Le rivolte che stanno scuotendo il Nord Africa, e una parte del Medio Oriente non hanno ancora trovato delle spiegazioni esaurienti. Quello che caratterizza tutti quei Paesi è di avere regimi che vanno dall’autoritarismo alle ferree dittature, e di essere islamici. Le condizioni economiche sono spesso diverse, anche se la disoccupazione appare tra i giovani un fattore determinante. Allora, a pesare è soprattutto una diffusa carenza di libertà, in alcuni casi una mancanza totale? O interviene, come è già accaduto in altre situazioni, il fattore religioso? Nei commenti e nelle analisi aleggia la presenza dei Fratelli musulmani, che in Egitto hanno probabilmente avuto un ruolo nella caduta di Mubarak. Ma altrove è possibile individuare la loro influenza, o altre analoghe?
Interrogativi importanti, per vari motivi. E non è certo un mistero che il principale riguardi due prodotti che sono alla base dello sviluppo, anzi della sopravvivenza delle nostre società fortemente industrializzate: il petrolio e il gas. Dall’Arabia Saudita, la grande cassaforte del greggio, ai pozzi libici e algerini, i Paesi colpiti dalle agitazioni popolari sono in buona misura fornitori di energia. Tanto necessari da aver convinto le nostre democrazie europee di chiudere gli occhi di fronte ai pessimi metodi di governo usati dai leader locali. Pessimi fino ai limiti estremi raggiunti da una Muammar Gheddafi, da noi (noi italiani) tenuto in così gran conto da sfidare impavidamente il ridicolo, fino a un baciamano da parte del Presidente del Consiglio, implacabilmente rimesso in scena dal web.
Certo, oggi che il tiranno di Tripoli fa uccidere a centinaia i suoi sudditi dalle milizie rimastegli fedeli e da mercenari arruolati a peso d’oro, e bombardandoli con gli aerei, è imbarazzante ricordare il tono sontuosamente farsesco assunto dalle sue ultime visite ufficiali a Roma, con la tenda montata per ricevere gli omaggi di politici e imprenditori, la scorta delle avvenenti amazzoni, la predica coranica impartita a duecento ragazze ingaggiate per l’occasione. E l’accordo (presentato a gran voce come decisivo per risolvere il problema dell’immigrazione illegale) per il controllo dei barconi dei clandestini africani: grazie alla vigilanza di sei motovedette italiane “prestate” ai libici, una delle quali si era segnalata mesi or sono per aver inseguito e mitragliato un peschereccio italiano.
Ora Gheddafi si lamenta delle critiche europee per la sua feroce repressione, e minaccia di rovesciare il tavolo e mandare all’aria gli accordi. La situazione è, per il momento, incerta. Per concludere, due interrogativi finali: se “l’amico Gheddafi” cade, con quale faccia, dopo tanti baci e abbracci con il dittatore deposto, ci presenteremo al nuovo regime? Se invece “l’amico Gheddafi” sopravvive, avremo lo stomaco di continuare a considerarlo un partner affidabile?
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