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Novembre/2010 - Interviste
Festival di Grado
Dalla vita alla fiction, andata e ritorno
di a cura di Andrea Ribezzi

Un nutrito gruppo di scrittori di letteratura
poliziesca sono addetti del mestiere: da Ansoino
Andreassi, Prefetto in pensione, a Antonietta
Lombardozzi, direttore tecnico della Polizia
Scientifica, da Maurizio Matrone, ex poliziotto
a Alessandro Maurizi, sovrintendente di Polizia


Mi mancava condurre un Terzo Grado nonostante tanti anni di Polizia giudiziaria sulle spalle ed è stata un’esperienza interessante. A scanso di equivoci mi riferisco alla sezione del Festival dedicata ai “poliziotti e magistrati scrittori in giallo” tenutosi a Grado (Go) il 3 ottobre 2010 e non all’interrogatorio di Polizia condotto con metodi violenti. Ed ero lì perché anch’io mi cimento nello scrivere romanzi polizieschi ma soprattutto perché vivo e lavoro a Trieste, una città che da Grado dista un tiro di schioppo.
Accanto a me c’erano Ansoino Andreassi (Roma), Prefetto in pensione, ex vice Capo della Polizia, esperto di antiterrorismo, autore di “Voglio vivere così” [Stampa Alternativa 2010]; Antonietta Lombardozzi (Torino), direttore tecnico della Polizia scientifica, coautrice de “Il colpevole è Maigret” [Zedde 2008]; Maurizio Matrone (Piacenza), ex poliziotto, saggista, sceneggiatore, autore di numerosi romanzi tra cui “Fiato di sbirro” [Hobby & Work 1998] e “Il commissario incantato” [Marcos y Marcos 2008]; Alessandro Maurizi (Viterbo), sovrintendente di Polizia autore de “L’ultima indagine” [Il filo 2009] e il magistrato Piervalerio Reinotti (Trieste), giudice di Corte d’Appello, autore di “Rito alternativo” [Edizioni della Laguna 2001] e “D’improvviso” [Edizioni della Laguna 2007].
Nella splendida cornice del lido di Grado, in un tiepido pomeriggio domenicale, ho rivolto a loro alcune domande cercando di soddisfare la curiosità del folto pubblico presente dopo aver fornito alcune informazioni sul fenomeno letterario dei poliziotti che scrivono detective stories.
Nasce negli Stati Uniti negli anni ’70 e subito dopo anche in Gran Bretagna ottenendo un discreto successo. La novità americana consiste nel raccontare in modo crudo, disincantato e privo di retorica le vicende quotidiane di chi combatte il crimine nelle degradate banlieue. Quella inglese si evidenzia come una narrativa con forti agganci alla realtà, che rispetta fedelmente le procedure poliziesche e che prende spunto da casi veri. In Italia il fenomeno è molto più recente, prende vita negli anni ’90, ed è in piena espansione tanto che la Polizia di Stato partecipa stabilmente alla Fiera del Libro di Torino con un proprio stand riservato ai poliziotti scrittori.

La prima domanda non poteva che essere: cosa spinge un poliziotto a scrivere?
Andreassi lo spiega così: “Ho sentito il desiderio di scrivere non solo per evocare i miei ricordi, ma soprattutto per offrire alla gente, tra le molte letture che vengono da altri fronti, una testimonianza sugli “anni di piombo” da parte di chi ha lavorato dentro gli apparati di contrasto. Ho voluto dare insomma anch’io un contributo alla memoria, perché i giovani sappiano e i meno giovani non dimentichino che cosa è successo nel nostro Paese. La storia non è fatta solo di azioni nobili ed esemplari, ma anche di errori, ingiustizie, delitti. E il terrorismo ne costituisce un brutto capitolo che non può essere semplicisticamente rimosso, come se si trattasse di cronaca nera. In questi casi la rimozione non aiuta né educa”.
Lombardozzi: “La realizzazione de “Il Colpevole è Maigret” è la mia prima esperienza narrativa che prende corpo da un invito a descrivere la quotidianità del mio splendido lavoro nella Polizia Scientifica. Un’occasione così non sono riuscita a rifiutarla e ha rappresentato per me una bellissima sfida formativa, durante la quale ho potuto confrontarmi con persone che nella realtà sono dei veri autori di libri. La prova a cui ho partecipato mi ha divertito moltissimo oltre che stimolato nel cercare di spiegare in modo semplice e, quando possibile, ironico quello che si nasconde dietro una divisa o un camice bianco”.
Matrone: “Da una parte la voglia di scrivere una storia che avrei voluto leggere, dall’altra la necessità di esorcizzare con la scrittura eventi, esperienze e situazioni che mi hanno lasciato il segno. Il romanzo di Carlo Lucarelli Carta Bianca è stato il primo romanzo poliziesco che ha soddisfatto le mie aspettative di lettura, mentre i fatti della Uno Bianca sono stati quelli che hanno definitivamente consolidato le mie esigenze di raccontare storie poliziesche”.
Maurizi: “La voglia di raccontare il nostro ambiente con una lente di ingrandimento. Il desiderio di rappresentare il lavoro del poliziotto in tutte le sue sfaccettature, con i suoi lati positivi e anche quelli negativi, senza abbellimenti o artifizi. Una realtà non incentrata sul singolo, ma sul gruppo, su dinamiche di collaborazione che stanno dietro al risultato”.

Ci sono autori e letture che vi hanno in qualche modo influenzato?
Andreassi: “Mi piace leggere o rileggere i classici della letteratura italiana. Tra gli scrittori del Novecento quello che più amo è Pasolini. Tra gli scrittori stranieri più recenti mi ha affascinato Khaled Hosseini, l’autore di Il cacciatore di aquiloni e Mille splendidi soli”.
Lombardozzi: “In realtà, il genere di letture che più mi accompagnano nei momenti liberi sono sufficientemente lontane dai romanzi. Amo perdermi nelle storie vere, nelle indagini giornalistiche, nei libri che raccolgono o si fondano sullo studio di documenti, quasi a rappresentare dei racconti dettagliati di cose realmente accadute. Spesso sono manoscritti ‘minori’, scritti da familiari di persone scomparse o sopravvissute a episodi drammatici. Fra le ultime letture E’ stato morto un ragazzo di F. Vendemmiati, La Commorienza di A. Di Consoli, Divise Forate” di Alessandro Placidi”.
Matrone: “Mi piacciono i romanzi italiani, i grandi romanzi del nostro tempo, ma in particolare adoro Il giardino dei Finzi Contini di Bassani, il primo romanzo che mi ha aperto un mondo”.
Maurizi: “Ho letto e leggo di tutto. Ultimamente ho terminato una biografia di Caterina de Medici scritta da Jean Orieux. Ecco, sfido ironicamente gli amici giallisti a scrivere romanzi che per complessità, colpi di scena, omicidi, tresche di potere, passioni, tradimenti ed altro, superino la complessità di ciò che avveniva in quegli anni alla corte di Francia. A parte la battuta, per ritornare alla domanda originaria, mi piace spaziare fra più generi letterari: dalla fantascienza alla narrativa, dai gialli ai thriller. Su tutti però spicca un poeta che mi accompagna da sempre. E' Giacomo Leopardi. Non comprendo perché la letteratura classica lo definisce pessimista. Secondo me è solo un grande conoscitore dell'animo umano, un uomo che ha descritto con efficacia l'essenza di cui siamo fatti. Marinetti una volta disse: ‘Dicono che Leopardi è un pessimista. Lo dicono perché non sanno come mi sento io’”.

In una società dove realtà e fiction si mischiano paurosamente, quanto di vero o verosimile c’è nei vostri romanzi?
Andreassi: “La trama ed i personaggi del mio romanzo sono frutto della mia fantasia, ma le loro storie personali corrono sui binari della storia vera e cioè della realtà di quegli anni. Se poi mi si chiede anche se e quanto ci sia di autobiografico la risposta è: un buon sessanta per cento”.
Lombardozzi: “In ciò che ho avuto modo di descrivere ho cercato di attenermi alla realtà. Ho provato ad affidare alle parole la conduzione di un sopralluogo fatto dalla Scientifica sul luogo del reato, evidenziando anche i limiti e le difficoltà che si incontrano ogni volta. C’è la convinzione ormai diffusa che con le prove scientifiche si possa raggiungere qualunque risultato; in realtà la scienza ha dei limiti, che possono variare nel corso del tempo, ma non scomparire. Quando ci si affida a uno strumento ad esempio è implicito che tutto ciò che quello strumento non può rilevare non verrà trovato. E’ un esempio semplicistico e forse grezzo, ma molto efficace a mio parere. La fiction è già sapientemente ben sceneggiata nei film e nei serial televisivi”.
Matrone: “Un tempo ero più integralista rispetto la narrativa poliziesca. Mi indispettivano le argomentazioni, le ambientazioni o le indagini di personaggi che poco avevano a che fare con la realtà operativa. Oggi ritengo che un buon romanzo debba necessariamente essere finto per quanto verosimile possa sembrare l’ambientazione. Trovo che sia importante il patto con il lettore: siamo nella finzione e tutto è possibile, anche che un poliziotto si chiami Sarti Antonio e faccia - egregiamente - il “sergente” (che in Polizia non esiste). Pensare che un romanzo racconti la verità lo trovo inappropriato. Un romanzo deve indurre, grazie alla finzione, a riflettere sulle realtà.
In questo, devo dire, i poliziotti, i magistrati, gli avvocati scrittori hanno favorito una accelerazione realistica che è diventata una straordinaria cifra letteraria verso la quale tutti gli scrittori di poliziesco si sono obbligatoriamente orientati. In un mio romanzo (Il commissario incantato), il protagonista viene promosso commissario per meriti letterari. Niente al momento di più inverosimile: eppure più di un lettore mi ha fatto i complimenti per la giusta promozione, scambiando evidentemente l’io narrante con il ‘me medesimo’. Ho sempre pazientemente avvertito che si trattava di un romanzo, e qualcuno, stupitosi, mi ha assicurato, battendomi amichevolmente la mano sulla spalla, che comunque, prima o poi, poiché siamo in Italia, commissario lo sarei diventato. Peccato che poi io abbia lasciato la Polizia, se no chissà”.
Maurizi: “Le fiction ci propongono continuamente la figura del commissario bravo, intelligente che solo e coraggioso lotta contro tutti, solitamente circondato da colleghi banali, quanto non imbarazzanti. Noi sbirri nella realtà, siamo un'altra cosa. E' indubbio che le fiction debbano emozionare il pubblico, attraverso una sceneggiatura accattivante e intrigante. Tuttavia ciò che viene rappresentato, non rispecchia appieno quella che è la nostra realtà. Provo comunque grande rispetto per il genere poliziesco televisivo, personalmente però, preferisco vedere altro.”

E per finire un’impressione sul Festival.
Andreassi: “E’ stata un’esperienza piacevole e positiva, per l’accoglienza ottima, l’organizzazione eccellente dei lavori e la partecipazione qualificata di autori e pubblico. Nella tavola rotonda che mi ha coinvolto è forse mancato un piccolo spazio al dibattito col pubblico”.
Lombardozzi: “La mia partecipazione al Festival di Grado è stata una piacevolissima esperienza, abbellita da un’ottima organizzazione e uno splendido staff di accoglienza. Gli incontri letterari sono stati tutti davvero interessanti e mi hanno consentito di respirare un’atmosfera difficile da creare. Colgo questa occasione per ringraziare i promotori di questa iniziativa in quanto, partecipandovi ho avuto modo di poter prevedere nel mio viaggio di ritorno, una visita a Longarone e la Valle del Vajont, proprio in occasione del trentesimo anniversario”.
Maurizi: “I festival letterari sono appuntamenti meravigliosi. Quello di Grado in particolare mi ha lasciato uno splendido ricordo non tanto per gli incontri accademici spesso autocelebrativi, ma per i rapporti umani, gli incontri, gli scambi, le emozioni, gli orizzonti, i sentimenti, le passioni, le cene, i pranzi le chiacchiere mai banali”.

In realtà l’appuntamento si è concluso con la lettura di un brano tratto dai loro lavori. Aldilà di tante “chiacchiere” sulla narrativa, essa sta nei libri. E il pubblico credo l’abbia apprezzata.

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