fondamentale di attribuzione”.
Quando si analizzano delle vicende umane si sottostimano le contingenze e si giudica il comportamento individuale senza tenere conto delle circostanze. A livello macro le persone si formano un’opinione leggendo i media dove un determinato episodio o fenomeno ed anche le connesse modalità esplicative dello stesso sono semplificate. Nel caso dei processi l’incertezza e/o la leggerezza della pena genera nel cittadino comune che rispetta le leggi rabbia e frustrazione.
Qual è l’utilizzo che si può fare della psicologia per la riabilitazione di chi delinque? In che modo?
Sicuramente come nel caso di reati violenti e/o sessuali l’uso della psicologia o della psicoterapia può essere utile e di supporto anche se, certo, non funziona sempre. In alcuni casi, ad esempio con persone affette da disturbi legati alla sfera sessuale, la terapia psicologica magari associata all’uso di farmaci può dare dei risultati positivi.
Occorre diversificare l’approccio all’interno di un tipo specifico di atto criminoso? Ad esempio nel caso della violenza contro le donne, occorre distinguere tra stupro, crimini d’onore, violenza domestica, femminicidio?
La violenza contro le donne in tutte le sue accezioni avviene in maniera sproporzionata laddove la sfera politica e quella religiosa sono compenetrate ed esiste una forte differenza di diritti tra uomini e donne. Occorre comunque tenere conto di altri fattori come l’assunzione di alcool o di droghe che aumentano l’aggressività. Sicuramente tra le situazioni citate ci sono delle importanti differenze ed anche nelle risposte da parte dello Stato sia a livello punitivo che a livello preventivo è opportuno che l’approccio sia diversificato.
Ci sono culture e/o personalità in cui gli atti criminosi sono più possibili? Non lo si dice perché non è politically correct oppure perché non ci sono effettivamente dati in merito?
Alcuni tipi di personalità possono più facilmente generare comportamenti violenti ad esempio laddove sono presenti disturbi del controllo degli impulsi, deliri o allucinazioni. Ma anche senza andare nell’ambito psicotico i disturbi della sfera affettiva sono un indicatore di possibile e potenziale comportamento violento.
Per quanto riguarda il discorso della cultura credo di poter rispondere in modo affermativo. Laddove l’espressione individuale, a livello di diritti, libertà artistica, di pensiero e sessuale è inesistente o fortemente limitata, laddove la democrazia non è un valore fondante, laddove il diritto alla vita sembra secondario allora si genera un tipo di cultura che più facilmente è foriera di comportamenti violenti. Ad esempio se un bambino crescendo vede che l’aggressività è l’unico o il miglior modo di esistere e di comportarsi è molto facile che adotterà uno stile comportamentale aggressivo e violento. A questo si possono aggiungere fattori come la scarsa intimidazione punitiva e la percezione di corruzione che, come nel caso della malavita organizzata in Italia, aiutano l’esistenza ed il diffondersi di una cultura e di comportamenti criminosi.
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