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Novembre/2010 - Articoli e Inchieste
Scenari di crisi
Quando il pericolo non termina con la fine di una catastrofe
di Marco Cannavicci - Psichiatra - Criminologo

La psicologia dell’emergenza non solo interviene
prima con la formazione del personale e subito
dopo che si è verificato un disastro
o una calamità, occupandosi sia delle vittime
dirette che indirette, ma deve anche partecipare
alla gestione successiva della fase critica, che può
essere altrettanto pericolosa


Nel numero precedente è stato affrontato il tema delle reazioni comportamentali collettive ad una situazione di crisi delle infrastrutture e sono stati ipotizzati degli scenari. L’argomento richiama conoscenze pertinenti la psicologia delle emergenze, con la differenza, rispetto agli studi finora effettuati, che nella fattispecie delle crisi infrastrutturali verrebbero a mancare i soccorritori e quindi la riorganizzazione della popolazione dovrebbe avvenire con modalità spontanee e di conseguenza variabili a seconda del contesto sociale e delle risorse presenti in loco, sia materiali che umane.
In generale possiamo affermare che la “psicologia dell'emergenza”, cui spetterebbe il compito di studiare le dinamiche delle situazioni di crisi, è il settore della psicologia che si occupa degli interventi clinici e sociali in situazioni di calamità, disastri, emergenza ed urgenza. Più in generale, è la disciplina che studia il comportamento individuale, gruppale e comunitario in situazioni di crisi.
E’ una scienza relativamente nuova che si è sviluppata a partire dai contributi della psicologia militare, della psichiatria d'urgenza e dalla cosiddetta “Disaster Mental Health”. Si è progressivamente sviluppata ed arricchita di un insieme di tecniche d'intervento psicosociali tipiche dell'emergenza, quali ad esempio il Critical Incident Stress Management, il Debriefing ed il Defusing (vedi box in queste pagine).
La psicologia delle emergenze è spesso erroneamente e riduttivamente confusa con la psicotraumatologia e la terapia del Disturbo post-traumatico da stress (Dpts), che sono invece dei sottosettori specifici della psicoterapia. La psicologia dell'emergenza rappresenta una disciplina molto più ampia, finalizzata in maniera trasversale a ricomporre i contributi di pensiero e di ricerca di varie branche della psicologia (psicologia clinica, dinamica, sociale, ambientale, delle comunicazioni di massa, ecc.), adattandole allo studio dei processi psicologici che si attuano nelle situazioni "non ordinarie" e degli eventi "acuti".

L’alterazione dei processi
In sintesi, mentre gran parte della psicologia tradizionale si occupa dei processi psichici (cognitivi, emotivi, psicofisiologici, …) che avvengono in condizioni "normali", la psicologia dell'emergenza si occupa di come tali processi vengano ad essere rimodulati trasversalmente nelle situazione "acute". Lo studio di come un bambino si rappresenta cognitivamente, e cerca di trovare coerenza in una situazione confusa (un'emergenza sanitaria, un'evacuazione di protezione civile); di come la comunicazione interpersonale viene alterata nelle interazioni sociali che avvengono in una situazione di rischio; di come si modificano le dinamiche di leadership e funzionamento interpersonale all'interno di un gruppo coinvolto in un incidente critico; di come l'appartenenza ad un determinato sistema culturale, con i suoi assetti valoriali e simbolici, può rimodulare il vissuto emotivo individuale in situazioni di grave stress acuto, sono tutti temi tipici della psicologia dell'emergenza "non-clinica".
Ambiti applicativi della psicologia dell'emergenza sul suo versante clinico sono invece, ad esempio, la formazione preventiva al personale del soccorso (fase pre-critica); interventi immediati di supporto sulla scena e consulenza diretta (fase peri-critica), compresi Defusing e Demobilization per gli operatori coinvolti; eventuali procedure di Debriefing, valutazioni di follow-up ed interventi di sostegno individuali, gruppali e familiari a medio termine (fase post-critica).
Gli interventi clinici della psicologia dell'emergenza si possono rivolgere alle vittime "primarie" (i soggetti direttamente coinvolti dall'evento critico), alle "secondarie" (parenti e/o testimoni diretti dell'evento) e "terziarie" (i soccorritori intervenuti sulla scena, che spesso sono esposti a situazioni di particolare drammaticità). Gli psicologi dell'emergenza, data la loro frequente interazione con i processi emotivi traumatici del particolare tipo di pazienti con cui operano, sono più a rischio della media rispetto a possibili fenomeni di traumatizzazione vicaria, e devono pertanto attuare a loro volta una serie di misure di "autosostegno" per minimizzare questo rischio (ad esempio, debriefing specifici tra loro, supervisioni esterne post-intervento, …).
Lo psicologo dell'emergenza, oltre alle competenze di base di "soccorritore", a quelle specifiche di psicologo, ed a quelle specialistiche di gestione emotivo-relazionale delle situazioni di crisi, deve avere una approfondita conoscenza del sistema dei soccorsi, della sua organizzazione e dei diversi ruoli funzionali rivestiti dagli altri "attori" dello scenario emergenziale. La necessità di operare a stretto contatto con aspetti "pragmatici" ed organizzativi molto peculiari è infatti uno degli assetti fondamentali del lavoro psicologico in emergenza. Le dinamiche istituzionali che avvengono in situazioni di crisi sono specificatamente studiate dal settore della psicologia organizzativa dell'emergenza.

Prima dell’emergenza
Su un versante sociale, sono inoltre parte integrante della psicologia dell'emergenza le attività di studio della "percezione del rischio" (Risk Perception) e della "comunicazione del rischio" (Risk Communication), particolarmente utili per comprendere le rappresentazioni che la popolazione ha di certi tipi di rischi, e per impostare di conseguenza comunicazioni di emergenza più efficaci e mirate. Recentemente, le linee-guida internazionali di settore che sono state messe a punto hanno iniziato ad enfatizzare sempre più la necessità di integrare gli approcci tradizionali della psicologia dell'emergenza, orientati principalmente all'azione clinica (individuale o gruppale), con un'attenzione molto più marcata alle dimensioni psicosociali, comunitarie e interculturali dell'intervento effettuato. Lo psicologo dell'emergenza non deve quindi occuparsi solo della "clinica" di "individui isolati dal contesto", ma anche e soprattutto della gestione sistemica dello scenario psicosociale e comunitario, all'interno del quale è avvenuta l'emergenza.
Ad esempio, in una maxiemergenza (disastri, calamità, ecc.), oltre all'intervento di crisi nell'immediatezza dell'emergenza, lo psicologo dell'emergenza deve anche contribuire:
- alla pianificazione di medio termine dei servizi assistenziali alla popolazione;
- al collegamento tra l'assistenza diretta nelle tendopoli e la liason con i servizi sanitari;
- all'assistenza nelle interazioni e gestione dei conflitti all'interno della comunità, e tra le comunità limitrofe;
- alle attività di supporto nella ripresa dei servizi educativi (affiancamento degli insegnanti nella ripresa dell'attività scolastica, consulenze psicoeducative, ecc.);
- al sostegno ai processi di empowerment psicosociale e comunitario;
- al supporto psicologico, man mano che famiglie, gruppi e comunità ripristinano un proprio "senso del futuro", e riprendono gradualmente a svolgere una progettazione autonoma delle proprie attività, ricostruendosi una prospettiva esistenziale in un contesto ambientale e materiale spesso profondamente mutato.
A livello di principi generali di intervento, in Italia è diffusa l'aderenza al cosiddetto "Manifesto di Carcassonne" (vedi box a fondo pagina).
Lo psicologo dell'emergenza non deve quindi essere solo uno "psicologo clinico", ma uno psicologo versatile, in grado di muoversi con flessibilità dalla dimensione clinica a quelle psicosociali ed organizzative, integrando ed adattando al tema degli "eventi acuti" i contributi trasversali delle diverse discipline psicologiche.
Sempre in tal senso, lo psicologo dell'emergenza deve acquisire nel corso della propria formazione una specifica competenza di base nelle tecniche, logiche e procedure operative del sistema dei soccorsi (sia tecnici che sanitari), per poter operare efficacemente all'interno degli stessi.
Una delle declinazioni operative della psicologia dell’emergenza è la psicotraumatologia, disciplina che affronta le situazioni in cui le reazioni ad un evento acuto si cristallizzino e strutturino, sino a costituire un vero e proprio trauma psicologico. La psicotraumatologia si occupa quindi delle forme di disturbo acuto da stress (Asd) e di disturbo post traumatico da stress (Dpts), lasciando invece alla più vasta psicologia dell'emergenza tutti gli aspetti comunicativi, sociali, organizzativi, di "pronto soccorso psicologico" (psychological first aid) e di "supporto sulla scena" degli eventi critici e delle situazioni di crisi.
L'obiettivo dell'intervento psicoterapeutico di tipo psicotraumatologico è quello di ridurre o eliminare i sintomi post-traumatici, anche attraverso un'integrazione e rielaborazione di un "significato coerente" rispetto all'esperienza vissuta. Nella maggior parte degli approcci psicotraumatologici il trauma psicologico viene concettualizzato come l'impossibilità di costruire un significato coerente rispetto all'inaccettabilità ed inelaborabilità psicologica degli eventi occorsi all'individuo. A tal proposito esistono diversi approcci clinici, basati spesso su differenti paradigmi teorici, per il trattamento dei traumi psicologici. Alcuni di questi approcci psicoterapeutici propongono schemi protocollizzati di intervento ad hoc, mentre in altri casi vi è un adattamento di modelli terapeutici "generali", che vengono specificatamente riorientati alla gestione della problematica post-traumatica.

Il trauma
Il trauma psicologico è un tipo di "danno" (un "vulnus", una "ferita") che in alcuni casi viene subito dalla psiche a seguito di un'esperienza critica vissuta dall’individuo (che sia un evento singolo, oppure un evento ripetuto o prolungato nel tempo), e che viene detta evento traumatico. Sigmund Freud formulò una definizione di evento traumatico per la psiche utilizzando termini economici: “si tratta di una esperienza singola, o di una situazione protratta nel tempo, le cui implicazioni soggettive, cioè idee, cognizioni ed emozioni ad essa collegata, sono nel complesso superiori alle capacità del soggetto, in quel momento, di gestirle o di adeguarsi ad esse, cioè di integrarle nella psiche”. Il trauma psicologico è quindi un evento che, per le sue caratteristiche, risulta "non integrabile" nel sistema psichico pregresso della persona, e quindi rimane dissociato dal resto della sua esperienza psichica, causando la sintomatologia psicopatologica relativa.
L’evento traumatico può essere di qualsiasi tipo. Esso solitamente implica l’esperienza di un senso di impotenza e vulnerabilità a fronte di una minaccia, soggettiva o oggettiva, che può riguardare l’integrità e condizione fisica della persona, il contatto con la morte oppure elementi della realtà da cui dipende il suo senso di sicurezza psicologica.
Per la Scuola di Val-de-Grace (la più importante scuola psicotraumatologica francese) il trauma è legato a un contatto del soggetto con la realtà della morte ("réel de la mort"), quando ciò avviene in modo brusco, non mediato e non elaborabile. Nell'accezione più ampia di tale approccio, il trauma psicologico corrisponde all'impossibilità di dare un senso ed un significato, coerente e psicologicamente viabile, ad un episodio che si situa "fuori" dall'esperienza di vita normale dell'individuo.
Traumi tipici sono il lutto, la malattia, gli incidenti, la violenza fisica o la sua minaccia, altre violazioni o perdite di sicurezze personali. Anche l’assistere a questi fatti può costituire un evento traumatico: si parla in questo caso di "vittime secondarie", o anche di vittime "terziarie" nel caso dei soccorritori che assistono le vittime primarie.
Comunque, raramente l'attraversare tali esperienze, pur se penose e difficili, determina lo sviluppo di una vera e propria sindrome clinica, o "trauma psicologico strutturato" (Dpts). Perché un evento estremo, ancorché molto doloroso, si traduca in una sindrome di trauma strutturato, è necessario il concorso di ulteriori fattori personali ed esperienziali nella storia pregressa dell'individuo, quali ad esempio fenomeni di abuso e trascuratezza nell'infanzia, problematiche psicologiche pregresse, …oltre che nella struttura della rete di supporto sociale.
L'intervento immediato di supporto individuale, gruppale e psicosociale a singoli e comunità che hanno subito un evento critico è ambito elettivo della psicologia dell'emergenza. Gli interventi clinici di valutazione e intervento sulle sindromi di trauma psicologico strutturato, nel medio-lungo periodo, sono ambito elettivo della psicotraumatologia.
Il National Center for Post-Traumatic Stress Disorders statunitense stima in media a circa il 7,8% la prevalenza nel corso della vita di un Dpts nella popolazione. La percentuale sale di molto per i traumi relativi a violenza fisica o sessuale diretta, mentre è significativamente più bassa per i traumi derivanti dall'esposizione a calamità naturali. La variabile discriminante, nel rendere tendenzialmente più "psicologicamente traumatici" gli eventi di violenza diretta e voluta, rispetto a quelli indiretti e "accidentali", è proprio la percezione di "volontarietà" del danno che viene portato contro il soggetto. Se l'agente di danno è impersonale o naturale (come ad esempio un terremoto), la percezione della vittima della causalità volontaria dell'accaduto, e della "volontà di fargli un danno personale", è ovviamente inferiore rispetto a quello di un atto di violenza diretta perpetrato appositamente nei suoi confronti da un'altra persona, con conseguente minore traumatizzazione psichica.

Le vittime indirette
Il Disturbo acuto da stress (o Asd, Acute stress disorder) è la sindrome clinica acuta che, in alcuni casi, può conseguire a breve termine all'esposizione o al coinvolgimento in eventi "estremi": traumi, catastrofi, incidenti, atti di violenza. Oltre che le vittime primarie, anche i soccorritori che sono coinvolti in situazioni critiche possono in alcuni casi sviluppare tale sintomatologia.
A differenza del Dpts, che ne può rappresentare l'evoluzione clinica a medio-lungo termine, l'Asd si può instaurare rapidamente, dopo circa 48 ore dall'evento, e può durare, secondo l'attuale classificazione nosografica, da due giorni ad un mese. In presenza di sintomi clinici rilevanti dopo il termine del mese, si passa alla diagnosi di Dpts. È probabilmente possibile prevenire l'insorgenza di una certa quota di casi di Asd tramite il corretto utilizzo di presidi psicologico-clinici di emergenza, quali un appropriato scene support (Psychological First Aid) e l'effettuazione precoce di adeguate procedure di Defusing, Debriefing e demobilization per il personale coinvolto.
L'Asd viene gestito sia con approcci psicologico-clinici che farmacologici. È importante comunque notare come la maggior parte delle persone, anche se vive eventi potenzialmente traumatici, subisca solo delle reazioni emotive transitorie (le cosiddette "reazioni normali ad eventi anormali") che, seppur emotivamente difficili e dolorose, raramente si trasformano in un vero e proprio Asd/Dpts strutturato. Così come il Dpts, l'Asd non colpisce le persone più "deboli" o "fragili": spesso persone apparentemente "fragili" riescono ad attraversare senza conseguenze eventi traumatici abbastanza importanti, mentre persone "solide" si trovano in difficoltà dopo eventi di moderata rilevanza ma che hanno un significato personale o simbolico particolarmente difficile da elaborare.
La sintomatologia di base dell'Asd è simile a quella del Ptsd, ma con alcune importanti differenze. Alla classica "triade sintomatologica" del Dpts (intrusioni; evitamento; hyperarousal) si affiancano infatti sintomi maggiori di numbing (stordimento e confusione) e, soprattutto, sintomatologie di tipo dissociativo, più o meno gravi. Sintomatologie dissociative di particolare durata, pervasività ed intensità clinica in fase peri- o post-critica sono spesso segno prognostico di maggior rischio per l'evoluzione dell'Asd verso un Dpts.
Altra similitudine con il Dpts è il fatto per cui la persona colpita spesso cerca "sollievo" (ma in realtà peggiorando la situazione) con abusi di alcool, droga, farmaci e psicofarmaci. Spesso sono associati forti sensi di colpa per quello che è successo o per come ci si è comportati durante l'evento (o per il non aver potuto evitare il fatto), sensi di colpa che molto spesso sono del tutto esagerati ed incongruenti con il reale svolgimento dei fatti e delle responsabilità oggettive.
(www.marcocannavicci.it)

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