Giuseppe Pignatone, capo della Procura
di Reggio Calabria, fa luce
sull’espansione della criminalità al nord
Italia e in Europa. In campo politico
rileva come la “mafia” calabrese punti
ad avere e crescere uomini suoi, così
da diventare autonoma da partiti
e schieramenti politici
L’inchiesta Infinito tra Reggio Calabria e Milano sta mostrando quanto e in quali forme la ’ndrangheta si sia radicata nel Nord del Paese. Si tratta solo di una “migrazione” di uomini delle cosche in Lombardia, o anche del trasferimento di un modello?
Premetto, per amore di precisione, che “Infinito” è il nome di una soltanto delle molte indagini collegate, coordinate dalle Dda di Milano e Reggio Calabria, confluite nell’operazione “Il Crimine”, che ha portato il 13 luglio 2010 ad oltre 300 arresti eseguiti in tutta Italia.
Due sono i risultati principali di questo insieme di indagini, assai complesse e articolate: da un lato, avere dimostrato che la ’ndrangheta non è costituita, come si è creduto finora, da una serie di cosche tra loro distinte e indipendenti e solo occasionalmente alleate, ma è, al contrario, un’associazione di tipo mafioso unitaria e con un organismo di vertice denominato “Provincia” o, appunto, “il Crimine”; dall’altro lato, avere dimostrato la presenza di questa associazione con numerose cosche (o “locali”) e centinaia di affiliati in Lombardia ed in altre regioni del nord Italia, oltre che all’estero. Non, dunque, la migrazione di singoli ’ndranghetisti, bensì l’espansione anche in quelle regioni dell’associazione mafiosa calabrese, con le sue regole, i suoi riti e le sue gerarchie che riconoscono la supremazia delle cosche-madri, quelle della provincia di Reggio. Proprio per questo sia noi che i colleghi milanesi abbiamo parlato di una vera e propria “colonizzazione”.
Sembrerebbe che la ’ndrangheta abbia superato cosa nostra per spirito di iniziativa e capacità imprenditoriale. Lei pensa che le cose stiano così? E in tal caso quali potrebbero essere le cause di questo superamento?
Non credo che si tratti di una maggiore o minore capacità imprenditoriale o di spirito di iniziativa, quanto di una maggiore propensione della ’ndrangheta, (per ragioni di vario ordine: culturale, economico ecc.), ad espandersi, riproducendo il suo modello originario, in tutte quelle regioni italiane o estere in cui si è realizzata l’emigrazione calabrese.
Inoltre, almeno dal 1984, e cioè dal primo maxiprocesso, ad oggi, hanno pesato su cosa nostra le difficoltà causate da un’azione repressiva dello Stato certamente più efficace e continua di quella posta in essere nei confronti della ’ndrangheta, ed alla quale si è inoltre collegata una crescente reazione della società civile siciliana.
Si dice che la ’ndrangheta, come cosa nostra e la camorra, cerca sempre dei rapporti con i politici, senza troppe distinzioni di parte. E’ proprio vero? Nella struttura della ’ndrangheta qual è il peso della sua “ala militare” rispetto ai colletti bianchi?
Le organizzazioni mafiose sono tali perché, oltre che sull’ala militare, possono contare su collusioni e connivenze in tutti gli altri settori della società e delle Istituzioni a cominciare dalla politica e dalla Pubblica amministrazione.
Fatta questa premessa fondamentale, le indagini di questi anni hanno dimostrato che le organizzazioni mafiose non hanno disdegnato di avere rapporti con esponenti politici di qualsiasi colore pur di raggiungere i propri fini; e che proprio per questo hanno privilegiato di regola chi deteneva il potere.
Anzi, le indagini più recenti concluse a Reggio Calabria un mese fa con l’arresto di un componente del Consiglio regionale, presidente anche di una delle Commissioni consiliari, hanno svelato un nuovo progetto delle cosche calabresi per non dover dipendere dai partiti ma avere una propria, autonoma forza politica: i boss intendevano concentrare i voti dell’intera organizzazione su pochi uomini di assoluta fiducia da fare eleggere prima al Consiglio provinciale e poi, dopo un ulteriore periodo di prova, a quello regionale e poi ancora al Parlamento.
Non esiste in realtà un tipo di politica più congeniale al sistema mafioso? E non si può addirittura ipotizzare che sia una certa politica ad alimentare quel sistema che unisce violenza, affari e potere?
E’ chiaro che la politica più congeniale al sistema mafioso è quella che non riconosce i diritti dei cittadini e realizza un sistema di intermediazione clientelare e parassitario che finisce per essere speculare a quello mafioso.
Per altro verso, non bisogna mai dimenticare che, come espressamente prevede la Costituzione, “la responsabilità penale è personale” e che scopo delle indagini e dei processi è appunto accertare questo tipo di responsabilità.
Perché in questa organizzazione criminale è così ridotto il numero dei collaboratori di giustizia?
In passato si è giustificato il ridotto numero di collaboratori di giustizia con i vincoli familiari che legano gli associati delle singole cosche. Credo che questa circostanza, senz’altro vera, spieghi solo in parte il fenomeno.
Negli ultimi mesi ben cinque appartenenti alle cosche hanno iniziato a collaborare con la Dda di Reggio Calabria: credo che si tratti di un segnale importante che trova origine, al di là delle motivazioni di ogni singolo caso, in una rinnovata efficacia e continuità dell’azione dello Stato in questa regione.
La Lombardia, ma non solo la Lombardia. Segnali analoghi si manifestano in Piemonte, Emilia Romagna, Liguria, in ogni area produttiva del nord. Tutto questo è dovuto solo all’intraprendenza dei mafiosi calabresi?
Evidentemente no. Vi è anche una minore consapevolezza, in quelle regioni, del pericolo rappresentato dalle organizzazioni mafiose e l’illusione che si possa ricevere o addirittura chiedere il denaro dei mafiosi senza correre il rischio di vedere poi i mafiosi pretendere, con i loro metodi, la propria parte nell’impresa o nell’attività commerciale.
L’indagine “Il Crimine” di cui abbiamo parlato all’inizio, e molte altre indagini nostre e di altri uffici di Procura stanno dimostrando che si tratta, appunto, di una illusione. Spero che tutti ne prendano consapevolezza prima che sia troppo tardi. Per la libertà economica e per la democrazia.
FOTO: Giuseppe Pignatone
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