Il Ministro per le Pari Opportunità decisa
a ostacolare il burqa in Italia e ogni altra forma
di ingiustizia che nega l’autodeterminazione
delle donne. E intanto fornisce i dati positivi
della legge anti stalking e della normativa
sulla parità di trattamento professionale
in materia di occupazione e impiego
In Francia è stata approvata una legge che vieta di indossare il burqa in luoghi pubblici. Lei ha dichiarato che in Italia il problema non ha la stessa rilevanza che altrove, ma sarebbe egualmente auspicabile un provvedimento analogo in nome della difesa dei diritti e della dignità della donna. Lei ritiene che una legge di questo tipo raccoglierebbe un vasto consenso sia nel Parlamento sia nell’opinione pubblica?
Certamente. Penso che dinanzi ai diritti delle donne non ci si debba nascondere dietro polemiche faziose e strumentali, in nome di ideologie che si dicono a favore delle donne e, paradossalmente, finiscono per colpirle, andando a ledere i loro diritti. In passato, quando le Camere hanno approvato con un voto bipartisan la legge contro lo stalking, hanno dimostrato, e lo dico con un certo orgoglio, grande senso del dovere.
Il burqa nega i diritti della donna, ed è il simbolo della sua sottomissione e della sua segregazione, ostacolando inoltre l’integrazione. Che fare quando ci si ritrova di fronte a una supina accettazione di questa forma di asservimento? E, a tale proposito, può essere efficace, come prevede la nuova legge francese, riservare pene e ammende più pesanti per gli uomini che obbligano le loro compagne a uscire velate?
Le nostre leggi parlano chiaro. Come è noto, per l’ordinamento italiano, mostrarsi in pubblico a volto coperto è già un reato. Detto questo, va chiarito che una legge sul burqa avrebbe piuttosto uno scopo “preventivo”.
Il burqa va tenuto lontano dai nostri confini nazionali non solo per quello che è, cioè una gabbia di stoffa, ma, soprattutto, per quello che rappresenta: una violazione del diritto delle donne a vivere una vita normale, all’uguaglianza e il diritto ad integrarsi all’interno di una società.
I casi di burqa in Italia sono ancora pochi, ma, con le dimensioni dei flussi migratori, considerato il peso della componente islamica, di qui a qualche anno rischiamo di trovare burqa dappertutto quando ormai sarebbe troppo tardi.
Le proposte di legge già presentate in Parlamento, colpiscono chi costringe al burqa una moglie, una figlia o una sorella negandogli, ad esempio, la cittadinanza italiana.
Come si dovrebbe impostare un’azione corretta ed efficace nei confronti del burqa per evitare che essa venga considerata una forma di discriminazione religiosa?
Facciamo attenzione, il burqa non è assolutamente un simbolo religioso, lo stesso mondo islamico moderato lo riconosce. L’obbligo di portare il burqa è di due tipi: uno, per così dire, meccanico, perché un marito costringe la donna ad indossarlo e, per questa fattispecie, ci sono state alcune denunce, anche per stalking. L’altro obbligo è, per così dire, di natura culturale: le giovani immigrate sono convinte, per formazione e cultura, di doverlo portare. A loro basterebbe parlare, far sapere che in Italia donne e uomini hanno stessa dignità e pari diritti. Io sono convinta che nessuna donna, potendolo evitare, decida di girare nascosta in una gabbia di stoffa, rifiuti ogni genere di contatto umano a prescindere.
Considero il burqa un simbolo di oppressione e di sottomissione della donna che ostacola una sana politica di integrazione e la obbliga all’emarginazione e, per questa ragione, decisamente in contrasto con le regole del nostro Paese e l’esigenza di avere una convivenza pacifica.
Nel settembre scorso, partecipando alla 65° Assemblea generale delle Nazioni Unite, lei ha auspicato che entro l’anno sia approvata una risoluzione contro le mutilazioni genetiche femminili. Quali ostacoli lei ritiene che debbano essere superati affinché questa barbarie sia affrontata con probabilità di successo? E in quale misura il problema si pone anche in determinati settori dell’immigrazione?
Come ho avuto modo di dire all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il problema delle mutilazioni genitali femminili è un problema globale, che, attraverso i flussi migratori interessa anche tutti i Paesi europei, seppur con una incidenza diversa. Ho quindi pensato che fosse giusto affrontare le cause dei problemi coi leader di quei Paesi che il problema ce l'hanno in "casa", studiare strategie comuni. Ed ho trovato persone, donne politiche, molto disposte ad affrontare il tema, che non si sono nascoste dietro alla “tradizione” o ai “costumi”, ma si sono lasciate coinvolgere in questa lotta che deve essere senza confine.
La legge italiana prevede pene da quattro a dodici anni di reclusione per chi costringe la propria figlia alle mutilazioni genitali femminili. In passato vi sono state diverse denunce, poi soltanto qualche segnalazione. Questo perché, scoperto che si tratta di un reato, le famiglie provenienti da Paesi a tradizione escissoria hanno cominciato a sottoporre le loro figlie agli interventi nei Paesi di origine, durante le vacanze estive. E, per questa ragione, non sono perseguibili in Italia. Perciò resto convinta che, accanto alla pena, sia importante investire sulla prevenzione, come abbiamo cercato di fare con uno spot, realizzato dal mio Ministero, rivolto soprattutto alle famiglie.
Nella Tavola rotonda di Vienna, alla quale lei ha partecipato con gli altri Ministri dell’Ue, si è delineata una politica comune europea per contrastare in modo efficace il traffico di esseri umani, e in particolare di donne e bambini?
L'Italia vanta delle norme molto avanzate per sconfiggere questi terribili traffici e per proteggere le vittime, grazie anche al recepimento, deciso dal governo alcuni mesi fa, della Convenzione di Varsavia, che introduce aggravanti molto pesanti alle pene già previste in precedenza.
Tra le "buone pratiche" italiane replicabili negli altri Stati membri, con i Ministri presenti abbiamo individuato il progetto di collaborazione dell'Italia con la Nigeria in materia di identificazione delle vittime, perseguimento dei trafficanti e assistenza delle vittime, e il Protocollo d'Intesa firmato a Bucarest, con la Romania. E' necessario, però, uno sforzo comune, una politica unitaria europea più forte ed efficace. Solo così potremo liberare il Continente da ogni forma di sfruttamento della persona, soprattutto donne e bambini, il più delle volte vittime inconsapevoli di trafficanti senza scrupoli che li costringono a vendersi sulle strade.
Sono certa che l'approvazione del disegno di legge contro la prostituzione che è tuttora in discussione in Parlamento riuscirà a dare un altro - importante - colpo ai criminali che si arricchiscono sulla pelle delle persone, soprattutto donne e bambini.
La realtà che Llei, come Ministro per le Pari Opportunità, deve affrontare ci insegna che in Italia la discriminazione e la violenza contro le donne viene sistematicamente esercitata. Nell’estate appena finita sono state molte le donne morte per mano di ex compagni, mariti o fidanzati. Un dato che però sembra essere costante anche durante l’anno, quando i media sono meno attenti all’inquietante fenomeno. Il suo Ministero ha fatto una campagna ad hoc, potrebbe dirci qual è la situazione oggi?
Il fenomeno della violenza, ce lo dimostrano i dati, è in calo, quindi non siamo di fronte a nessuna emergenza. Certo, fin quando ci sarà anche solo una donna o un bambino che subisce violenza, le Istituzioni hanno il dovere di intervenire e portare avanti la loro battaglia.
Questo governo ha adottato sin dall’inizio la linea della tolleranza zero ed è intervenuto creando il reato di stalking e introducendo aggravanti per i reati di violenza sessuale. Leggi che funzionano e che hanno un forte impatto deterrente.
Le leggi, per quanto severe, certo, da sole possono non bastare. La sfida è anche culturale, il messaggio che si deve lanciare alla società è che “donne e bambini” non si toccano.
Con quali sistemi si possono proteggere le donne che subiscono minacce, prima che si arrivi all’irreparabile?
Abbiamo dato alle donne molti strumenti per difendersi e ribellarsi alla violenza. Innanzitutto, l’introduzione nel nostro ordinamento del reato di stalking, che ha segnato un cambio di passo per la sicurezza delle donne, essendo un ulteriore possibilità che hanno per difendersi.
Le denunce non vanno sottovalutate: sono allarmi, grida delle persone, in maggioranza donne, che chiedono aiuto. Bisogna ascoltarli, bisogna agire subito: lo stalking non è un reato di serie B, ma di serie A. Lo scopo della legge è quello di prevenire reati più gravi e i magistrati hanno il dovere di intervenire subito, prima che si arrivi – come purtroppo è successo ancora quest’estate – ad omicidi.
Il suo Ddl anti stalking, che ha avuto il consenso di tutte le forze politiche, quali risultati sta dando?
La legge sta funzionando benissimo, i numeri sono addirittura superiori alle nostre aspettative. Il che, s’intende, non è affatto una buona notizia: il fenomeno degli atti persecutori, evidentemente, è più diffuso di quanto si pensasse. Nel primo anno dall’introduzione del reato di stalking le denunce sono state circa 7.000 e gli arrestati più di 1.200, le richieste di aiuto sono in continuo aumento.
E’ segno inequivocabile che abbiamo colmato un vuoto normativo, consentendo alle vittime di persecuzione di chiedere aiuto, di far emergere il loro dramma e di punire il molestatore.
Tra le vittime, le più colpite continuano ad essere le donne, anche se va detto che spesso sono gli uomini a denunciare, nel 20-25% dei casi.
Non crede che donne vittime di lesioni siano poi lasciate sole? Mi riferisco in particolare al caso di una donna carabiniere rimasta paralizzata a seguito dei danni causati dalle pallottole sparatale dal suo ex fidanzato: non solo è stata congedata, ma oggi deve pagarsi da sola la riabilitazione. Come si può commentare un caso simile?
Non conosco i dettagli di questo caso che, da come lo descrive lei, è certamente grave, anche perché configura una discriminazione multipla. Mi impegno ad approfondire la questione, segnalando il caso agli uffici competenti del mio Ministero.
Che cosa pensa del fatto che in Italia a parità di ruolo e incarico professionale ricoperto, spesso le donne guadagnano meno?
Penso che sia un malcostume a cui mettere la parola fine. Nel luglio 2009, infatti, ho chiesto e ottenuto che il governo recepisse la Direttiva europea 54 del 2006, che attua il principio delle pari opportunità e delle parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e di impiego.
La normativa, oltre a rafforzare la tutela nei periodi di gravidanza, maternità e paternità, anche adottive, garantisce parità di trattamento retributivo e di accesso alla formazione, al lavoro e alle opportunità di carriera. Per il datore di lavoro violare questi diritti diviene reato penale, sono previste multe fino a 50mila euro e l’arresto fino a sei mesi.
Prendiamo un settore come quello dei media: è vero che stanno aumentando i direttori e i caporedattori donne, ma sono ancora molto poche, in un settore dove si ostentano virtuosi propositi, e che dovrebbe dare l’esempio…
Abbiamo esempi illustri che rappresentano una tendenza positiva di cambiamento. Penso, ad esempio, a quelle donne che, ormai, hanno raggiunto vette un tempo insperate nei campi più disparati, dalle aziende all’amministrazione alla politica: come la Presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, o ancora alla governatrice del Lazio, Renata Polverini, che, prima di essere eletta, è stata anche la prima donna a ricoprire la carica di Segretario generale nazionale di un sindacato. Oggi anche il Segretario della Cgil è, per la prima volta, una donna. Nei media, poi, penso a direttori di magazine di successo: molte di loro sono donne.
Certo, le donne devono sostenere le donne e, di contro, coloro che riescono a raggiungere una posizione non debbono scordarsi delle altre donne, ma sostenerle a loro volta. Io sono fiera di essermi scelta, al Ministero, uno staff tutto femminile.
Le Pari Opportunità si trovano ad affrontare anche il problema dei disabili. Ritiene che la nostra società in questo campo si comporti con sufficiente senso di giustizia e umanità, o resta ancora molto da fare?
In linea con quanto sancito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, il Dipartimento per le Pari Opportunità, dallo scorso giugno, sta procedendo alle selezioni di progetti rivolti a persone disabili e finalizzati alle pari opportunità nell’arte e nello sport. Abbiamo stanziato due milioni di euro, e crediamo molto nel valore di questa iniziativa.
Vogliamo, infatti, dare la possibilità a chiunque si trova a vivere una disabilità, di superare le proprie barriere, utilizzando le proprie risorse e potenziando il proprio talento, capovolgendo il concetto di disabilità intesa solo come “mancanza”, rivalutando quello di “diversa abilità”.
Questo è anche il concetto della campagna istituzionale “Abilità diverse, stessa voglia di vita”, che abbiamo ideato e trasmesso proprio per diffondere il principio secondo cui una disabilità può impedire ad una persona di fare qualcosa, non di fare tutto. Ed è proprio questo che ci rende tutti uguali, perché nessuno, disabile o meno, sarà mai dotato di “ogni abilità”.
Nel mondo della politica, senza distinzione di schieramenti, quali considerazione può trarre in tema di Pari Opportunità?
Ho la fortuna di occuparmi di temi sensibili, che richiedono risposte trasversali, argomenti che, evidentemente, trovano consenso anche nell’opposizione. Devo dire che su molti temi, provvedimenti, proposte di legge, il dialogo con l’opposizione non manca, anzi, arricchisce, fornendo spunti costruttivi. E di questo ringrazio innanzitutto l’opposizione.
Aggiungo anche un’altra cosa, però. Tutto ciò non sarebbe possibile se non facessi parte di un governo, di centrodestra, attento ai problemi del Paese e vicino alle esigenze della gente. Un governo forte, che sostiene ed approva provvedimenti, un governo che preferisce i fatti alle parole.
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Dalla Campania a Montecitorio
Maria Rosaria Carfagna, nata a Salerno (8/5/1975), è attualmente Ministro per le Pari Opportunità del IV governo Berlusconi dall’8 maggio 2008.
Ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Fisciano (Sa) con una tesi in Diritto dell’Informazione e del sistema radiotelevisivo.
Entrata nel movimento politico di Forza Italia nel 2004 diventa, l’anno successivo, Coordinatrice Regionale di Azzurro Donna Campania. Nel 2006 è eletta alla Camera dei Deputati nella circoscrizione Campania 2 nella lista di Forza Italia, è stata Segretario della Commissione Affari Costituzionali nella XV Legislatura. Da Ottobre 2007 è Coordinatrice Nazionale di Azzurro Donna.
Eletta nell’Aprile 2008 alla Camera dei Deputati nella circoscrizione Campania 2 nella lista del Popolo della Libertà.
E' firmataria dei progetti di legge: Ddl "Misure contro la prostituzione"; Ddl "Garante nazionale per l'infanzia e l'adolescenza"; Ddl "Misure contro la violenza sessuale"; Ddl "Misure contro gli atti persecutori"; Ddl "Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno".
Il disegno di legge "Misure contro gli atti persecutori" è stato interamente recepito dalla Legge n. 38/2009.
Ha scritto il libro "Stelle a destra", Edizione Aliberti (2008).
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