Sedici parole per un solo “problema”, la giustizia. Che inevitabilmente richiama una serie di altre “questioni”, la prima delle quali riguarda chi la amministra, i magistrati. Quotidianamente attaccati, vituperati, sbeffeggiati anche da personaggi che ricoprono autorevoli incarichi nelle Istituzioni. Con esiziali ricadute tra i cittadini comuni, che sentono e acriticamente ripetono, autoconvincendosi che i magistrati sono “matti”, “antropologicamente diversi dal resto della razza umana” (sic!). La magistratura? “Cancro da estirpare” o, addirittura, “cancro della democrazia”. Un potere dello Stato, definito dalla Costituzione repubblicana “ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”, viene considerato “metastasi” da chi, su quella Costituzione, ha giurato. Qualcosa non torna.
“Giustizia. La parola ai magistrati”, (Laterza, 2010, p. 225), è un agile volumetto, che aiuta a fare chiarezza, offrendo gli strumenti per capire, e riflettere. Curato da Livio Pepino, consigliere di Cassazione che ha raccolto i contributi di altri suoi quindici autorevoli colleghi, ha la forma del dizionario e la sostanza di un vero e proprio saggio breve sulla giustizia, scevro però di oscuri tecnicismi. In ogni capitolo si parte da una parola, ripetuta e distorta dai media fino a storpiarne il senso; gli scritti contenuti nel volume sono un tentativo di ricostruirne il reale significato.
L’“indipendenza” dei giudici diventa sinonimo di “casta”, anziché garanzia di uguaglianza per tutti i cittadini; le “intercettazioni”, strumenti per spiare la vita privata di cittadini indifesi, invece di efficaci mezzi di indagine. “Prescrizione” coincide sempre più spesso con assoluzione, e la “separazione delle carriere” è la panacea di tutti i mali. “L’uso disinvolto o ingannevole delle parole – spiega Pepino – diventa così, sempre più, strumento di governo della società. Metodo antico, si può dire. Certo. Ma nella società della comunicazione ciò diventa più stringente e decisivo. E la fonte del potere si sposta dalla conoscenza delle parole alla capacità di manipolarle e al possesso dei mezzi per diffonderle e amplificarle (rendendo vero, con l’ossessiva ripetizione, anche ciò che è microscopicamente falso)”. Se dunque, ultimamente, prevale la volontà di manipolare le parole, più che di diffondere la conoscenza del loro significato, è di contributi come quelli contenuti in questo libro, che abbiamo bisogno, per comprendere le reali cause dei mali della giustizia e le ragioni delle riforme annunciate e, parzialmente, approvate.
Quello delle riforme della giustizia è un leitmotiv “che ci accompagna, da anni, ogni giorno – sottolinea Paolo Borgna, nello scritto di apertura sul termine “Difesa” –. Eppure, mai come in questi anni la giustizia è stata inondata da un profluvio di riforme che, evidentemente ben poco hanno fatto per sollevarne le sorti. La ragione di ciò è assai semplice: tranne poche eccezioni, si è trattato di riforme disorganiche, stiracchiate, sempre mal scritte, contraddittorie, zeppe di emendamenti incoerenti dell’ultima ora, spesso condizionate da precise contingenze della politica, da interessi corporativi o addirittura personali. La giustizia ha invece bisogno di un organico intervento riformatore, preparato da un movimento culturale ampio e profondo, sostenuto da quella cultura della giurisdizione che accomuna avvocati e magistrati”.
La stessa ‘cultura della giurisdizione’ che rende auspicabile una “casa comune” per giudici e pubblici ministeri, che nel nostro ordinamento sono distinti solo in quanto a funzioni, ma non a carriera (entrambi sono magistrati, appartenenti all’ordine giudiziario). Il libro contiene gli scritti di: Livio Pepino (Politicizzazione), Paolo Borgna (Difesa), Giuseppe Santalucia (Errore), Raffaello Magi (Garantismo), Matilde Brancaccio (Giudici), Rita Sanlorenzo (Indipendenza), Giancarlo De Cataldo (Giustizia e informazione), Antonio Ingroia (Intercettazioni), Pier Luigi Zanchetta (Legittimazione e consenso), Andrea Natale (Libertà personale e custodia cautelare), Armando Spataro (Obbligatorietà dell’azione penale), Carlo Renoldi (Pena e carcere), Margherita Cassano (Prescrizione), Letizio Magliaro (Separazione delle carriere), Luigi Marini (Tempo), Carla Ponterio (Uguaglianza).
|