Tra i lavoratori di Polizia registriamo una crescente disaffezione nei confronti dell’Amministrazione, ciò nonostante il loro incrollabile attaccamento al dovere e di abnegazione al servizio da offrire alla collettività.
Sempre più spesso ascoltiamo lavoratori della questura o delle varie Specialità della Polizia di Stato sfiduciati e delusi dagli atteggiamenti vessatori ed arroganti nella gestione del personale, nell’evidente e palpabile recrudescenza dell’uso dello strumento della disciplina e dalla scarsa comprensione e condivisione dei metodi adottati per la mobilità interna, il più delle volte percepita come clientelare o punitiva. Molti ci confidano di aver presentato richiesta di trasferimento ad altre sedi in e fuori Provincia. Continuando ad ascoltare i lavoratori, cerchiamo di comprenderne le reali motivazioni che nella domanda ufficiale non vengono mai menzionate, per pudore (nella migliore delle ipotesi) o per timore delle conseguenti ritorsioni nell’ambito lavorativo (quasi sempre). La disillusione e il disincanto è palpabile, l’unica alternativa ritenuta valida è il cambiamento e/o la fuga, proviamo a fargli capire che sarebbe inutile, i problemi da cui fuggono li raggiungerebbero ovunque.
Quasi sempre comprendo le reali motivazioni, quasi mai condivido il tipo di scelta, ho sempre preferito affrontare i problemi anziché fuggire. Dal momento in cui sono entrato a far parte della Polizia di Stato, già civile e sindacalizzata, ho deciso di dare il mio contributo per i lavoratori di Polizia, impegnandomi in prima persona nel movimento sindacale in generale e nel Siulp in particolare. Ho scelto questa e non altre organizzazioni sindacali in quanto da me ritenuta l’unica erede legittima del Movimento per la smilitarizzazione e sindacalizzazione del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, per la possibilità di essere riconosciuti da tutto il mondo del lavoro come lavoratori tra i lavoratori.
Personalmente tale mi sento e mi considero, in virtù delle esperienze lavorative precedenti e della provenienza famigliare. Operaio figlio di operaio e con questo bagaglio storico culturale ho affrontato con impegno il mio servizio per la collettività. Dichiaro sempre e senza problemi la mia provenienza culturale e sociale, nonostante che la “classe operaia” non faccia più tendenza, tranne che in alcune pellicole cinematografiche. Quest’esperienza di vita mi ha permesso di poter guardare all’ambiente lavorativo della Polizia di Stato con occhio critico che da un lato mi faceva apprezzare la certezza dello stipendio sicuro a fine mese, dall’altro mi faceva notare quali arretratezze vi fossero nel riconoscimento dei più elementari diritti contrattuali ed umani. Per questi motivi ho deciso di dare un contributo diretto alla salvaguardia dei diritti dei lavoratori di Polizia, in principio affiancando i “carbonari” presenti tra i quadri dirigenti del Siulp novarese, dopo qualche anno assumendo la massima responsabilità su richiesta della categoria.
Molte volte al collega che mi chiede “cosa ha fatto il sindacato per me?” rispondo “domandati: cosa ho fatto per il sindacato e quindi per gli altri?”. Fare qualcosa per far stare meglio gli altri, e di conseguenza anche se stessi, era la molla e il collante che tenne uniti nella lotta gli uomini del Movimento che, pur nelle avversità del momento, si sentivano forti perché sapevano di non essere “soli”. Invece, oggi, il cosiddetto “collega medio” si sente solo nell’ambiente di lavoro e di fronte alla gerarchia considerata sempre più becera nella percezione generale.
Il processo antidemocratico, controriformista e di separatezza nella Polizia di Stato è iniziato all’indomani della pubblicazione della legge 1° aprile 1981, n. 121 che ha sancito la fine del Corpo delle Guardie di Ps e la nascita della Polizia di Stato. Un dato emblematico, l’Amministrazione della Polizia di Stato non ha mai celebrato questa ricorrenza, quando ho avuto la possibilità di rivolgere questa curiosità a qualche “papavero” dell’Amministrazione, mi è stato detto che la motivazione è da ricercare nel fatto che celebrare la Festa della Polizia il 1° aprile “sta male, è brutto”.
Da tempo denuncio il processo di “carabinierizzazione” della Polizia di Stato. Alcuni dicono che sono il solito catastrofista, però è innegabile che dall’Atto Senato 56/1984, al d. l. 29/1993, alla l. 197/1995, alla l. 226/2004 la Polizia di Stato ha subito profondi cambiamenti e sicuramente non in senso migliorativo. Tra questi il ruolo dell’ispettore di Polizia è stato completamente svuotato delle funzioni assegnategli dalla l. 121/81 e sempre di più si è cercato di omologarlo e amalgamarlo a quello dei sovrintendenti e quest’ultimo a quello degli agenti assistenti, una bella massificazione senza profili professionali. Questo processo massificatorio non ha mai lontanamente sfiorato il quadro dei direttivi e dei dirigenti, che ci tengono a distinguersi e a non essere confusi, tanto da fare in modo che il sostituto commissario, in quanto appartenente al ruolo ispettori, lo sia nella forma e non nella sostanza, meglio non creare confusione.
Le donne, ormai di fatto escluse dai processi d’ingresso, su 100 a inizio corso, meno di 10 ultimano il percorso formativo nelle Forze armate per poter poi partecipare al concorso in Polizia. Gli operatori tecnici, considerati figli di un Dio minore, quasi certamente destinati ad essere fagocitati dal ruolo ordinario. L’ingresso, che avviene per uomini e donne, esclusivamente tramite un percorso di natura militare, e quindi di difesa, di 1 o 4 anni, rischia di snaturare il concetto stesso di Polizia di prevenzione in favore di un apparato di repressione. La moltiplicazione delle sigle sindacali che, di fatto, parcellizzano il consenso dei lavoratori minando dei fatti la reale rappresentatività.
Questo scempio della reale forza contrattuale dei lavoratori, da alcuni non disinteressati viene patrocinato ed accolto come indispensabile ed irrinunciabile processo democratico. Non è così.
Qualcuno in buona fede, altri sicuramente no, hanno spacciato questo processo involutivo nel contributo di allargamento e alla capillarizzazione dei diritti e delle tutele. In questi anni ho registrato il moltiplicarsi dei soggetti sindacali e all’allargamento degli organismi dei quadri dirigenti, preferendo dinamiche “normalizzatrici” del consenso anziché prendere in considerazione modifiche alle norme statutarie che fissi il limite del doppio mandato per i segretari generali a tutti i livelli, quale dimostrazione di grande coraggio e forza democratica interna ed esterna. Ritengo che queste dinamiche, apparentemente solo interne alle varie organizzazioni, vengano seguite con molta attenzione da pezzi del Dipartimento che, dal 1981 ad oggi, hanno operato “contro”, con le dinamiche del “dividi et impera”.
Mi auguro che così, come la stagione politica del maggioritario ha portato alla proliferazione dei partiti e di conseguenza dei sindacati, la nuova stagione politica che ci si sta presentando per il futuro, oltre a far riaggregare formazioni politiche in contenitori più grandi e quindi più rappresentativi, questo possa verificarsi per formazioni sindacali. Ciò per avere sindacati più forti e più rappresentativi, anche perché il fallimento delle federazioni sindacali dovuto alla voluta inapplicazione dell’art. 35 del Ccnl è palese, le federazioni sono un’imposizione contrattuale non condivisa, un escamotage, alla base non vi sono progetti comuni e ognuno continua a comportarsi in modo autonomo rispetto al soggetto federativo.
Servono Sindacati con la S maiuscola, più grandi e più forti nell’azione di controllo, di contrasto e di tutela, ciò per rendere il lavoratore meno solo e meno debole nei confronti della gerarchia. Una nuova stagione ci aspetta, speriamo che sia migliore.
|