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Dicembre/2010 - Interviste
Quale futuro?
La sicurezza non è una spesa ma un investimento per il futuro
di a cura di Barbara Notaro Dietrich

Intervista a Claudio Giardullo, segretario
nazionale del Silp-Cgil: dai tagli di bilancio
al mancato coordinamento tra le Forze
dell’ordine, dai limiti applicativi della legge 121
al suo aggiornamento, dalla lotta alla criminalità
all’inquietante e sempre maggiore aumento
dell’illegalità, dal problema della formazione
ai poliziotti che “invecchiano”


Preoccupazione, ma anche allarme per vedere le forze di polizia messe sotto accusa da una delle cariche più alte dello Stato. E questo solo per aver fatto il loro dovere. Che non siano tempi facili per nessuno è chiaro a tutti. Da tempo i sindacati di polizia denunciano come i tagli fatti dal governo al bilancio dell’intero comparto della sicurezza costringa gli agenti a svolgere il proprio lavoro cercando di far quadrare i conti il più possibile. Impresa non facile, perché spesso, pur di non rinunciare a svolgere il proprio dovere, gli agenti non si tirano indietro quando si tratta di anticipare soldi propri per aggiustare le macchina di servizio o il computer. Una situazione di per sé non facile, resa però ancora più difficile negli ultimi tempi da un fatto inedito: le accuse che il presidente del consiglio – dopo il coinvolgimento nell’ultima inchiesta giudiziaria riguardante il cosiddetto caso Ruby, ha rivolto alle forze dell’ordine accusandole di aver agito, effettuando una serie di perquisizioni, «con il più totale disprezzo della dignità della persona e della loro intimità». Comportamenti, per il premier, «indegni di uno stato civile».
Parole tanto pesanti quanto inattese, che hanno finito con alimentare un malumore già forte tra i poliziotti. «Anche perché di tratta di accuse del tutto infondate», spiega il segretario nazionale del Silp-Cgil Claudio Giardullo. «Come ho avuto già modo di spiegare, i poliziotti sono pubblici ufficiali e non membri dello staff del premier. Servitori dello Stato che fanno il loro dovere come vuole la Costituzione e la loro coscienza, nel rispetto della legge e senza guardare in faccia nessuno».

Le ultime vicende hanno portato alla luce un forte malessere interno alla Polizia.
E’ così. Le forze di polizia svolgono un lavoro difficilissimo, che merita il massimo rispetto da parte di tutti Anche perché operano nel pieno rispetto delle leggi e senza guardare in faccia nessuno. Per questo le affermazioni fatte dal premier in occasione di alcune perquisizioni eseguite nel corso delle indagini sul caso Ruby sono inaccettabili. Come, ad esempio, quando ha affermato che le perquisizioni sono state fatte con il disprezzo della dignità e dell’intimità delle persone, oppure quando ha definito le operazioni svolte dalla polizia come irrituali e violente arrivando a chiedere delle punizioni per gli agenti che le hanno eseguite. Affermazioni che tradiscono un’idea sbagliata, quella che l’apparato di polizia faccia parte dello staff del governo, a sua disposizione diretta. Un’idea incompatibile con una democrazia matura.

A questo si aggiunge il disagio dovuto a risorse economiche sempre più ridotte.
E’ l’altro motivo di malessere. Sono passati ormai due anni e mezzo dal giorno in cui l’attuale governo si è insediato a palazzo Chigi e devo dire che dal punto di vista delle risorse c’è poco da stare allegri. Le promesse fatte in campagna elettorale, di aumentare il livello di sicurezza dei cittadini, ma anche le possibilità operative delle forze di polizia, sono improvvisamente sparite con la presentazione, da parte del ministro dell’economia Giulio Tremonti, della Finanziaria del 2008 che ha messo in atto un taglio di oltre 1 miliardo di euro all’intero settore. E’ il più pesante che sia mai stato fatto nella storia dell’Italia repubblicana, e viene quindi spontaneo interrogarsi su quale rapporto ci sia tra questa decisione e gli impegni presi in campagna elettorale. Ma c’è di più. Credo che sia anche logico chiedersi quale coerenza ci sia tra la tradizionale sostegno, che culturalmente le forze di centrodestra hanno sempre dimostrato nelle confronti delle forze di polizia, e questa politica di palese depotenziamento delle stesse. Il taglio operato, al quale non si è corrisposto alcun investimento, dimostra come in realtà il governo abbia assunto un’idea della sicurezza come semplice spesa: una delle tante spese del bilancio dello Stato che andava sfoltita.

Il progetto di federalismo, che incentiva anche la nascita di polizie locali, ha a che vedere con il depotenziamento della polizia di Stato?
Per molto tempo nel governo hanno convissuto due idee di sicurezza: una, quella più tradizionalmente espressa dalla destra, vicina alla Polizia di Stato e ai militari; l’altra è invece quella della Lega, che ha spostato il baricentro istituzionale dagli apparati dello Stato agli Enti locali. Queste due anime hanno convissuto malamente in questi due anni e mezzo. Su queste due idee alla fine ne però prevalsa un’altra, quella che considerava prioritaria al salvezza del bilancio dello Stato. “Risparmio” è dunque diventata la parola d’ordine basata però non su un taglio drastico degli sprechi, che sarebbe stato condivisibile, e soprattutto sempre prevedere alcun reinvestimento delle risorse. L’importante era fare cassa , anche a spese della stessa sicurezza. Così il i ministri dell’Interno e della Difesa si sono adeguati alle ragioni di Tremonti, quasi acriticamente.

Analizziamo le due idee di fondo cui accennava?
Prevale a destra l’idea di poter utilizzare i militare per qualunque compito di ordine pubblico, dalla sicurezza urbana alla mafia, alle calamità naturali. Alla base c’è la convinzione che forze militari e forze civili siano intercambiabili. Ma questa è pura propaganda. La formazione ricevuta dai militari serve ad affrontare situazioni ben diverse da quelle che le forze di polizia devo fronteggiare tutti i giorni. Manca quindi una preparazione adeguata alla quale va aggiunta l’assenza degli strumenti giuridici necessari per operare in maniera efficace nel settore della sicurezza. I danni che questa idea di sicurezza provoca sono sotto gli occhi di tutti: se si pensa che le forze sia intercambiabili non si investe nella qualificazione professionale, né nello sviluppo tecnologico.

L’altra idea?
E’ quella della Lega, che ha proposto e fatto approvare idee fallimentari come, ad esempio, quello delle ronde. Su questo, anche grazie al Quirinale, si è chiarito un punto fondamentale, vale a dire che il compito di garantire la sicurezza dei cittadini spetta solo ed esclusivamente alle forze dell’ordine. Il volontariato può anche avere un ruolo complementare, ma senza pasticci nell’ordinamento. Ribadire questi principio significa offrire maggiori garanzie ai cittadini. In seguito sono posti ulteriori paletti, come il divieto di ricevere finanziamenti pubblici e quello di avere rapporti con i partiti politici. Bene, una volta fissati questi limiti, e forse proprio grazie ad essi, le ronde, inizialmente presentate come un’idea vincente, si sono rivelate un fallimento, con pochissime richeiste da parte dei cittadini di poter costituire una rona nel proprio comune di appartenenza. Anche in questo modo, però, è passata l’idea che la sicurezza sia soltanto una voce di spesa da sfoltire e che le forze dell'ordine possano essere smobilitate per favorire la nascita di nuove polizie, più legate al territorio.
Rinunciando così anche a qualunque strategia di più ampio respiro.

Nonostante tutto le forze di polizia hanno dimostrato da saper far fronte ai propri impegni. Come dimostrano anche i numerosi arresti di personaggi legati alla criminalità organizzata.
Certo, hanno dimostrato grande impegno e una versatile capacità operativa. Il governo ha cercato in questi anni di accreditarsi risultati che sono stati ottenuti sul versante della lotta alle mafie, e in particolare la cattura di boss latitanti solo grazie all’impegno di magistrati e forze dell’ordine. Un'ingiustizia, visto che potrebbe vantarsi dei risultati ottenuti solo se avesse garantito risorse, norme e strumenti giuridici che aiutino forze dell’ordine e magistratura, se avesse favorito le sinergie tra organi dello Stato. Bene, non mi sembra che siamo andati in questa direzione.

Cioè?
Vediamo il capitolo delle risorse: come abbiamo appena detto, 1 miliardo nel 2008, 650 milioni nel 2010, perché, non dimentichiamolo, anche la manovra di quest’anno opera un taglio enorme. Il totale è il 30%: in due anni e mezzo sono state tagliate un terzo delle risorse. Sul versante degli strumenti, nessuno può dimenticare l’“impegno”, fortunatamente finora non andato a buon fine, per sabotare uno strumento investigativo fondamentale come le intercettazioni. Per quanto riguarda le sinergie, non sembra proprio che si siano fatti passi in questa direzione. Prendiamo per esempio il coordinamento: nell’ultimo decreto sulla sicurezza è prevista una norma inquietante.

Che cosa prevede?
Si tratta di una norma all’apparenza di carattere puramente tecnico, ma che è un sasso, direi un macigno, lanciato nel sistema della Sicurezza pubblica. La norma dice che quando il sindaco fa un’ordinanza, un atto che riguarda la sicurezza urbana e lo fa in quanto funzionario di governo e non in quanto rappresentante di una comunità locale – distinzione importante – il prefetto mette in atto tutte le misure necessarie perché la forza pubblica garantisca l’applicazione di quell’ordinanza. In pratica si subordina il prefetto alla volontà del sindaco. Il rapporto oggi esistente tra prefetto e sindaco verrebbe insomma a capovolgersi: il sindaco decide, il prefetto esegue. In questo modo non si fa altro che creare confusione nell’ordinamento.

A trent’anni dalla riforma del 1981, che è stato senza dubbio per quegli anni un fatto epocale, quali difetti e pregi vi si riscontrano oggi?
Aver affermato il principio fondamentale del coordinamento è appunto un fatto molto importante. Però secondo noi presenta un limite, quello di basare la possibilità di trovare un equilibrio tra le varie forze dell’ordine unicamente sulla rotazione nelle posizioni di responsabilità. Questa scelta è stata utile perché ha dato l’idea che il Dipartimento fosse la casa comune di tutte le Forze di polizia, ma il limite è che lo stesso coordinamento è stato vissuto come un tavolo di equilibrio e non come un’interconnessione che deve venire dal di fuori delle forze stesse. Ma c’è anche un secondo limite, ed è quello che riguarda i rapporti con gli Enti locali, rapporti che vanno recuperati e meglio strutturati. Il primo limite è dovuto a una difficoltà di coordinamento complessivo; il secondo è un limite dovuto allo scorrere del tempo e ai cambiamenti che ci sono stati. Però entrambi possono essere risolti.

In che modo?
Le possibilità sono diverse. Una è quella di dare un ruolo maggiore a chi svolge attività di Pubblica Sicurezza, un’idea che però oggi viene messa in discussione proprio da proposte come quella della lega di cui parlavamo prima. In alcuni Paesi hanno risolto il problema in altro modo, sfoltendo il numero delle Polizie o accorpando dentro un unico ministero diverse Forze di polizia. Francia e Spagna, per esempio, hanno deciso di collocare le due Forze di polizia a status militare nell’ambito del ministero dell’Interno. Sia in Francia che in Spagna la Gendarmerie francese e la Guardia Civil spagnola sono Forze di polizia che coesistono con le polizie nazionali dei due Paesi. Certo non lo si può considerare un modello esaustivo, ma può essere utile per affermare l’idea che, di fronte a una pluralità di forze di polizia anche a statuto diverso, ci devono essere organismi civili, direttamente rispondenti all’autorità politica, che determinano le strategie di sicurezza. Questi oggi sono gli unici due modi possibili. Il primo, aumentando il vincolo delle disposizioni che danno le autorità di Ps; il secondo, sottoponendo tutte le polizie, civili e militari, al ministro dell’Interno.

E’ un fatto che le strategie abbiano bisogno di una lunga programmazione. Ma l’instabilità, più o meno endemica, dei governi italiani, come si ripercuote sulla necessità, appunto, di strategie?
Per vari motivi, per la collocazione geografica, per la nostra storia, per la presenza di una criminalità organizzata di altissimo livello, quello della sicurezza è un tema centrale per il nostro Paese. Purtroppo credo che la vera emergenza italiana oggi si proprio l’illegalità. E’ un fatto che negli ultimi anni i livelli di legalità del nostro Paese si sono pericolosamente abbassati, a fronte di una poco comprensibile, inquietante indifferenza da parte delle classi dirigenti. Tutto ciò accade anche quando non si riconosce alle istituzioni un compito che va al di là del ruolo del governo. Quando in un Paese legalità e sicurezza non sono considerate ai vertici dell’agenda istituzionale, ma sono lasciate alla discrezione delle diverse tendenze di ogni governo, allora quello della legalità diventa sempre più strutturale. Che si aggrava ulteriormente se un governo come quello attuale considera più urgente far marciare un disegno di legge che ridimensiona la capacità investigativa delle forze di polizia e della magistratura, su versanti come quelli della corruzione. Magari giustificando questa scelta con una presunta esigenza di garantire maggiormente la privacy dei cittadini

Sembra che questo sia anche un Paese che privilegia la formazione di una classe dirigente e non quella del senso civico del cittadino. E per quanto riguarda la formazione di chi lavora in Polizia?
Il problema della formazione è generale, è un problema di conoscenza e dovrebbe riguardare tutti. Per quanto riguarda la formazione delle forze di polizia il problema si pone in maniera molto precisa: quando si tagliano le risorse, la prima voce che viene colpita è proprio la formazione. L’amministrazione della polizia di Stato ha dovuto chiudere diverse scuole di polizia in questi anni in seguito alla riduzione del personale. Le ricordo che la polizia di Stato è sotto organico di novemila operatori, e in situazione analoga sono gli altri corpi di polizia, il che vuol dire che complessivamente mancano intorno a 30mila operatori. Tutto questo perché non si capisce che la formazione è una risorsa strategica. Quindi manca la formazione di base e anche l’aggiornamento. Se si taglia nella formazione il sistema complessivamente perde capacità di risposta. L’impegno resta massimo, però è ovvio che la lotta alla criminalità organizzata, che ha un introito annuo di 130 miliardi di euro, non può essere combattuta efficacemente se sul versante del personale, degli organici, della formazione e della tecnologia non si è all’altezza. Pensi che se si rompe un ponte radio non ci sono i soldi per aggiustarlo, e in alcune strutture si può contare solo su pochissime microspie. Ma l’elenco potrebbe essere lunghissimo. Spesso gli operatori di polizia usano la propria autovettura per un pedinamento perché quella dell’amministrazione è inesistente, o ha un’età veneranda che ne sconsiglia l’utilizzo. Una condizione veramente allarmante. Forse si pensa che si possa fare la lotta alla criminalità con qualche norma. Il Testo Unico di questa estate, la legge 136 sul contrasto alla mafia, contiene anche norme di ottimo livello, come quella che definisce la tracciabilità dei flussi finanziari che riguardano gli appalti, o l’autonomia delle due procedure tra le misure di prevenzione economica, confisca e sequestro, e il processo. Va benissimo, ma se non ci si pone il problema di chi concretamente le deve applicare, di quali gambe possano avere, anche se formalmente ottime, queste norme restano del tutto inutili. E tornando alla formazione, all’arruolamento, non fare i concorsi vuol dire escludere alla base una parte di concorrenti la cui presenza arricchirebbe il patrimonio culturale di base.

Parla delle donne?
Esattamente. Non fare un concorso pubblico, ma utilizzare soltanto il canale dell’accesso Vfb (Volontario in forma breve) è riduttivo. Senza contare che occorre anche un lavoro di riconversione rispetto alla formazione ricevuta.

Che non ha molto a che fare con la società civile essendo militare, giusto?
Avere un numero limitato delle donne in Polizia è un danno. L’integrazione nella società, la conoscenza delle tensioni della società richiedono un approccio anche culturale che le donne possono fornire. Senza contare che il tutto è un po’ in odore di discriminazione difficilmente giustificabile di fronte alla nostra Costituzione. Bisognerebbe riacquisire la capacità di una visione a medio-lungo termine e non di scelte politiche di brevissimo respiro.

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