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Novembre/2010 - SOLO ON LINE SU POLIZIA E DEMOCRAZIA
44° Rapporto Censis: Italia sempre più stanca e indifferente
di Michele Turazza

L’Italia? Un Paese sempre più appiattito, indifferente, passivo, prigioniero delle influenze mediatiche: in una parola, non più capace di sognare. E’ un quadro zeppo di ombre (e qualche luce) quello che esce dal “44° Rapporto sulla situazione sociale del Paese” del Censis, prestigioso istituto di ricerca in campo socio-economico, fondato nel 1964.
Il sistema Italia, secondo i dati del Censis, sarebbe frenato da un’imponente evasione fiscale (circa 100 miliardi di euro l’anno sono sottratti all’erario) e da un enorme debito pubblico, pari al 4,7 % del Pil. L’economia irregolare cresce e sta diventando la regola, ma “gli italiani iniziano a guardare con preoccupazione al dilagare di questi fenomeni, su cui da sempre si è chiuso un occhio, anche per convenienza personale”. Se il 44,4% degli italiani individua nell’evasione fiscale il male principale del nostro sistema pubblico e il 51,7% chiede di aumentare i controlli per contrastare l’evasione, il “male italico” si ripresenta puntuale quando consente di risparmiare qualche euro: “di fronte a un esercente che non rilascia lo scontrino o la fattura, ancora più di un terzo degli italiani (il 34,1%) ammette candidamente di non richiederlo”. Zavorra allo sviluppo equo è anche l’irrisolto problema delle mafie: “La regione dove la presenza della criminalità organizzata e il controllo del territorio sono più pressanti è la Sicilia (dove il 52,3% dei Comuni presenta almeno un indicatore di criminalità organizzata, coinvolgendo l’83,1% della popolazione), segue la Puglia (con il 43% dei Comuni), la Calabria (38,4%) e la Campania (36,3%)”.
Non va meglio nel settore dell’occupazione giovanile, dove i dati dimostrano un’evidente contrazione di posti di lavoro: “Nel 2009 tra gli occupati di 15-34 anni si sono persi circa 485.000 posti di lavoro (-6,8%) e nei primi due trimestri del 2010 se ne sono bruciati quasi altri 400.000 (-5,9%). [...] Tra le ragioni che hanno visto così penalizzata la componente giovanile del lavoro vi è il loro maggiore coinvolgimento nei fenomeni di flessibilità: tra il 2008 e il 2009, a fronte della sostanziale tenuta del lavoro a tempo indeterminato, si è registrata una fortissima contrazione sia del lavoro a progetto (-14,9%), sia del lavoro temporaneo (-7,3%)”. Tiene, invece, il lavoro femminile, che sembra resistere meglio di quello maschile: sia nel 2009 che nel corrente anno, le donne hanno visto ridurre la propria partecipazione al mercato del lavoro in percentuali inferiori rispetto a quelle dei maschi. Il quadro torna cupo quando si analizzano i dati sugli infortuni sul lavoro per colf e badanti; il 44,3% dei collaboratori domestici ha avuto almeno un incidente sul lavoro nell’ultimo anno (l’11,3% addirittura più di uno), una quota non irrilevante dei quali “oltre a produrre effetti sulla salute di colf e badanti, condiziona il proseguimento dell’attività comportando l’assenza dal lavoro per inabilità: nel 18,8% dei casi superiore a tre giorni, nell’11,9% superiore a una settimana”.
Inquietante è una prassi impostasi negli ultimi anni nel nostro Paese, non sfuggita all’analisi del Censis: i contributi volontari delle famiglie e dei privati per garantire il normale funzionamento degli istituti scolastici statali, il 53% dei quali, quest’anno, ha richiesto somme più o meno elevate (a livello di scuola dell’obbligo sono in genere modeste, mentre in quelle di secondo grado il contributo medio supera gli 80 euro pro-capite, con oscillazioni fino ai 260 euro nei licei): alle famiglie sono dunque imposti ulteriori oneri, che gravano non poco sui bilanci.
Se giungono notizie positive sul fronte delle attività di volontariato, definito “pilastro della comunità” (un italiano su 4 dedica del tempo a queste attività, percentuale che sale al 34% tra i giovani), la situazione torna a precipitare per quanto riguarda le politiche per le persone disabili, che arretrano: “La dimensione sociale prevalente della disabilità è l’invisibilità, o quanto meno una visibilità distorta”.
Secondo l’istituto di ricerca, l’assenza di “un dispositivo di fondo (centrale o periferico, morale o giuridico) che disciplini comportamenti, atteggiamenti, valori” provoca una “diffusa e inquietante sregolazione pulsionale, con comportamenti individuali all’impronta di un egoismo autoreferenziale e narcisistico”, premessa ideale, questa, per una “società pericolosamente segnata dal vuoto, visto che ad un ciclo storico pieno di interessi e di conflitti sociali, si va sostituendo un ciclo segnato dall’annullamento e dalla nirvanizzazione degli interessi e dei conflitti”.
I rimedi? Nella crisi che attuale c’è bisogno di messaggi che facciano autocoscienza di massa. Non esistono attualmente in Italia sedi di auctoritas che potrebbero ridare forza alla ‘legge’ (oggi quasi il 71% degli italiani ritiene che la scelta di dare più poteri al governo e/o al capo del governo non sia adeguata per risolvere i problemi del Paese). “Più utile è il richiamo a un rilancio del desiderio, individuale e collettivo, per andare oltre la soggettività autoreferenziale, per vincere il nichilismo dell’indifferenza generalizzata. Tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare la dinamica di una società troppo appagata e appiattita”.

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