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Novembre/2010 - Articoli e Inchieste
Storia e storie
Il poliziotto cattolico amico degli ebrei
di Claudio Ianniello

Giovanni Palatucci era questore
a Fiume. Nella cittadina istriana prima accolse
gli ebrei in fuga dai Balcani e dopo le leggi razziali
del 1938, ne mise in salvo più di 5.000 fino
a quando venne arrestato e spedito a Dachau
dove trovò la morte. Il suo nome figura
tra quelli dei Giusti tra le Nazioni
al museo Yad Vashem di Israele


Il museo Yad Vashem è stato fondato nel 1953, grazie alla legge del memoriale approvata dalla Knesset, il Parlamento israeliano. E’ il luogo ufficiale in Israele dedicato alla memoria delle vittime dell'olocausto. Il nome del museo che significa “un memoriale e un nome” trae origine dalle parole del libro di Isaia (56, 5) nel quale Dio dice: «Concederò nella mia casa e dentro le mie mura un memoriale e un nome [...] darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato».
Presso lo Yad Vashem, sono registrati i nomi di coloro i quali sono riconosciuti come “Giusti tra le Nazioni”, ovvero la massima onorificenza che il popolo ebraico attribuisce a chi, non-ebreo, ha agito in modo eroico a rischio della propria incolumità per salvare la vita anche di un solo ebreo dal genocidio nazista.
Nel 1990, Giovanni Palatucci, venne riconosciuto “Giusto tra le Nazioni” ed incluso nell’elenco dello Yad Vashem. Quest’uomo è stato definito “martire cristiano”, “eroe contemporaneo” e lo “Schindler italiano”.
In Israele la storia di questo giovane, morto di stenti e di sevizie a soli 36 anni nel campo di concentramento di Dachau, è conosciuta fin dal 1952, grazie all’opera di divulgazione svolta da un esule fiumano, tale Rodolfo Grani, che riconobbe in Palatucci, “ultimo questore di Fiume”, la persona che salvò la sua vita e quella di migliaia di altri ebrei.
Da questo momento, in Israele, diverse furono le persone che trovarono concordanza nei racconti di Grani, apportando ulteriori testimonianze dei terribili anni della Shoà, e di come quell’uomo, il funzionario della Polizia italiana Giovanni Palatucci, riuscì a farli scampare da morte certa.
Così non tardarono ad arrivare i riconoscimenti ufficiali, provenienti dal popolo d’Isralele, alla memoria dell’ultimo questore di Fiume e nel 23 aprile del 1953, a Ramat Gan, un quartiere di Tel Aviv, un gruppo di oltre 400 ebrei originari di Fiume, residenti in Israele, sopravvissuti alle persecuzioni e ai campi di sterminio, decise di intitolare a Palatucci un parco ed una strada, e ancora il 10 febbraio del 1955, gli venne intitolata una foresta, nei pressi di Gerusalemme.
L’eco di quanto avvenne in Israele giunse all’interno delle comunità israelitiche d’Italia, così l’Unione che le rappresenta, conferì il 17 aprile del 1955 la medaglia d’oro alla memoria di Giovanni Palatucci.
Il riconoscimento tra gli italiani
Tra gli italiani però, la vicenda di Giovani Palatucci rimane semi sconosciuta fino a metà degli anni Ottanta, poi, lentamente, a partire dall’Irpinia (la sua terra d’origine), si diffonde la conoscenza di questo “Giusto” italiano, grazie soprattutto all’operato di diverse organizzazioni ed associazioni che ne vogliono conservare e diffondere la memoria, e grazie anche a diverse pubblicazioni e all’interessamento dei mass-media con articoli, ed approfondimenti della televisione: uno sceneggiato televisivo Rai dal titolo Senza Confini, uno speciale - Chi l’ha Visto - il questore di Fiume, una puntata della trasmissione di Minoli La Storia siamo noi.
Ma il riconoscimento ufficiale da parte dello Stato Italiano della figura di Palatucci avviene solo nel 1995 su proposta del Capo della Polizia Ferdinando Masone, dell’Associazione nazionale “Miriam Novitch”, dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane e del Comune di Montella. Il 19 maggio, quindi, in occasione della Festa della Polizia, l’allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, gli conferisce la Medaglia d’Oro al Merito Civile e alla Memoria con la seguente motivazione: «Funzionario di Polizia, reggente la questura di Fiume, si prodigava in aiuto di migliaia di ebrei e di cittadini perseguitati, riuscendo ad impedirne l'arresto e la deportazione. Fedele all'impegno assunto e pur consapevole dei gravissimi rischi personali continuava, malgrado l'occupazione tedesca e le incalzanti incursioni dei partigiani slavi, la propria opera di dirigente, di patriota e di cristiano, fino all'arresto da parte della Gestapo e alla sua deportazione in un campo di sterminio ove sacrificava la giovane vita. Dachau, 10 febbraio 1945»(1).
Ma chi è Giovanni Palatucci?

Il primo incarico
Giovanni Palatucci, nasce a Montella (Avellino) il 31 maggio 1909 da Felice e da Angelina Molinari, ebbe un’educazione ispirata ai più alti valori cristiani. Nel 1930 dopo aver conseguito, presso il liceo “Tasso” di Salerno, la Maturità classica, adempì agli obblighi militari venendo destinato a Moncalieri (To), come allievo ufficiale di complemento.
Terminato il servizio militare riprese gli studi, e nel 1932, a 23 anni, conseguì la Laurea in Giurisprudenza presso l’Università di Torino, discutendo una tesi in Diritto penale sul rapporto di causalità. Nel 1935, presso la Regia Corte d’Appello di Torino, superò gli esami per l’esercizio della professione di Procuratore legale, con la seguente iscrizione all’albo dei Procuratori di Ivrea, ma, deludendo le aspettative del padre, che lo avrebbe voluto avvocato, abbandonò presto la pratica legale, decidendo di intraprendere la carriera di funzionario di Pubblica Sicurezza. Così nel 1936, all’età di 27 anni, al termine del 14° corso di formazione, venne assegnato alla questura di Genova, con la qualifica di vice commissario aggiunto.
Palatucci era un ragazzo intelligente, brillante. Si presentava bene, aveva un bell’aspetto, sempre molto curato, elegante, ordinato, forse ricercato. Testimoni diretti parlavano di lui come di un uomo amato e stimato nella società e, certamente, il suo aspetto non sfuggiva alle donne.
Avrebbe potuto avere una bella carriera come avvocato oppure, avendo scelto la professione del funzionario di Polizia, approfittare della sua posizione istituzionale, per i suoi vantaggi personali. Spesso capita che si diffidi da chi bada all’apparire, all’esteriorità, ma nel giovane Palatucci il lindore esteriore poteva ben definirsi uno specchio della sua rettitudine morale, la sua gradevole immagine altro non era che una piccola manifestazione del suo nobile animo. E per la sua affermazione personale e professionale, non dedicò molto tempo, spese la sua vita in tutt’altre cause.
Fin dal primo incarico presso la questura di Genova, si rivelò un funzionario “scomodo”.
Palatucci non capisce l’eccessiva burocratizzazione dei servizi di Polizia e le troppe lungaggini procedurali a fronte degli scarsi risultati conseguiti. Ne soffre, perché vede in quel modo di agire una causa di inefficienza della Pubblica Sicurezza, che porta la Polizia ad essere lontana dalle esigenze della popolazione. Dice infatti, in un’intervista rilasciata al Corriere Mercantile di Genova il 26 luglio 1937: “con il passare del tempo si finisce per vivere distaccati dal mondo, proprio da quel mondo che noi, per evidenti ragioni di servizio, si dovrebbe far di tutto per conoscere ed approfondire […] occorre un rapporto diverso tra Polizia e cittadini”. Non appaiono forse queste parole precorrere i tempi in termini di modernizzazione della concezione del rapporto Polizia - cittadino, che solo negli ultimi anni, a partire dal motto “insieme tra la gente”, fino ad arrivare alla più recente Polizia di Prossimità, pare finalmente incamminarsi nella giusta direzione, cercando di inserirsi nel tessuto quotidiano per essere più vicini alla popolazione, capirne le esigenze, conquistarne la fiducia? Ma in quegli anni bui, per Giovanni Palatucci la punizione non si fece attendere. Venne trasferito alla questura di Fiume, una città istriana ai confini orientali della penisola, che raggiunse il 15 novembre 1937, assumendo la responsabilità dell’Ufficio Stranieri.

La svolta
L’incarico a Fiume si rivelò l’occasione per conoscere una realtà di varia umanità. In questa cosmopolita città dell’Istria (annessa ufficialmente all’Italia con il Trattato di Roma del 27 gennaio 1924) si erano infatti da tempo inserite diverse comunità, pacificamente conviventi tra loro. In particolare considerevole era la componente ebraica, trapiantata da decenni dai territori dell’ex Impero Austro-Ungarico. Palatucci si avvicina molto proprio alla comunità ebraica di cui comprende fin da subito la difficile situazione: nei territori jugoslavi occupati dai nazisti e dagli ustascia croati, infuria infatti l’antisemitismo e Fiume rappresenta l’ultima via di salvezza per tutti coloro che stanno fuggendo dai Balcani. Circa la rete di solidarietà a favore degli ebrei che aveva come nucleo l’Ufficio Stranieri della questura di Fiume, rivelatrici appaiono le parole dell’ex rabbino capo di Roma prof. Elio Toaff (da L’Osservatore Romano dell’11 febbraio 1995), “all’epoca mi recavo spesso a Fiume e mi stupivo nel vedere quanta solidarietà veniva dimostrata nei confronti dei tanti ebrei che passavano il confine della Jugoslavia. I bambini venivano aiutati dai poliziotti di frontiera, le nostre famiglie venivano ospitate da quella cristiane e inoltrate poi verso destinazioni più sicure. Questo non è accaduto in altri Paesi d’Europa”.
In questa fase storica infatti, gli ebrei in Italia godevano ancora di una discreta integrazione nella società, tant’è che molti di essi accettarono o “rifiutarono” il Fascismo né più né meno di come fecero gli altri italiani, in base cioè alla propria coscienza o convenienza. Mussolini che ancora non aveva fatto propria l’idea di un antisemitismo di Stato, almeno fino al 1937, fece sì che gli ebrei italiani potessero godere sotto il Fascismo della stessa libertà di cui godevano gli altri italiani, e gli ebrei stranieri perseguitati, tutto sommato, trovavano spesso in Italia la possibilità di salvarsi.
Ma il razzismo e l’antisemitismo avevano un ruolo troppo importante nell’ideologia nazista perché potessero essere ignorati dal Fascismo. Mussolini, da fedele alleato, doveva quindi adeguarsi al concetto dell’antisemitismo di Stato
La situazione precipitò il 18 novembre 1938, con l’approvazione delle Leggi Razziali (R. D. L. 27 novembre 1938, n. 1728). Palatucci si ritrovò improvvisamente a decidere della sorte di più di mille ebrei italiani, divenuti apolidi. Da questo momento in poi, alla storia dell’uomo, funzionario di Polizia, si sovrapporrà quella dell’eroe.
Per Giovanni una sofferta scelta: obbedire alle leggi razziali, approvate dallo Stato italiano, al quale aveva giurato fedeltà, oppure ascoltare le proprie disposizioni interiori, quelle dell’animo, ispirandosi alla sua formazione umanistica e di fervente cattolico?
Non ebbe esitazioni: seguire i comandamenti di Dio e del cuore, a qualsiasi costo, avendo anche l’ardire di “sfidare” le leggi razziali.
Proprio nella questura di Fiume Palatucci inizia quindi ad organizzare una rete di collaboratori mirata ad aiutare gli ebrei in maggiore pericolo. Così proprio lui, che istituzionalmente avrebbe dovuto contrastare la fuga degli ebrei, inizia ad aiutarli. Tanti rifugiati furono sistemati in sicuri nascondigli, taluni muniti di permesso di soggiorno o documenti falsi, o forniti di una nuova identità, altri furono istradati verso la Svizzera e Israele (allora sotto protettorato inglese). Nella peggiore delle ipotesi riesce comunque a “smistarli” nei campi profughi italiani.
In particolare Giovanni Palatucci fece tutto il possibile per riuscire ad inviare un cospicuo numero di ebrei verso il campo di internamento di Campagna (Sa) dove il Vescovo era suo zio, Mons. Giuseppe Maria Palatucci. Lì, poteva contare sulla collaborazione delle Forze dell’ordine e della popolazione civile che tanto si prodigavano per rendere più che dignitose le condizioni di vita degli internati. I reclusi in quel campo avevano dei permessi per uscire ed erano partecipi all’organizzazione della vita del campo, frequentavano corsi di teatro, corsi di pittura, redigevano un giornalino interno, seppur scritto in tedesco, avevano allestito una Sinagoga, ed erano tranquillamente fotografati, con le autorità del posto.
Lo zio di Giovanni Palatucci, Mons. Giuseppe Maria non esitava a chiedere anche il sostegno economico del Vaticano, ciò è testimoniato da una lettera del 29 novembre 1940, firmata dal Sostituto alla Segreteria di Stato, Mons. Montini (futuro Papa Paolo VI) con la quale veniva concessa la somma di Lire diecimila da “distribuirsi in sussidi agli ebrei internati nella diocesi”(2).
L’azione di Palatucci si palesò difficile e rischiosa, tuttavia con abilità e coraggio, fidando solo su alcuni leali collaboratori, Capuozzo, Cavallaro, Cirillo, Cucciniello, Maione, Palumbo, Remolino, Russo, riuscì a tessere una rete di assistenza a favore degli ebrei. In particolare dalle parole di uno di questi collaboratori, Amerigo Cucciniello, possiamo evincere il modus operandi di Palatucci: “non c’era niente di clandestino, Palatucci non l’avrebbe neanche fatto, perché Palatucci era un uomo serio, che si comportava con le persone con molta delicatezza e con molta decisione. E lui, con le leggi in mano, riusciva sempre a risolvere certe situazioni, che non potessero nuocere gli emigranti ed intaccare le leggi italiane. Sapeva agire con le autorità perché bisognava aggirare le leggi, in tal modo da non intaccarle. Quello che era più importante era non dare pubblicità alle cose, non far capire, non far intendere, e tutto questo qui Palatucci lo sapeva fare molto bene, fare ciò che interessava più agli ebrei che all’Amministrazione italiana”.
Insomma Palatucci deve muoversi con attenzione, con diplomazia, facendo “buon viso a cattivo gioco”, da una parte deve far vedere di eseguire gli ordini dei superiori, dall’altra, contemporaneamente, deve studiare il modo “legale” per renderli per quanto possibile meno efficaci.
Le azioni del giovane Funzionario in quel contesto storico, non possono non apparirci oggi come eroiche, eppure egli le viveva come l’unico agire possibile. Nel dicembre del 1941, in una lettera ai familiari, scrive: «I miei superiori sanno che, grazie a Dio, sono diverso da loro. Siccome lo so anche io, i rapporti sono formali, ma non cordiali. Non è a loro che chiedo soddisfazioni, ma al mio lavoro, che me ne dà molte». E ancora: «Ho la possibilità di fare un po’ di bene e i beneficiati da me sono assai riconoscenti. Nel complesso riscontro molte simpatie. Di me non ho altro di speciale da comunicare». Quel “po’ di bene”, compiuto in quei tempi davvero difficili, significa la salvezza di migliaia di ebrei: oltre 5.000, secondo quanto riferito dal delegato italiano Rafael Danton alla prima Conferenza ebraica mondiale tenutasi a Londra nel 1945.

L’8 settembre 1943
Dopo l’8 settembre del 1943, Hitler, venuto a conoscenza dell’armistizio di Badoglio con gli alleati, fece annettere al 3° Reich le province di Bolzano, Trento e Belluno, incorporate poi nel Veralperland, alle dipendenze del Gaulaiter del Tirolo, Franz Hofer. Le province di Trieste, Udine, Gorizia, Fiume, Pola e Zara furono invece incorporate nell’Adriatischen Kusterland. Lo Stato italiano di fatto in quel vasto territorio non esisteva più. A Fiume l’ufficiale tedesco, che poteva decidere vita e morte di chiunque, era il Capitano delle SS Hoepener. Il 14 settembre del 1943, le truppe tedesche occupano Fiume e disarmano le Forze dell’ordine, inoltre la questura viene privata di telefoni ed automobili. La situazione è disperata e il questore fugge.
Giovanni Palatucci decide di rimanere a Fiume e all’inizio del 1944 diventa capo di una “questura fantasma”. Giovanni voleva salvare la popolazione di Fiume e Dalmazia dall’attuale pericolo nazifascista, ma anche dal pericolo, una volta ritirati i tedeschi, di un’occupazione delle crudeli bande di partigiani titini che, nel frattempo, facevano guerriglia per impadronirsi di alcune di quelle aree considerate irredente. La città di Fiume quindi, era stretta nella morsa da una parte dei nazifascisti e degli ustascia e dall’altra delle bande dei titini, i quali in questo momento storico si sentivano vicini alla vittoria.
L’istituzione della Repubblica di Salò, permise l’inasprimento delle disposizioni nei confronti degli ebrei. La situazione per Palatucci peggiorò. Nel manifesto programmatico della RSI infatti, Mussolini aveva dichiarato che, “gli appartenenti alla razza ebraica sono da considerarsi stranieri”, e con l’ordine di Polizia n. 5 del 30 novembre 1943, il Ministro dell’Interno disponeva l’internamento in campi di concentramento degli ebrei residenti nel territorio nazionale. Il congresso del Partito Fascista Repubblicano tenutosi a Verona il 15 novembre 1943, proclamò gli ebrei, non solo stranieri, ma appartenenti ad “una nazionalità nemica”.
Il console Svizzero di Trieste, che conosceva molto bene la meritoria attività del funzionario, tentò di convincerlo a mettersi in salvo, consigliandolo di rifugiarsi nel territorio elvetico. I consigli del diplomatico, ovviamente, rimasero inattesi.
Palatucci anzi continuò nella sua opera, procedette alla sistematica distruzione di tutto il materiale e i documenti riguardanti gli ebrei presente presso i vari uffici della questura, rendendo di fatto difficile per le SS redigere delle liste di proscrizione. Inoltre ingiunse all’Ufficio Anagrafico del Comune di non rilasciare alcun documento riguardante cittadini di razza ebraica senza aver prima informato le autorità repubblicane, questo per avere la situazione sotto controllo, cercando di anticipare le mosse delle SS, ed avvertire gli interessati del pericolo.
Cosi tra gennaio e luglio del 1944 si sottrassero migliaia di ebrei ai rastrellamenti dei tedeschi.
In questo clima di terrore, Palatucci trovò persino il coraggio di inviare una lettera al ministero dell’Interno della Repubblica di Salò, denunciando che il Prefetto, per tenersi buoni i nazisti, non difendesse i poliziotti i quali, disarmati e senza paga, erano soggetti ad angherie perpetrate da nazisti ed ustascia, e lamentando che il dirigente non facesse nulla che potesse farlo considerare il “Prefetto italiano di Fiume italiana”.
Giovanni Palatucci elaborò in questo periodo un “Piano per lo Stato libero di Fiume”, preparato insieme al Movimento di Liberazione, pare che il funzionario fosse conosciuto presso il C. L. N. col nome di dott. Danieli. Il piano arrivò in Svizzera per essere sottoposto agli alleati. Ma troppo tardi. Scoperto dalla Gestapo, Giovanni Palatucci venne arrestato il 13 settembre 1944, su ordine del tenente colonnello Kappler, con l’accusa di “tradimento e d’intelligenza con il nemico”. Ma l’aver aiutato migliaia di ebrei a mettersi in salvo pesò più di ogni altra imputazione.
Al termine di un brutale interrogatorio, l’ultimo questore di Fiume fu rinchiuso nel carcere del “Coroneo” di Trieste in attesa di essere giustiziato. La condanna a morte, tuttavia, venne commutata in deportazione e il 22 ottobre 1944 venne trasferito nel campo di sterminio di Dachau, e registrato con la matricola 117826.
Un ultimo incredibile gesto di umanità si legge su tutti i testi relativi a Palatucci. Nell’ottobre del 1944, l’ultimo questore di Fiume venne caricato su un “treno della morte” diretto a Dachau. Il brigadiere Pietro Capuozzo, che era stato uno di quei fedeli collaboratori del funzionario, avendolo saputo, raggiunse la stazione e camminando su e giù per il marciapiede lungo i vagoni, parlando ad alta voce con un collega, sperava di essere sentito da Palatucci, per poterlo salutare un’ultima volta. Quando improvvisamente gli cadde tra i piedi un foglietto di carta arrotolato, e udì la voce di Palatucci: “Capuozzo, accontenta questo ragazzo. Avverti sua madre che sta partendo per la Germania. Addio”. Su quel biglietto erano indicati la famiglia e l’indirizzo di quel povero ragazzo. L’ultimo gesto di un uomo al di fuori del comune. Gesto che da molti è stato definito come il suo testamento spirituale.
Quattro mesi di stenti e sevizie fiaccarono la resistenza di Giovanni, e il 10 febbraio 1945, il suo corpo fu precipitato in una fossa comune insieme a quelli di altre centinaia di ebrei. Ciò occorse solo 78 giorni prima della liberazione del campo di concentramento da parte delle truppe americane (29 aprile 1945).

La canonizzazione
Il 21 marzo 2000, il Vicariato di Roma ha dichiarato l'apertura del processo di beatificazione del “Servo di Dio Giovanni Palatucci”.
Le fasi di canonizzazione dell'ultimo questore di Fiume erano iniziate su richiesta dell'associazione dei fedeli "Giovanni Palatucci" presieduta da Monsignor Pietro Iotti.
In occasione della cerimonia ecumenica Giubilare del 7 maggio 2000, Papa Giovanni Paolo II non ha esitato ad annoverarlo tra i martiri del XX Secolo.
Il 16 febbraio 2004 si è concluso ufficialmente presso il Tribunale Diocesano, il processo di I° grado per la beatificazione di Giovanni Palatucci, già definito "Servo di Dio", e considerato ora dalla Chiesa cattolica come “Venerabile”.
Queste le parole del Card. Camillo Ruini: “Questa Causa ha un triplice valore. Anzitutto per la comunità ecclesiale, additandole questa figura straordinaria di laico cristiano. Quindi per la Polizia di Stato, che ha in questo funzionario un altissimo esempio di dirittura morale, di forza d’animo, oltre che di fede e generosità senza limiti. Infine per la comunità ebraica, alla quale siamo grati per i riconoscimenti dati a questo giovane funzionario di Polizia, che è stato un vero testimone della fraternità tra i popoli”.
Ad oggi numerose sono le iniziative volte ad omaggiare l’ultimo questore di Fiume. Inoltre ancora vivo è il dibattito storico sulla figura di Giovanni Palatucci, la ricerca di documenti e testimonianze.
Ciò che è certo, è il fatto che questo giovane uomo si sia prodigato per gli altri, ed abbia salvato delle vite umane consapevolmente, rischiando coscientemente la propria incolumità. È importante forse sapere se abbia salvato un uomo o seimila uomini? Si usa dire che, chi salva una vita salva il mondo intero.
La vita dell’ultimo questore di Fiume, che si ispirò ai valori cristiani e al diritto naturale, continua ad essere attuale e d’esempio, per quanti, seguendo la voce della coscienza, hanno l’umiltà di non offendere, anzi promuovere, la dignità dell’uomo.
_______________________________
Note:

1) Nel 2006 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha conferito inoltre la Medaglia d’Oro alla Memoria al Mons. Giuseppe Maria Palatucci «Vescovo di elevate qualità umane e civili che, nel corso dell'ultimo conflitto mondiale, si prodigava con eroico coraggio e preclara virtù civica nell'assistenza morale e materiale degli ebrei internati a Campagna, riuscendo a salvarne circa mille dalla deportazione nei campi di sterminio nazisti. Fulgido esempio di coerenza, di solidarietà umana e di rigore morale fondato sui più alti valori cristiani e sull'intensa condivisione delle altrui sofferenze».

2) il documento è riportato nell’appendice del volume Giovanni Palatucci. Il poliziotto che salvò migliaia di ebrei – Laurus Robuffo -pubblicata a cura del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell'Interno.
__________________________
Per approfondire

• P. Vanzan S. I., M. Scatena – Giovanni Palatucci, il Questore giusto
• G. Raimo – A Dachau per amore, Giovanni Palatucci
• Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno – Giovanni Palatucci il poliziotto che salvò migliaia di ebrei
• Don Francesco Celetta – Giovanni Palatucci raccontato con semplicità
• Mauro Macci – Un italiano contro le leggi razziali “l’opera di Giovanni Palatucci”
• http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/pop/schedaVideo.aspx?id=735

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