Intervista a Vasco Errani, governatore
dell’Emilia – Romagna che ritiene necessario
che Governo, Regioni e Comuni
interagiscano, coordinandosi attraverso una legge
nazionale e la costruzione di programmi comuni
e che si dotino di Forze di polizia ben formate
La Polizia di Stato, privata di risorse e di mezzi, è sempre meno in condizione di assolvere i suoi compiti. Quale futuro è prevedibile per un settore che, attraverso la difesa della sicurezza e della legalità, riguarda direttamente la democrazia nel nostro Paese?
Lo scenario peggiore immaginabile è quello in cui le funzioni di controllo e anche di repressione vengono spostate su altri soggetti che non offrono sufficienti garanzie istituzionali, o sul mercato privato. Abbiamo avuto già qualche esempio della prima di queste due tendenze con le norme sulle cosiddette ronde, ma anche con l’utilizzo dell’Esercito in funzioni di pattugliamento del territorio. Si tratta di piccole, graduali erosioni dello Stato di diritto che rischiano di mettere in discussione un principio fondamentale delle democrazie moderne, quello in base al quale i cittadini affidano ad un Corpo istituzionalizzato, la Polizia, la protezione dei loro beni e della loro incolumità.
Sono tendenze purtroppo oggi molto diffuse, non solo nel nostro Paese, anche se in Italia esse hanno conosciuto in questi ultimi due anni una accelerazione notevole. Se a ciò si accompagna un crescente ridimensionamento delle risorse destinate ai Corpi di Polizia nazionale, una incapacità di riformare seriamente il sistema della Polizia, un disimpegno sul versante della formazione e dell’innovazione tecnologica, un totale disinteresse ad individuare forme di coordinamento tra i diversi Corpi di Polizia nazionali e tra questi e le Polizie locali, il quadro appare davvero desolante. Mortificante per gli operatori di polizia, pericoloso per i cittadini.
In un Paese in cui il 90% dei reati è di autore ignoto, non investire sulle capacità investigative, sulla modernizzazione e, ripeto, sul coordinamento delle diverse Polizie stesse mi pare una scelta che, nei fatti, smentisce l’impegno dichiarato di questo governo sulla sicurezza e ne evidenzia tutta la debolezza. Nel medio-lungo periodo, passata l’euforia degli effetti speciali, come l’Esercito nelle strade, la scelta imboccata da questo governo in materia di sicurezza mostrerà tutti i suoi limiti.
Voglio però evidenziare una contraddizione che non appare chiara a prima vista. Ritengo che queste scelte, presentate come le prime vere politiche repressive e forti adottate in questo Paese verso il crimine, siano invece un segnale di debolezza dell’azione del governo.
Mi auguro che ci sia una correzione di rotta e che non si proceda verso un sistema di sicurezza frammentato e impoverito professionalmente.
Dietro l’apparente disinteresse nei confronti della Polizia possiamo individuare un qualche progetto di “federalizzare” le Forze dell’ordine, nel senso di togliere allo Stato il controllo di questa Istituzione?
Penso e spero di no. Del resto le scelte di questo governo in materia di sicurezza sono ben poco autonomiste, al punto che i sindaci vengono chiamati ad agire in materia di sicurezza urbana come ufficiali del governo, non come rappresentati democraticamente eletti di una comunità. Le Polizie locali vengono sempre più spesso attratte nell’ambito del controllo dei Prefetti.
Non c’è una scelta tra quelle perseguite recentemente da questo governo che abbia qualche connotazione genuinamente federalista, né nessuna reale volontà di collaborare con il sistema delle autonomie locali. Dunque il governo non intende delegare il controllo delle Polizie nazionali ad altre istituzioni, meno che mai alle Regioni o ai Comuni. Semplicemente, ha individuato delle priorità, e l’investire sulle Forze di polizia non pare essere tra queste.
Qualcuno ha indicato in una forma di federalismo di segno “secessionista” una possibile occasione per le mafie di rafforzare il loro potere nelle regioni meridionali e di meglio strutturare i loro interventi nelle altre. Data la sua esperienza di presidente dell’Emilia Romagna, e della Conferenza delle Regioni, le sembra un rischio concreto?
Le mafie si insediano e si radicano dove trovano opportunità, sia dal punto di vista economico che nel tessuto sociale, indipendentemente dall’assetto istituzionale dei territori. Si adattano alle strutture istituzionali esistenti, e questo rappresenta il loro aspetto più pericoloso. Ritengo quindi che siano altri i fattori di rischio per il rafforzamento delle mafie al Sud del Paese e per il consolidamento della loro presenza al Nord.
Indebolire la capacità operativa della Polizia non porta di conseguenza a rendere più difficile anche l’attività della magistratura, già bersaglio di attacchi di vario tipo?
Indubbiamente. Lo dicevo prima citando l’altissima percentuale di autori di reato ignoti, rispetto alla quale migliorare le capacità investigative delle Forze di polizia sarebbe una scelta strategica. Individuare gli autori significa poter mettere in moto in maniera efficace il sistema della giustizia penale. Una Polizia ben formata, attrezzata, che sa coordinarsi efficacemente con altre Polizie e altri attori sociali rappresenta il punto di partenza per un funzionamento ottimale del sistema di controllo e di repressione dei reati.
Garantire un corretto ed efficace funzionamento delle Polizie e della giustizia dovrebbero essere i primi impegni di un governo che davvero vuole riformare il sistema della sicurezza ed ottenere qualche risultato. Invece, ma non è così paradossale alla luce di quanto dicevo prima, proprio queste due Istituzioni oggi vengono messe ai margini, non sembrano costituire una priorità per il governo.
Se l’Italia è davvero avviata ad assumere una forma federale, qual è un modello auspicabile, anche sul piano della sicurezza e della legalità?
Il modello lo abbiamo individuato all’inizio del 2000, quando, come Conferenza delle Regioni, Anci, Upi, insieme al Forum italiano per la Sicurezza Urbana e a tutti i sindacati e le associazioni delle Polizie locali, abbiamo presentato un progetto di legge con il quale si puntava a costruire finalmente in questo Paese un sistema integrato di sicurezza. Questo progetto langue in Parlamento, pur rivisto in senso centralistico, ma le idee di fondo sono però ancora valide.
Infatti sono nate molte esperienze importanti ispirate ad un nuovo ruolo attivo degli Enti territoriali. Faccio l’esempio della regione che governo: in Emilia Romagna, dal 1999 ad oggi abbiamo sostenuto 570 progetti dei Comuni e delle Province per la sicurezza. Sul territorio regionale sono attivi oltre venti protocolli di collaborazione tra la Regione e le città per intervenire in situazione problematiche, soprattutto in quartieri a fortissimo rischio di degrado fisico e sociale. Non solo, il 75% dei sistemi di videosorveglianza del settore pubblico attivi oggi nella nostra regione sono stati sostenuti da finanziamenti regionali. Esiste in buona parte del nostro Paese una cultura e una pratica del governo locale della sicurezza che questo governo ha ignorato, o che, qualche volta, ha malamente copiato. Faccio un esempio: perché predisporre un bando per la riqualificazione urbana finalizzata alla sicurezza o per i sistemi di videosorveglianza quando già parecchie Regioni lo fanno? Non sarebbe meglio mettersi d’accordo e individuare, attraverso prassi corrette di cooperazione istituzionale, quali sono gi obiettivi che vogliamo raggiungere e come è possibile concorrere, ognuno nell’ambito delle sue competenze e capacità, a migliorare la sicurezza delle nostre città?
Serve a tutti un nuovo modello di politiche integrate di sicurezza, capace di investire con intelligenza su Polizia e magistratura, con la funzione statale al centro, le Regioni che coordinano le politiche locali e le Polizie amministrative locale, mentre le città sono il luogo in cui di determinano le priorità e si realizzano gli interventi, in cui convergono gli sforzi delle varie Istituzioni. Ma questi tre livelli devono interagire e coordinarsi attraverso prima di tutto una legge nazionale di coordinamento, e poi attraverso la costruzione di programmi nazionali, regionali e locali per la sicurezza integrata. C’è stata una fase nella quale tutto questo sembra imminente: ora si sente il bisogno di riprendere urgentemente quella strada.
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