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Dicembre/2010 - Articoli e Inchieste
Mafia
Per sconfiggere quel sistema occorre colpire molto in alto
di Emilio Belfiore

Gli arresti dei killer e dei boss latitanti sono
dei successi il cui merito spetta giustamente
alle Forze di polizia e alla magistratura. Ma non
raggiungeranno completamente il loro scopo fino
a che mancherà un’azione decisa contro
le complicità e le connivenze a livello economico
e politico che sostengono il “modello” mafioso


“Mi sento offeso e indignato dalle parole infamanti di Saviano animate da un evidente pregiudizio contro la Lega. Chiedo risposta anche a nome dei milioni di leghisti che si sono sentiti indignati dalle insinuazioni gravissime di Saviano, e quindi auspico che mi venga concesso lo stesso palcoscenico per replicare ad accuse così infamanti che devono essere smentite”: così Roberto Maroni, ministro dell’Interno e autorevole esponente della Lega Nord, attaccando la seconda puntata del programma televisivo “Vieni via con me”, contotto da Fabio Fazio e Roberto Saviano. Al Ministro quella puntata non era piaciuta affatto a causa di un riferimento, fatto dall’autore di “Gomorra”, alla ricerca di contatti con dirigenti lombardi della Lega da parte della ’ndrangheta. E aveva aggiunto, parlando a Radio Padania: “Giro al Presidente della Repubblica e ai presidenti di Camera e Senato la questione se la Rai deciderà di negarmi il diritto di replica a Saviano. Chiederò al Presidente della Repubblica se una accusa così infamante sia compatibile con una funzione come quella di Ministro dell’Interno che sto sostenendo”.
“Sono stupito e allarmato dalle parole del ministro Maroni – aveva risposto Roberto Saviano – Non capisco di quali infamie parli. Temo che abbia visto un’altra trasmissione. Lo invito a rivederla e riascoltarla, io ho parlato solo di fatti, frutto di un’inchiesta giudiziaria dell’Antimafia di Milano e Reggio Calabria sul nuovo assetto della ’ndrangheta e sulla sua presenza culturale, politica ed economica in Lombardia. Fatti che dovrebbero preoccupare il Ministro dell’Interno invece di spingerlo ad accusare chi li denuncia”. E in realtà Saviano era stato abbastanza chiaro nel suo monologo: “La ’ndrangheta al Nord, come al Sud, cerca il potere della politica, e al Nord interloquisce con la Lega”. E lo scrittore aveva spiegato su l’Espresso su che cosa si basava il suo testo: “Quello che ho detto è documentato. L’incontro tra il consigliere regionale leghista e gli uomini delle cosche è negli atti dei pm Ilda Boccassini e Giuseppe Pignatone. E ricordo al Ministro che l’unico direttore di una Asl arrestato per ’ndrangheta è quello di Pavia, dove Comune, Provincia e Regione sono amministrati anche dal suo partito: stiamo parlando di una Asl che gestisce strutture di eccellenza e fa girare 700 milioni di euro l’anno. E ricordo che l’ultimo sindaco arrestato in un procedimento per collusione con le cosche calabresi è quello di Borgarello: un paese alle porte di Pavia, non una cittadina della Locride”.
Certo, l’incontro tra il consigliere leghista e i due appartenenti alla ’ndrangheta, poi arrestati, non aveva rilevanza penale, ma restava un fatto, e un segnale. Comunque, il Ministro aveva avuto la sua replica, consistita in un elenco di successi nella lotta alle mafie, arresti, sequestri di beni, raggiunti grazie all’impegno di Forze dell’ordine e magistrati, con l’aggiunta di una difesa della Lega Nord. Raccogliendo rapidamente le critiche di tutti i sindacati di Polizia che gli hanno rimproverato di aver vantato meriti che non spettano al governo di cui fa parte, e di non aver speso una parola per difendere dai tagli chi si batte per difendere la legalità.

* * *
Polemiche occasionali, vivacizzate dalle audience televisive? Piuttosto sembrerebbe trattarsi di una persistente forme di incomprensione dei sistemi mafiosi. Sistemi, appunto, strutturati come aziende dotate di vari compartimenti, diversi ma tra loro complementari. Non è una grande scoperta, sono cose note da decenni, trasmesse dai padri ai figli, ma stranamente personaggi che dovrebbero essere molto bene informati affermano di ignorarle. Cadono letteralmente dalle nuvole. E non da oggi. Ricordiamo che Giulio Andreotti, l’uomo che ha sempre saputo tutto di tutti, non ha mai nemmeno sospettato che, Salvo Lima, il suo uomo di fiducia in Sicilia avesse dei legami con cosa nostra. E che ne avessero i cugini Salvo, suoi fedeli sostenitori. Eppure, per saperlo gli sarebbe bastato leggere i giornali che non lesinavano le malevole insinuazioni a questo riguardo. Ed era stato proprio il ‘Divo Giulio’ a sentenziare “a pensare male si fa peccato, ma spesso si indovina”. Però lui non ci indovinava mai, e se doveva discutere con qualcuno dei problemi della pesca, gli capitava uno stretto collaboratore di Totò Riina.
Lo stesso era accaduto al senatore Marcello Dell’Utri, che dovendo assumere per conto del suo amico e socio Silvio Berlusconi uno stalliere a cui affidare la tenuta di Arcore, sceglie un Vittorio Mangano che, guarda caso, è un boss di cosa nostra. “Non portava il distintivo, e non avevamo mica chiesto informazioni”, spiega oggi Dell’Utri, evidentemente in quegli anni troppo occupato con Publitalia, Fininvest, Mediaset, e infine Forza Italia. E se poi lo stesso Dell’Utri viene condannato, in appello, a sette anni per “concorso esterno in associazione mafiosa”, Umberto Bossi, il ministro delle Riforme per il Federalismo, taglia corto e sentenzia “L’appoggio esterno non dimostra niente”. Più prudente, il ministro Maroni, ospite di un altro programma televisivo (“In mezz’ora”) aveva rilevato salomonicamente che se la condanna sarà confermata in Cassazione, “probabilmente” Dell’Utri andrà in carcere. O, “probabilmente”, non ci andrà.

* * *
“In Italia c’è una corruzione endemica. E c’è quella più strutturata e sfuggente delle grandi organizzazioni criminali, tra le più potenti al mondo. In ordine d’importanza: ’ndrangheta, cosa nostra, camorra”, ha detto in una recente intervista al Corriere della Sera Giuseppe Pisanu, presidente della Commissione bicamerale Antimafia. E aveva aggiunto: “La ’ndrangheta a Milano controlla il 90% delle cosche. Ogni anno le mafie riversano su tutta l’Italia fiumi di denaro sporco, che vengono immessi nell’economia legale con l’attiva collaborazione di pezzi importanti della società civile: liberi professionisti, imprenditori, banchieri, funzionari pubblici e uomini politici a ogni livello. Tiri le somme e capirà perché l’Italia è così in basso nelle graduatorie mondiali sulla corruzione e le libertà economiche”. Va ricordato che Giuseppe Pisanu, ex Dc, è senatore del Pdl, ed è stato ministro dell’Interno nei governi Berlusconi II e III. E il 30 giugno 2010 Pisanu aveva dichiarato all’Ansa che “è ragionevole ipotizzare che nella stagione dei grandi delitti e delle stragi si sia verificata una convergenza di interessi tra cosa nostra, altre organizzazioni criminali, logge massoniche segrete, pezzi deviati delle Istituzioni, mondo degli affari e della politica. Questa attitudine a entrare in combinazioni diverse è nella storia della mafia e, soprattutto, nella natura stessa della borghesia mafiosa”.
E’ una vecchia storia. E’, come dice Pisanu, la storia della mafia. L’organizzazione criminale – che sia cosa nostra, ’ndrangheta o Camorra – ovviamente deve avere un livello “militare” che con la sola sua esistenza intimidisce e determina il potere dell’organizzazione stessa, introducendo nella legge del mercato un argomento drastico: o ci stai, o ti ammazziamo. In sintesi è così che funziona. Ma il solo livello militare da solo non potrebbe durare, avrebbe la consistenza di una banda di gangster, sgominata definitivamente con l’uccisione e l’arresto dei suoi membri. L’organizzazione mafiosa a fianco del livello “militare” ha il livello politico e, il più importante, quello economico. Economico e finanziario, le mafie sono notoriamente i migliori clienti dei paradisi fiscali, anzi, in alcuni casi li controllano.
Di fronte a questa situazione, da parte di qualche rappresentante delle Istituzioni delegato, appunto, alla lotta alla criminalità organizzata si riscontra un atteggiamento in parte fuori fase. “La risposta politica alla mafia sembra concentrarsi sul livello militare, ma non basta arrestare solo i bravi fino a quando ci saranno i Don Rodrigo – ha dichiarato a l’Espresso Roberto Scarpinato, procuratore generale di Caltanissetta – L’anomalia dei corleonesi appartiene al passato. Oggi ai vertici di cosa nostra ritroviamo medici, architetti, imprenditori, colletti bianchi. A Palermo abbiamo arrestato dai 150 ai 200 estorsori all’anno, ma chi va in carcere viene sostituito, mentre resta potente una borghesia mafiosa che si arricchisce con le corruzioni, le speculazioni edilizie, il saccheggio di denaro pubblico: esattamente quei reati che diventerebbero impunibili con la legge bavaglio o il cosiddetto processo breve”.

* * *
“E’ l’intero Paese, a cominciare dalle popolazioni campane, da troppo tempo sottoposte alle gravi forme di intimidazione e violenza di quella organizzazione, a nutrire sentimenti di profonda riconoscenza verso le Forze di polizia e la magistratura per il contributo che stanno dando per la sicurezza dei cittadini e delle loro famiglie e per il sereno svolgimento della vita civile e della vita istituzione”: nei messaggi indirizzati al Capo della Polizia Antonio Manganelli e al Procuratore della Repubblica di Napoli Giandomenico Lepore, dopo l’arresto del boss camorrista Antonio Iovine, il Presidente Napolitano ha giustamente messo l’accento sulla validità della sinergia tra le due Istituzioni.
Questo non dovrebbe però avallare toni trionfalistici e auto elogiativi, come ad esempio quelli usati dal Ministro dell’Interno, che si era spinto a parlare di “un’antimafia dei fatti e dei risultati cui mi onoro di appartenere”. E’ un concetto ricorrente quando si affronta l’argomento delle mafie, diretto contro i vituperati “professionisti dell’antimafia”, che sostengono l’esigenza di colpire i livelli alti un sistema basato sulla violenza, sul denaro, e sul potere politico. E non si accontentano di una periodica scrematura dei ranghi intermedi, con in più qualche arresto eccellente: operazioni necessarie, e altamente meritorie per chi le conduce a buon fine, ma certo non conclusive. Come non lo saranno gli arresti di Matteo Messina Denaro e Michele Zagaria, indicati come prossimi obiettivi. Inutile illudersi, o fingere di non capire, lasciando intendere che la lotta alle mafie consiste solo in una caccia continua a picciotti e boss latitanti. O addirittura vantare che questo metodo sia preso a modello dagli altri Paesi dell’Unione Europea. Trascurando il fatto che nell’Ue nessuna nazione ha al suo interno un’organizzazione mafiosa, tranne l’Italia che ne ha tre. E di conseguenza gli altri Paesi devono essenzialmente premunirsi da indesiderate infiltrazioni mafiose provenienti dal Bel Paese.
Inutile anche sorprendersi per la capacità delle mafie di inserirsi non solo nei contesti imprenditoriali e politici esistenti, ma anche negli scenari prevedibili. Senza badare troppo alle etichette. Se a nord si muovono per interloquire con la Lega, è perché in quella parte del Paese la Lega è forte, ha voti e potere politico. E nel federalismo all’italiana prossimo venturo le mafie si stanno già preparando ad ampliare la loro sfera d’azione. Come? Cercando di rafforzare la loro presenza nelle regioni meridionali, e la loro capacità di intervento economico in quelle settentrionali. Perché il sistema mafioso è essenzialmente un sistema economico, sostenuto dall’illegalità e dall’uso spregiudicato della violenza. A suo modo, rappresenta un modello interessante per spregiudicate operazioni di mercato. Fino a che ci si ostinerà ad affrontarlo come se si trattasse di comuni delinquenti, ignorandone i sostanziosi e a volte imbarazzanti retroscena, dovremo rassegnarci a “convivere con la mafia”, come disse non molti anni or sono un ministro del quale abbiamo dimenticato il nome.

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