“Fino ad ora le dispute sono state gestite pacificamente, ma nei prossimi anni il cambiamento climatico potrebbe alterare questo equilibrio e innescare una corsa per lo sfruttamento delle risorse naturali che saranno più accessibili”: lo ha detto, in un’intervista al quotidiano britannico The Guardian, l’ammiraglio James Stadyris, comandante supremo della Nato in Europa, parlando dei problemi posti dalla continua diminuzione della banchisa polare. Problemi ecologici come tutti sanno, legati al riscaldamento globale, ma anche attraenti prospettive di accesso a grandi giacimenti di petrolio, gas, minerali. Suscitando una competizione che - come suggerisce l’ammiraglio Stadyris quando sottolinea che il cambiamento climatico “potrebbe alterare” la gestione delle “dispute” - rischia di raggiungere punti di frizione elevati. Tanto che qualcuno ha ironicamente notato che sarà il riscaldamento globale a generare una nuova “guerra fredda”.
Comunque al rischio che venga a crearsi una situazione conflittuale si aggiunge quello, in un certo senso più concreto, di un ulteriore disastro ambientale, e - seguendo la sua nuova vocazione di “organismo tuttofare” - la Nato, nell’ambito del Programma Scienze per la Pace e la Sicurezza, ha indetto l’ottobre scorso un convegno presso lo Scott Polar Research Institute (Spri) di Cambridge: i partecipanti erano scienziati, politici, militari, petrolieri, ambientalisti, e rappresentanti delle popolazioni indigene polari. Un incontro “aperto al dialogo sui problemi di sicurezza internazionale legati al cambiamento climatico”, ha dichiarato Paul Berkmann, direttore del Programma di Geopolitica dello Spri. E ha aggiunto, senza compromettersi troppo sui risultati del convegno: “Stiamo facendo il possibile per trovare un equilibrio tra gli interessi delle singole nazioni e quelli globali”.
I Paesi che geograficamente circondano il Mar Glaciale Artico sono la Russia, gli Stati Uniti (con l’Alaska), il Canada, la Groenlandia, la Norvegia (con le isole Svalbard). La Convenzione dell’Onu sui diritti marini stabilisce che i Paesi circumpolari dispongono di una zona economica esclusiva che arriva a 370 chilometri dalle rispettive coste. Ma questa zona può essere ampliata se una nazione dimostra che la sua piattaforma continentale si spinge oltre questo limite. E la torta polare si presenta molto allettante. Ipotesi giudicate attendibili dagli esperti che calcolano la presenza nel fondale marino artico del 25% delle riserve petrolifere mondiali, di immensi giacimenti di gas, e di grandi depositi di metalli (nickel, cobalto, e altri). Quanto ai rischi sono anch’essi enormi. Un incidente come quello recentissimo della Deepwater Horizon nel Golfo del Messico avrebbe conseguenze ancora più gravi nell’ecosistema artico. E del resto a comprometterne l’equilibrio sarebbe già sufficiente l’intensificarsi delle attività estrattive.
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