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Gennaio - Febbraio/2011 - Interviste
Etica e politica
Una lunga stagione da archiviare per far ripartire l’Italia
di cura di Barbara Notaro Dietrich

Per Pier Ferdinando Casini il Paese ha urgente
bisogno di riforme nel campo dell’economia
e del lavoro, ma anche in materia
di previdenza, servizi pubblici locali. E per ridare
ossigeno all’economia la riduzione del cuneo
fiscale per imprese e lavoratori
e le liberalizzazioni. Partendo però
dalla riforma delle legge elettorale

Onorevole Casini, a fine dicembre sono usciti i dati sulla disoccupazione in Italia in particolare su quella giovanile. Quali sono secondo lei le politiche che il governo italiano dovrebbe adottare per contrastare la crisi economica italiana, al di la della situazione critica a livello internazionale?
Al Paese servono riforme strutturali. Se ne parla da anni ormai, ma il problema è che nessuna maggioranza, di centrodestra o di centrosinistra è stata in grado di realizzarle. Il motivo è semplice: le riforme nei primi anni costano sacrifici, dunque fanno perdere voti; da un sistema bipolare che ha giocato tutto sulla divisione del Paese in due tifoserie e sulla caccia all’ultimo voto per assicurarsi vittoria e premio di maggioranza alle elezioni assemblando coalizioni che poi regolarmente non stanno insieme, non ci si può aspettare nessun provvedimento concreto, riformatore, responsabile e infatti siamo un Paese fermo, che non cresce, impantanato nelle sabbie mobili, e gli indicatori della disoccupazione lo testimoniano insieme a molti altri.
Servirebbero riforme nel campo dell’economia e del lavoro, in materia di previdenza, di servizi pubblici locali, occorrerebbe la riduzione del cuneo fiscale per le imprese e i lavoratori, le liberalizzazioni, una riforma della Giustizia, a partire da quella civile, che renda più celeri i processi e più certa l’applicazione del diritto in Italia offrendo quelle garanzie minime a chi intende investire che oggi non ci sono,
Ci ritroviamo invece con l’ennesimo governo che non è in grado di fare nulla, che sta in piedi con tre voti di maggioranza quando peraltro ne aveva 70 a inizio legislatura. Ecco perché sono convinto che le riforme che tutti invocano si faranno solo quando avremo archiviato questa lunga stagione iniziata quindici anni fa e superato l’attuale schema bipolare. Io con l’Udc e il nascente Polo della Nazione sto lavorando esattamente a questo.

Lei è sposato con una donna che ha un grande impegno professionale. In Italia in alcuni casi abbiamo ancora disparità di trattamento economico tra uomini e donne e queste lamentano una difficoltà crescente nel gestire lavoro e famiglia. I nonni sempre più sopperiscono alla mancanza di asili e strutture adeguate. Quali sono le politiche che il governo dovrebbe adottare a favore delle donne madri che lavorano?
Questo governo aveva inserito nel proprio programma elettorale quella che noi riteniamo la vera chiave di volta per realizzare finalmente una politica attenta alle esigenze della famiglia: il quoziente familiare. Peccato che se ne sia dimenticato completamente. Peraltro sono il primo ad essere consapevole che il momento economico sia difficile e che, quindi, ora non ci sono risorse per introdurre una novità così rilevante di punto in bianco. Ma tra fare qualcosa e non fare nulla passa comunque una notevole differenza.
La famiglia oggi è la vera questione sociale del Paese: sono le famiglie ad avere retto l’impatto della crisi, utilizzando i propri risparmi, tirando la cinghia, arrangiandosi. Non possiamo chiedere loro di arrangiarsi ulteriormente, anche perché i dati Istat ci dicono che una fetta sempre più consistente del ceto medio sta scivolando verso la povertà, che i consumi, anche di beni di prima necessità, si stanno riducendo per milioni di persone. In questo quadro è chiaro che i primi ad andare in difficoltà sono i nuclei familiari più deboli e le ragazze madri con i loro figli non fanno eccezione.
Le soluzioni possibili per aiutare quelle che lavorano sono molte, basta guardare a cosa si fa in Francia, in Germania o in altri Paesi. Il problema è che il governo e il Presidente del Consiglio da tempo ormai sembrano assai più preoccupati di mantenere il posto che delle aspettative degli italiani.

Si è letto nei mesi scorsi sui giornali che è in aumento la violenza domestica sugli anziani. Crede che questo sia dovuto a un decadimento di valori o non piuttosto a un forte disagio sociale e alla mancanza di assistenza alle famiglie e agli anziani? Questo è un Paese che invecchia ma sembra che il governo non prenda in considerazione dati che tra vent’anni saranno un serio problema, quali la natalità quasi a zero e l’aumento di popolazione anziana che sarà bisognosa di cure e assistenza.
Il decadimento di valori c’è ed è evidente. Il tasso di moralità nel Paese è crollato a livelli minimi e le vicende di questi ultimi tempi che riguardano la politica hanno inferto ulteriori colpi. Ma, come accennavo prima, è evidente anche la mancanza di una politica complessiva che tuteli le famiglie ed i soggetti più deboli come gli anziani. In questo la miopia della classe dirigente appare davvero ingiustificabile oltre che grave.
L’Italia già oggi è il secondo Paese più vecchio al mondo dopo il Giappone e con gli attuali tassi di natalità il trend è destinato a crescere ulteriormente e drammaticamente. Oggi nel nostro Paese il 20% dei nostri concittadini ha più di 65 anni e il 5,3% più di 80. Di fronte a questi dati e a queste tendenze servirebbe un’assunzione di responsabilità forte, la capacità di guardare oltre il contingente.
Ma, come spiegavo prima, finché l’unica preoccupazione sarà prevalere sull’avversario guadagnando un voto in più sarà difficile chiedere qualche sacrificio oggi per assicurare qualche garanzia in più ai nostri figli domani.

Lei ha iniziato la sua carriera politica in Emilia Romagna, regione in cui è nato. Pensa ci sia un modello regionale (in quali settori, se sì) esportabile a livello nazionale?
Credo che in tutti i livelli istituzionali in cui si articola il nostro Stato ci siano buoni e cattivi esempi di amministrazione e gestione della cosa pubblica. Bravi sindaci e bravi presidenti di Regione per fortuna ce ne sono ancora un po’ ovunque.
Non parlo delle province perché come è noto sono il primo sostenitore della loro abolizione: non metto in dubbio che vi siano anche bravissimi amministratori in quegli Enti, ma con il debito pubblico che abbiamo faremmo bene a ridurre i centri di spesa e ad accorpare o sopprimere gli Enti inutili, mentre purtroppo spesso chi a parole si dichiara d’accordo con noi poi fa esattamente il contrario e lavora per moltiplicare costi e poltrone a fini di parte.
Il caso della Lega in questo senso è drammaticamente calzante: mentre si grida “Roma ladrona”, ci si oppone ad ogni taglio di poltrone al Nord e si fa di tutto per moltiplicarle con l’unico obiettivo di conquistare qualche posto in più.
Ecco, più che un modello regionale, o comunale, da esportare sul piano nazionale, credo ci siano tanti buoni esempi di bravi amministratori a tutti i livelli. E in questo momento l’Italia ha un grande bisogno di persone serie ed oneste che interpretino la politica per quello che dovrebbe essere: un’attività al servizio del cittadino.

Da più parti si sente dire che l’Italia ha un grave problema di legalità e sembra che chi compie azioni illegali non riceva poi la giusta pena. Che cosa si dovrebbe fare per risollevare il concetto di eticità nei cittadini e nei politici?
Delegittimare la magistratura è sbagliato e produce gravi effetti sul comune senso di legalità nel Paese. Se anziché affrontare i giudici nelle sedi opportune, dando i chiarimenti necessari e dimostrando di avere fiducia nella Giustizia, la si demonizza, è evidente che si offre un pretesto ad ogni arrestato, ad ogni inquisito per dichiararsi un perseguitato, una vittima di qualche complotto.
Io non sono un giustizialista, tutt’altro, da Di Pietro mi divide tutto, e non sono nemmeno un moralista, perché dei moralisti diffido sempre, ma credo che l’Italia abbia bisogno di esempi migliori dalla politica, dai mezzi di comunicazione di massa, dalla classe dirigente nel suo complesso, che non è composta solo da politici ma anche da sindacalisti, imprenditori, giornalisti, intellettuali e molti altri.
Quest’anno si celebra il 150° anniversario dell’Unità d’Italia: recuperare i valori che sono alla base del Risorgimento, ma anche quelli alla base della nostra Costituzione insieme ai valori cristiani su cui si fondano la nostra storia e la nostra cultura, è essenziale se vogliamo riprendere a costruire qualcosa di positivo per il futuro del nostro Paese e dei nostri figli.

La relazione annuale della Caritas sottolinea l’apporto benefico (anche in termini economici) degli stranieri in Italia. Lei si è detto favorevole alla cittadinanza per chi nasce in Italia. E tuttavia il rapporto Caritas sottolinea la diffidenza se non la paura verso gli stranieri, nonostante i reati da loro commessi siano di gran lunga inferiori per numero a quelli degli italiani. Perché crede che ciò accada?
Ho sempre detto che comprendo le grandi difficoltà in cui si trovano a vivere oggi famiglie italiane che magari abitano in un palazzo in cui tutti i vicini di casa sono stranieri, magari in una periferia degradata delle nostre città. Ci sono realtà molto difficili e non si può fare finta di niente. Ma è altrettanto vero che proprio i dati demografici a cui facevo riferimento prima, con un Paese che invecchia e non fa figli, ci dicono che se vogliamo mantenere i tassi di sviluppo raggiunti negli ultimi anni avremo bisogno di importare braccia e cervelli ancora a lungo. Non possiamo pensare che gli immigrati siano buoni per lavorare nelle nostre fabbriche o nei nostri campi di giorno e siano dei pericoli pubblici da far sparire la sera.
Sappiamo che tensioni ci sono e ci saranno, ma se vogliamo realizzare le condizioni per ridurre la diffidenza di cui parla il rapporto Caritas dobbiamo essere capaci di avviare un dialogo con le culture che si affacciano nel nostro Paese partendo da una condizione di piena coscienza di noi stessi: solo se abbiamo chiaro qual è la nostra identità e quella del nostro Paese possiamo confrontarci con gli altri e proporre un modello di integrazione efficace.
In questo quadro si inserisce la mia proposta di riconoscere la cittadinanza ai bambini che nascono in Italia: come possiamo dire ancora ai figli degli immigrati che nascono in Italia, che frequentano le nostre scuole dell’infanzia, che domani andranno alle elementari, poi alle medie e infine alle superiori, che non avranno gli stessi diritti dei loro coetanei? E cosa guadagniamo dalla creazione di centinaia di migliaia di nuovi emarginati nelle nostre città? Questi sono interrogativi seri che non si risolvono con risposte demagogiche e populiste.

Le Forze di polizia lamentano la carenza cronica di strumenti e i tagli sempre più consistenti ai loro bilanci. Quali potrebbero essere secondo lei le politiche necessarie per conciliare la sempre maggiore richiesta di sicurezza da parte dei cittadini e la crisi economica che impone un regime di tagli?
Certo non la politica dei tagli lineari adottata finora da questo governo, che infatti per la prima volta è riuscito a mettere d’accordo tutti i sindacati delle Forze dell’ordine nella protesta.
La verità è che non si può trattare tutto alla stessa maniera. Laddove ci sono sprechi ed inefficienze nella Pubblica amministrazione è giusto tagliare, ma la Polizia cosa c’entra con tutto questo? Non si era detto che la sicurezza è una priorità? E invece prima si è tentato di affidare l’incolumità dei nostri concittadini alla cura delle ronde, una sciocchezza che i fatti hanno rapidamente smascherato, e poi si è riusciti perfino a trovare i soldi per i truffatori delle quote latte ma non per i poliziotti.
I tagli lineari sono il contrario dell’affermazione di qualsiasi priorità proprio perché tolgono indiscriminatamente risorse a tutti i capitoli di spesa. E peraltro non servono nemmeno a ridurre il debito pubblico che, infatti, continua ad aumentare.

Sembra che uno dei problemi rispetto a progetti di lunga durata sia la cronica instabilità dei governi italiani. Lei ritiene che occorra una riforma della legge elettorale, riforma che consisterebbe in?
Il nostro sistema elettorale attuale ha due gravissimi difetti: il primo è che non consente agli italiani di scegliere i parlamentari da cui farsi rappresentare. Aver eliminato le preferenze, avere spezzato il legame tra i parlamentari ed il territorio da cui provengono ed avere affidato la loro nomina alle scelte dei leader di partito, ha prodotto gli effetti che sono sotto gli occhi di tutti: un Parlamento scarsamente autorevole, succube del governo e quindi raramente in grado di assumere provvedimenti in autonomia per andare incontro ai problemi degli italiani.
L’altro difetto consiste nel premio di maggioranza: quello che dovrebbe essere uno strumento per ridurre l’instabilità in realtà la amplifica e, quel che è peggio, paralizza l’attività dei governi: per vincere le elezioni e guadagnare il premio di maggioranza, infatti, ci si mette assieme in partiti e coalizioni per convenienza e non per convinzione e ideali comuni; così chi vince non è poi in grado di governare e le riforme, sempre più necessarie e urgenti, che il Paese attende non si fanno mai. Non a caso questa legge elettorale ha dato pessima prova di sé sia quando è stata utilizzata la prima volta, con il governo Prodi, durato appena due anni perché la coalizione che lo sosteneva è andata in frantumi, sia in questa legislatura, quando la maggioranza più ampia della storia repubblicana si è liquefatta perché si è liquefatto il principale partito della coalizione, il Pdl.
Se vogliamo uscire dalla crisi e non ritrovarci con governi che puntano solo a durare ma non sono in grado di fare nulla come quello attuale, abbiamo bisogno anche di una nuova legge elettorale. I modelli cui ispirarsi sono molti, l’importante è eliminare i due difetti di cui ho parlato.

La recente ricerca della Fondazione siciliana Res, sottolinea lo stretto rapporto tra mafie ed economia, con particolare riguardo verso i lavori pubblici, la sanità e il commercio. La posizione chiara e coraggiosa del presidente della Confindustria siciliana è un segnale positivo. A livello nazionale quali politiche adottare per evitare le infiltrazioni mafiose negli apparati pubblici?
Sul fronte della lotta alla criminalità organizzata occorre riconoscere che il ministro Maroni sta ottenendo risultati positivi ed importanti grazie soprattutto al lavoro che non conosce sosta della magistratura e delle Forze dell’ordine.
I temi del contrasto della criminalità e dello sviluppo del Mezzogiorno rimangono comunque in cima alle priorità dell’agenda Italia e accanto alle prese di posizione coraggiose del mondo produttivo, come nel caso della Confindustria siciliana, del mondo del volontariato e della società civile in genere, è necessario che anche la politica, al Sud come nel resto del Paese, tenga sempre alta l’attenzione nei confronti dei fenomeni mafiosi, consentendo l’affermazione di una nuova classe dirigente, che specie in Meridione sappia coniugare passione, ragione e competenze e voltare pagina rispetto alle troppe mediocrità del passato su cui le cosche si sono innestate facilmente.
Sul piano concreto poi, ritengo che tutti i partiti debbano finalmente applicare il Codice di autoregolamentazione approvato da tutti i partiti lo scorso anno dalla Commissione Antimafia al fine di impedire la candidatura a qualsiasi competizione elettorale di personaggi appartenenti alla criminalità o collusi, così come penso che nel settore pubblico – ad esempio nella Sanità – la politica debba fare un passo indietro limitandosi ad esercitare una funzione di indirizzo e di controllo e introducendo parametri oggettivi di professionalità e competenza nella selezione dei dirigenti così da ridurre gli spazi di opacità dietro cui spesso si nascondono le organizzazioni criminali per infiltrarsi.
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Pier Ferdinando Casini è nato a Bologna il 3 dicembre 1955. E’ laureato in giurisprudenza. Ha quattro figli. E’ sposato con Azzurra Caltagirone.
Consigliere comunale di Bologna dal 1980, dal 1983 ad oggi è deputato della Repubblica italiana. E’ stato presidente del Centro Cristiano Democratico. E’ stato Presidente della Camera nella XIV Legislatura. Nel corso della sua attività di deputato, è stato a lungo componente – tra le altre – delle Commissioni Affari Esteri e Comunitari e Difesa. E’ stato anche Vicepresidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul terrorismo in Italia.
E’ stato deputato europeo dal 1994 al 1999 (IV legislatura) e dal 1999 al 2001 (V legislatura). Al Parlamento europeo è stato iscritto al Gruppo del Partito Popolare Europeo ed ha fatto parte della Commissione per le relazioni economiche esterne (IV legislatura) e della Commissione per lo sviluppo e la cooperazione (V legislatura).
E’ stato eletto Presidente dell’Unione Interparlamentare il 19 ottobre 2005 per il triennio 2005-2008.
E’ Presidente dell’Idc (Internazionale Democratica di Centro) dal 29 gennaio 2006.
Oltre a centinaia di incontri internazionali e alle numerose visite ufficiali all’estero, ha promosso, in qualità di Presidente della Camera, numerose iniziative internazionali, svoltesi a Roma alla Camera. E’ stato insignito di onorificenze da parte di numerosi Stati.

FOTO: Azzurra Caltagirone e il marito Pier Ferdinando Casini

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