La vicenda di Pomigliano rappresenta una straordinaria lezione per noi cittadini e si colloca in uno dei momenti più difficili per il Paese, alle prese con una crisi economica che strangola i redditi delle famiglie e che rende la stabilità occupazionale un miraggio.
Pomigliano è l’emblema di questa crisi: 2 anni di cassa integrazione che hanno segnato profondamente la vita dei lavoratori Fiat e dell’indotto industriale. In questo contesto difficile l’azienda anziché presentare un progetto industriale credibile mette in atto un ricatto occupazionale con 700 milioni di euro da investire in cambio dell’azzeramento dei diritti costituzionali dei lavoratori.
Un vero capolavoro del capitalismo moderno che prima esternalizza, poi trasferisce la produzione in Paesi emergenti dove il lavoratore non ha tutele e ora si prefigge l’obiettivo di riportare la produzione in Italia importando da quei Paesi, per anni sfruttati, le medievali regole che disciplinano i rapporti di lavoro.
Un capitalismo finanziario che attraverso “nuovi padroni in pullover”, con compensi milionari, mostra il suo volto disumano che non ha rispetto per gli operai e irride il sacrificio economico che lo sciopero comporta sugli esigui bilanci familiari, considerandolo un escamotage per guardare una partita di calcio.
Per realizzare questa indecente strategia ha preteso anche un referendum che voleva plebiscitario nella partecipazione e nel consenso; referendum che molti commentatori hanno definito “una pistola alla tempia dei lavoratori”.
La posizione Fiat ha raccolto consensi nel mondo sindacale e nel mondo politico con una trasversalità preoccupante e trovato opposizione solo nella Fiom-Cgil che ha cercato di resistere a difesa dei diritti e della dignità del lavoro.
Una posizione difficile che ha subito attacchi e aperto un dibattito nel Paese e nel mondo sindacale. Una scelta coraggiosa perché da un lato c’è la sopravvivenza economica e sociale, la possibilità di pagare il mutuo e non perdere la casa, il bisogno di assicurare una vita dignitosa ai propri familiari e dall’altro i diritti, la dignità del lavoro e la necessità di non potervi rinunciare né ora né mai.
La Fiom-Cgil ha avuto il coraggio di resistere e andare controcorrente, ritenendo non trattabile la sicurezza dei lavoratori, il diritto alla malattia, il diritto allo sciopero e ha chiesto il rispetto delle regole e l’applicazione del contratto collettivo nazionale.
Il referendum imposto dall’azienda ha visto una straordinaria partecipazione dei lavoratori. Il Sì è prevalso con il 62,3%, ma la vittoria politica e sociale è di quei lavoratori che hanno scelto il No, con un inaspettato 36,7%, perché, nonostante difficoltà, pressioni esterne e ricatti, hanno mostrato forza e dignità che sono esempio per tutti.
La Fiom-Cgil ha vinto la sua battaglia, raccogliendo un consenso superiore a quello degli iscritti e dimostrando a tutti che tra i lavoratori non c’è rassegnazione, ma ancora voglia di difendere diritti e dignità. La vicenda di Pomigliano impone a noi dirigenti sindacali Silp un’attenta riflessione sull’importanza di assumere posizioni a tutela dei diritti in un panorama sindacale spesso votato al compromesso al ribasso su posizioni dell’Amministrazione.
La centenaria storia Cgil ci insegna che essere una voce fuori dal coro a difesa dei diritti e della dignità dei lavoratori non deve essere vissuta con la sindrome dell’isolamento, ma come sinonimo di coraggio e autorevolezza sindacale che sicuramente incontra l’apprezzamento della base.
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