Tutti noi speriamo che l’esperto ascoltato
in televisione ci confermi che chi commette delitti
e atrocità sia un mostro. La realtà è un’altra
ed è difficile dichiararla ed accettarla: la natura
umana è violenta e tutti siamo potenziali criminali
Gli episodi di cronaca degli ultimi mesi, che hanno visto delle persone comuni assurgere al ruolo di protagonisti negativi, hanno messo in evidenza, in modo prepotente ed inequivocabile, che la nostra società è una società violenta, permeata di violenza e nata dalla violenza. E non perché la nostra società sia diventata nel tempo una società violenta, la società umana è sempre stata violenta. La storia umana nasce infatti con un atto di disobbedienza, nasce dalla disobbedienza di Adamo che trasgredisce l’ordine di non mangiare la mela dell’albero della conoscenza, e prosegue successivamente con un assassinio, quello di Caino che uccide suo fratello Abele.
Anche per noi latini la storia nasce con un atto di disobbedienza ed un successivo omicidio familiare: la disobbedienza di Remo che oltrepassa il solco tracciato da Romolo, trasgredisce ad un suo ammonimento e per questo viene immediatamente da questi ucciso. La violenza, l’odio e l’aggressività sono dunque nel nostro Dna e tutto il decorso della storia umana è costellato di guerre, di omicidi, di razzie, di saccheggi, di crimini contro razze e religioni. Non sono stati risparmiati bambini inermi, anziani, templi religiosi, biblioteche, opere d’arte e capolavori della natura. Secondo recenti studi circa i due terzi dei moventi per cui si concepisce, si pianifica e si effettua un crimine sono di tipo psicologico e non, come si potrebbe facilmente supporre, di tipo materiale o finalizzato ad un vantaggio economico.
Nella storia umana a prevalere nella mente di violenti ed aggressori sono stati dunque il piacere, l’odio, il rancore, la rabbia, l’ira, la vendetta, … E neppure secoli di morale religiosa e di etica sociale sono riusciti ad ingabbiare queste tendenze psicologiche distruttive, né a tenere a freno violente passioni come la rabbia, l’odio e la vendetta. Ancora oggi neppure le minacce di punizioni, di torture, del carcere duro e della pena di morte riescono a dissuadere i criminali ed i violenti dal commettere i loro atti.
Nelle settimane dell’autunno del 2010 la cronaca nera italiana ce ne ha dato ampie e ripetute conferme, dall’omicidio della giovane Sara Scazzi fino al pugno in faccia all’infermiera rumena Maricica. La cronaca ne ha parlato e tutti si sono sentiti in dovere di intervenire e dire la loro. Tuttavia queste persone, dall’uomo della strada fino all’intellettuale, sembrano tutti cadere dalle nuvole, dal giornalista della tv alla casalinga al pensionato è un continuo chiedere “perché” ed interrogare il criminologo di turno, il quale altro non può fare che giustificare a posteriori atti che la storia ci insegna a comprendere come atti normali della natura umana, commessi da persone normali in normali situazioni di vita.
Che il crimine sia un atto normale della mente umana era stato già detto dagli esperti dopo le atrocità commesse nella seconda guerra mondiale da parte dei nazisti: il male è banale ed è in ognuno di noi. Dopo aver analizzato le psicologie dei gerarchi nazisti che hanno pensato e realizzato i campi di sterminio ed effettuato un sistematico genocidio, è stato affermato che per commettere il male non serve essere cattivi, malvagi o criminali nati. Per commettere il male è sufficiente un attimo, un ordine acritico, avere una occasione favorevole, un pretesto, un impulso, la leggerezza di un momento o la provocazione di un qualcosa di intollerabile. Il male, la violenza e l’odio sono dentro di noi e vengono fuori facilmente, banalmente, stupidamente, proprio come hanno dimostrato le atrocità dei contadini serbi verso i bosniaci nella guerra balcanica degli anni ’90, gli omicidi di via Poma, di Cogne, di Perugia ed attualmente quel pugno dato all’infermiera rumena alla stazione della metro Anagnina di Roma.
Per la gente comune è difficile accettarlo, è impossibile conviverci, poiché significa che la nostra vita e quella dei nostri cari è appesa al filo dell’umore altrui o dell’occasione del momento per cui ci si trova improvvisamente come vittime innocenti ed impotenti nel posto sbagliato e nel momento sbagliato.
Di questo stentiamo a rendercene consapevoli e quando ci pensiamo ne siamo profondamente turbati e spaventati, e cerchiamo nelle parole del criminologo di turno che parla dalla televisione una ragione o una spiegazione che ci rassicuri e ci convinca che chi commette il male non è una persona normale, ma un diverso, un malato, anzi un “mostro”. E dal mostro è possibile difendersi e che è possibile identificarlo in qualche modo, neutralizzarlo, allontanarlo, rinchiuderlo da qualche parte e, come si dice, buttando la chiave. Tuttavia il mostro c’è, esiste ed è dentro ognuno di noi. Il mostro fa parte della natura umana ed esce allo scoperto ogni volta che le regole morali ed etiche dell’educazione sociale e dell’osservanza delle leggi falliscono. Il mostro non rispetta niente e nessuno, neanche i legami familiari ed affettivi per cui anche i genitori, i figli, il coniuge e gli amici del mostro possono essere vittime della sua crudeltà e violenza. Ed esce allo scoperto soprattutto di questi tempi poiché la parola d’ordine delle ultime generazioni è “prima vengo io, poi tutti gli altri”.
L’imperante egotismo sfrenato del “voglio tutto e subito” lo alimenta fino al punto da non riuscire più a controllarlo. Ed oggi, purtroppo, “tutti vogliono tutto”, senza regole e senza condizioni. Il mostro che è dentro ognuno di noi è avido di sangue e chiede un nutrimento quotidiano. Molti studi psicologici hanno confermato che assistere alla violenza genera altra violenza, sia realmente messa in atto con comportamenti aggressivi ed ostili che immaginata con fantasie crudeli e perverse. Di fronte alla violenza nella nostra mente il mostro diviene il protagonista, l’eroe, anche se cattivo e funesto, che ci obbliga a non guardare dall’altra parte bensì ad interessarci dell’assassino e non della vittima, del sangue e non della ferita, della ferocia e non del dolore.
Solleviamo quindi morbosamente quel lenzuolo bianco che per pudore di norma stendiamo sopra le vittime e ci fermiamo in auto a vedere i feriti di un incidente, facciamo la fila al cinema per un film horror, acquistiamo libri e giornali che ci parlano del male e dei suoi mille volti, rimaniamo ore ed ore incollati alla tv a seguire le gesta dei professionisti americani delle serie di Csi e di Criminal Minds. Oppure rimaniamo incollati a sentire il criminologo nostrano di turno che nutre il suo mostro parlando dei delitti altrui.
Pendiamo dunque dalla labbra del criminologo che tenta in qualche modo di spiegare l’inspiegabile, di rassicurare il non rassicurabile, di giustificare l’ingiustificabile, perché alla fine non si parla di alieni ma di noi, di gente comune, di vite normali, di umani stati emotivi. E degli atti del mostro il criminologo di turno sembra sapere tutto, di aver capito tutto, di saper ricostruire tutto. Tuttavia, a questo proposito, noi qualche dubbio lo abbiamo. E ci chiediamo, se qualcuno interrompesse una partita del gioco della dama e ci chiedesse di ricostruire le mosse che hanno condotto alle posizioni che si osservano sulla scacchiera, quante risposte potremmo dare? Una? Dieci? Di sicuro tantissime, forse migliaia.
Probabilmente nessuno potrebbe calcolarle poiché ad una determinata posizione sulla scacchiera ci si può arrivare in moltissimi modi diversi e con svariatissime giocate da parte dei due giocatori. E tutte possibili, verosimili, attendibili. Allo stesso modo quando osserviamo una scena del crimine e cerchiamo di ricostruire in che modo si sono svolti i fatti, ci troviamo di fronte ad un problema simile a quello della dama e della scacchiera. Sappiamo che i comportamenti umani nelle interazioni interpersonali, come le mosse del gioco della dama, possono essere moltissimi, forse infiniti. E tutti plausibili in quanto tutti possono condurre, potenzialmente, alle stesse conclusioni. In fondo ciò che si chiede agli investigatori ed ai criminologi è di ricostruire le mosse sulla scacchiera rappresentata dalla scena del crimine in modo da spiegare in modo logico e coerente ciò che si osserva.
Ai criminologi, esperti della mente umana, poi si chiede qualcosa in più: il perché psicologico delle mosse, vale a dire il movente. Nel crimine, come nella dama, si conoscono due momenti certi: quello iniziale, in cui hanno preso avvio le interazioni dei due attori sul campo, e quello finale, in cui uno dei due attori è uscito dalla scena. In mezzo a questi due momenti ci sono quindi le persone, i giocatori, il criminale e la vittima, con i loro comportamenti, la loro psicologia da predatore o da vittima, con le loro scelte, con i loro obiettivi “strategici” che conoscono solo loro.
In criminologia il compito degli investigatori è di ricostruire tra mille dubbi, incertezze e possibili interpretazioni, la dinamica intercorsa nell’interazione tra il criminale e la vittima e noi sappiamo quanta letteratura “gialla” ci ha insegnato come spesso gli indizi che emergono sulla scena del crimine non sono così come appaiono, ma è necessario effettuare su di loro delle “letture” originali, creative, particolari.
Lo scrittore inglese Arthur Conan Doyle sulle originali modalità di lettura degli indizi della scena del crimine ha costruito il famoso personaggio di Sherlock Holmes che con le sue analisi, deduzioni e ricostruzioni portava ogni volta ad un “colpo di scena”, poiché la verità non è in quello che appare. Così come in modo originale e brillante ricostruiva i fatti della scena del crimine l’investigatore Poirot nei gialli di Agatha Christie.
Queste riflessioni ci inducono ad essere molto cauti e prudenti nel diffondere pareri e sentenze sui “gialli” che la cronaca oggi porta in modo massiccio e dettagliato all’attenzione dell’opinione pubblica. In fondo ciò che i criminologi continuano imperterriti ad effettuare da qualsivoglia pulpito mediatico venga loro messo a disposizione, è di leggere soggettivamente una scena del crimine, di cui non sanno nemmeno tutti i dettagli, come se fosse l’unica verità possibile. E si scontrano con altri criminologi che fanno la stessa operazione, ma con altre, soggettive e parziali, modalità di lettura. A sentirli, ognuno a suo modo ha ragione. Ed in fondo ciò potrebbe essere anche vero.
Tuttavia si deve tener presente che la loro è solo una delle tante modalità con cui potrebbe essere letto il comportamento umano sulla scena del crimine, proprio allo stesso modo con cui è possibile leggere retrospettivamente le mosse dei giocatori e spiegare la strategia del “perché” e del “come mai” delle posizioni delle pedine della dama sulla scacchiera.
(www.marcocannavicci.it)
FOTO: Sabrina Misseri e il padre Michele
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