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Novembre/2010 - Articoli e Inchieste
Fanatismo religioso
Israele, la deriva pericolosa del fondamentalismo interno
di Gianni Verdoliva

Accanto all’integralismo islamico si sta facendo
preoccupante anche quello degli ultraortodossi
che minacciano la laicità dello Stato. E se, fuori
dal Paese, fioccano le condanne, all’interno
troppo spesso si cede alle richieste
degli haredim: dalle linee di autobus ad hoc, dove
le donne devono sedersi in fondo, al divieto
sempre per le donne di pregare con la Torah
al muro del Pianto


“Sei un abominio!”. Questo è l’insulto rabbioso che Noa Raz si è sentita rivolgere da un uomo religioso ultraortodosso mentre al mattino presto aspettava il bus alla stazione di Be’er Sheva. L’uomo aveva notato che la ragazza aveva negli avambracci i segni del tallit, una sorta di cintura leggera che gli ebrei osservanti usano nel corso delle preghiere e che si avvolge intorno all’avambraccio provocando, a volte, dei segni visibili. L’abominio, agli occhi del fanatico haredim, è rappresentato dal fatto che una donna si fosse permessa di recitare le preghiere come gli uomini. In un attimo l’uomo ha cominciato a colpirla e a prenderla a calci, prima che Noa, riavutasi dallo shock, reagisse e l’uomo decidesse di allontanarsi. Arrivata a Tel Aviv ed avvertite alcune amiche dell’accaduto, Noa ha riportato la violenza subita sul suo sito (noaraz.net) prima di rivolgersi alla Polizia. In breve la notizia ha attraversato l’oceano e si è sparsa nella diaspora ebraica degli Stati Uniti. Senza però cogliere nessuno di sorpresa. L’aggressione di Noa non è infatti un episodio isolato ma è solo l’ultimo incidente di una serie ormai lunga che vede la componente religiosa degli ultraortodossi avere atteggiamenti sempre più aggressivi ed intimidatori ai danni non solo dei laici o degli ebrei appartenenti ad altre correnti, ma soprattutto nei confronti delle donne.
Sempre di più gli ultraortodossi sembrano copiare, pur se in forma più leggera, la controparte islamica. Stessa ossessione per l’abbigliamento ed il comportamento femminile, per l’adesione incondizionata ai testi sacri, per il voler imporre a tutti incluso lo Stato la propria visione del mondo governata dalla rigida interpretazione dei testi sacri. Come non bastassero lo minacce esterne di Hamas, di Hezbollah e di tutti i movimenti islamici integralisti che premono, anche a livello culturale ed ideologico per un annullamento, attraverso una progressiva delegittimazione, dello Stato ebraico, Israele è anche minacciata dall’interno.

Problema sottovalutato
Una minaccia a lungo sottovalutata, quella degli haredim. Eppure l’integralismo ebraico esiste. E, negli ultimi anni, appare in continua espansione. Gli atti che si possono ricondurre al fondamentalismo ebraico, per quanto presenti in Israele da parecchio tempo, negli ultimi anni sono aumentati di numero e di intensità. Di numero perché le famiglie ultraortodosse, concentrate in massima parte nelle colonie situate nei territori contesi tra Israele e l’autorità palestinese e nella città di Gerusalemme, hanno un tasso di natalità molto elevato. Ben più della media delle famiglie laiche o che seguono altre correnti dell’ebraismo. Se a questo si aggiunge il fatto che anche il tasso di natalità della popolazione araba israeliana, attualmente circa il 20% della popolazione, è anch’esso decisamente elevato, la prospettiva potrebbe, a lungo termine, rivelarsi problematica. Sobillati dai rispettivi leader religiosi, sia gli arabi islamici che gli ebrei ultraortodossi hanno cominciato una sorta di guerra delle culle dalle probabili ramificazioni inquietanti.
Diventare la maggioranza della popolazione o almeno metà della stessa è l’obbiettivo, malcelato, dei gruppi più radicali islamici presenti anche dentro Israele. Questo al fine di cessare l’esistenza dell’ebraicità dello Stato in cui gli arabi si trovano ad essere in minoranza. Sul fronte contrapposto, per gli haredim, è altrettanto indispensabile crescere di numero, in modo da prendere il controllo sociale e magari anche politico. Secondo i media israeliani infatti la popolazione ultraortodossa sta aumentando a Gerusalemme al ritmo di dieci volte di più dei laici. Yehuda Meshi-Zahav, fondatore dell’organizzazione religiosa Zaka ha dichiarato al quotidiano online Yenetnews che “gli haredim stanno prendendo il controllo di Gerusalemme non perché alcuni rabbini lo abbiano pianificato ma perché le coppie ultraortodosse hanno parecchi figli. E’ così e basta. Coloro che vogliono fermarci avrebbero dovuto ucciderci quando eravamo giovani”.
E i giovani sono uno dei punti focali dell’espandersi dell’estremismo ebraico. Contrariamente a quanto si pensi, non è necessariamente vero che i giovani abbiano una visione del mondo più aperta e progressista dei loro genitori o delle generazioni che li hanno preceduti. Specie nel campo delle religioni. Non è così per i cattolici e gli evangelici, né per gli islamici. E gli ebrei non fanno certo eccezione. Tra i più ferventi militanti del movimento sionista religioso che spinge l’attuale governo verso una politica di espansione delle colonie ci sono proprio tanti giovani che, a volte, sono talmente rigidi nei loro atteggiamenti e nella convinzione di operare seguendo dettami divini, che si trovano ad ingaggiare lotte, anche fisiche, contro la Polizia e l’Esercito israeliano. Se tanti e celebrati dal fronte pro-palestinese ed antisionista sono i refusenik, ragazzi e ragazze che rifiutano di servire nelle Forze armate israeliane perché pacifisti, alcuni dei quali finiscono anche in prigione, stessa sorte ma senza gli onori dei media occidentali, tocca ai soldati religiosi che si rifiutano di ubbidire agli ordini collaborando così con i rappresentati dei gruppi di coloni più oltranzisti.

Niente servizio militare
Se l’estremismo ebraico si manifesta all’interno del movimento religioso sionista lo stesso accade sul fronte contrapposto. Tra gli ultraortodossi pochi sono coloro che svolgono servizio militare, obbligatorio in Israele per i ragazzi e le ragazze ebrei, non per via di idee pacifiste ma perché sono esentati. Mentre quindi i giovani israeliani rischiano la vita sventando attentati e controllando le attività ed i movimenti di Hamas ed Hezbollah che, a nord e a sud di Israele, costituiscono una perenne minaccia, gli haredim vivono tranquille giornate scandite dall’osservazione puntigliosa ai limiti dell’isteria dei vari rituali. Fatto che genera un certo malumore tra le famiglie dei soldati.
L’adesione sentita ai principi del sionismo non è la caratteristica peculiare con cui si esprime l’estremismo ebraico. Lo è però la misoginia, l’intolleranza e l’omofobia. Nelle comunità haredim il ruolo delle donne è fortemente limitato all’interno della famiglia ed al ruolo di madre e di moglie. Le donne inoltre, non possono nemmeno ricevere un’istruzione superiore. Questo mette gli haredim in contrapposizione con gli ebrei comunemente conosciuti come ortodossi. E la cui adesione ai principi della Halakà, la legge sacra ebraica, è sicuramente forte ma senza raggiungere i livelli estremi delle comunità non a caso definite ultraortodosse. Inoltre tra gli ebrei ortodossi, anche chiamati ortodossi moderni, c’è, negli ultimi tempi, una corrente che, pur lentamente e tra tante difficoltà, va nel senso del cambiamento. Esistono scuole religiose per le ragazze che, come nel Drisha Institute a New York, studiano i testi sacri come i maschi. Le donne ortodosse assumono posizioni di rilievo in ambito professionale e, in alcuni casi, anche nella vita comunitaria o, pur se in maniera limitata, nelle sinagoghe.

Il fenomeno
L’ampiezza del cambiamento è rappresentata dalla recente presa di posizione della Rabbinical Council of America, massimo organo del mondo ebraico ortodosso statunitense, che ha di recente affermato un secco no alla possibilità che le donne possano diventare rabbino. Il fatto stesso però che l’argomento sia stato preso in considerazione a livello ufficiale e l’affermazione di sostegno a ruoli anche di prestigio, purché non rabbinici, per le donne segna un punto di demarcazione importante rispetto alla controparte ultraortodossa in Israele.
Inoltre esiste un’altra specificità dell’estremismo ebraico. I fenomeni sociali, culturali e politici ad esso connesso sono concentrati quasi esclusivamente dentro Israele. Nella diaspora ebraica mancano i numeri per creare gruppi di pressione su base religiosa ed il costante mescolarsi con una società non ebraica rende pressoché inesistente lo sviluppo di forme di pressione di tipo religioso estremista all’esterno.
Contrariamente ad Israele gli ultraortodossi della diaspora sono in forte minoranza e riservano le loro istanze nei confronti dello Stato per chiedere deroghe alla legge o all’impianto della vita sociale e civile su base religiosa. I problemi legati alla laicità dello Stato ed al multiculturalismo hanno visto anche pressioni da parte di singoli o gruppi ebraici. A Lille, nel nord della Francia, le donne ebree ultraortodosse si sono unite alle islamiche per chiedere e, in un primo momento, ottenere orari separati tra uomini e donne nelle piscine comunali. Nel Quebec alcuni uomini ebrei osservanti hanno chiesto ed ottenuto di non essere giudicati da una donna per sostenere l’esame della patente, di non avere poliziotte donne a gestire la sicurezza della sinagoga o di essere medicati prima al pronto soccorso per poter tornare in tempo a casa per osservare la festa del sabato.

L’omofobia
Fare continue richieste alle Istituzioni motivate dalla religione accomuna la parte più oltranzista della comunità ebraica alla controparte islamica. E lo stesso vale per l’omofobia. Lo svolgimento del Gay Pride di Gerusalemme è costantemente minacciato dagli attacchi dei rappresentanti religiosi sia islamici, che cristiani che ebraici i quali, tutti insieme appassionatamente, si stracciano le vesti a proclamare quanto possa essere abominevole lo svolgimento di una manifestazione, peraltro con toni molto pacati e contenuti rispetto a quelle che si svolgono nelle grandi città occidentali, per i diritti di gay e lesbiche nella città considerata sacra dalle tre religioni monoteiste. E dalle dichiarazioni a volte si passa agli atti. La scorsa estate un estremista ultraortodosso è entrato nel Centro Gay di Tel Aviv mentre era in corso un’attività ricreativa di un gruppo di giovani ed ha aperto il fuoco uccidendo due persone e ferendone una decina. A credito della società israeliana la risposta è stata decisa, partecipata e sentita. A condannare la sparatoria vari rappresentanti politici tra cui Tzipi Livni. Nei giorni seguenti un po’ in tutto il Paese si sono poi svolte fiaccolate e manifestazioni di protesta con il sostegno di un’ampia fascia della popolazione, incredula e sbigottita che un simile atto di violenza avesse potuto verificarsi nella laica, aperta e colorata Tel Aviv.
Eppure l’omofobia esiste in Israele anche nelle forme più estreme come nel caso di un’aggressione con un coltello ai danni di alcuni manifestanti della Gay Pride di Gerusalemme del 2005. Anche in quel caso gli assalitori erano giovani fanatici ultraortodossi. Tali gesti, come è il caso degli estremisti cristiani antiabortisti o degli islamici violenti e misogini, non si spiegano se non all’interno di un contesto culturale in cui le menti di questi giovani sono state indottrinate all’odio verso le persone gay da parte di autorità religiose.
Gli episodi citati hanno fatto il giro del mondo e hanno messo in forte imbarazzo le organizzazioni pro-Israele che lottano sul fronte culturale difendendo l’immagine dello Stato ebraico come pluralista e aperto. La carta gay infatti è spesso giocata sul fronte delle pubbliche relazioni. Ad esempio per incitare i turisti gay a visitare Israele o, comunque, per veicolare un’immagine di nazione gay-friendly. Ad onor del vero non si tratta di mera propaganda. In termini di visibilità e di diritti di gay e lesbiche Israele è l’unica nazione mediorientale dove, pur con una serie di punti oscuri, la vita per le persone omosessuali può essere definita dignitosa. Esistono organizzazioni gay anche influenti, ogni anno in varie città si svolgono le manifestazioni del Gay Pride, gli uomini e le donne gay possono far parte dell’Esercito senza nascondersi e alcuni israeliani famosi, come il cantante Ivri Lider, sono apertamente gay. Un quadro che è anni luce rispetto alla realtà di clandestinità, ostracismo quando non di aperta persecuzione dei Paesi islamici.

Arabi discriminati
C’è poi da aggiungere che, per quanto Israele come nazione non sia affatto uno Stato di apartheid, come i vari gruppi filo-palestinesi continuano a ripetere in un’azione incessante di richiesta di boicottaggio commerciale e culturale, sicuramente esiste la discriminazione razziale ai danni della popolazione araba. Per ovviare a tale situazione diverse organizzazioni, finanziate dal New Israel Fund, lavorano per l’integrazione e l’empowerment della comunità araba, in particolare delle donne arabe. Con anche importanti risultati. Come la manifestazione svoltasi lo scorso 18 marzo a Nazareth, città amministrata da Israele, dove circa 500 arabi, tra cui alcuni membri della Knesset, hanno manifestato contro i crimini d’onore, piaga della comunità araba-israeliana. O come la scomparsa pressoché totale della mutilazione genitale femminile tra le tribù beduine del deserto del Neghev come riportato in uno studio della Ben-Gurion University.
Ma la tematica del razzismo non è una colonna portante dell’estremismo ebraico quanto invece lo è l’ossessione per l’abbigliamento ed il comportamento femminile.
All’inizio di aprile una donna ebrea ultraortodossa è scampata ai colpi di pistola degli agenti israeliani che l’avevano confusa con una terrorista palestinese. La donna era vestita di nero ed aveva anche il volto coperto. Una donna ebrea in burqa. Di recente un’altra donna ultraortossa soprannominata la “madre talebana” è stata arrestata, come riporta il quotidiano Haaretz, con l’accusa di maltrattamenti ai figli. La donna, animata da fervore religioso, rifiutava di comunicare con gli uomini ed andava in giro vestita completamente coperta senza lasciar vedere nessuna parte del corpo, nemmeno le mani, malgrado le elevate temperature. Secondo l’Awarness Center che si occupa di contrastare gli abusi ai minori, la donna, conosciuta con il nome di Karen, era diventata una sorta di guru per altre donne che si recavano da lei chiedendole consigli su come essere perfette in fatto di purezza e modestia.

L’estremismo femminile
In alcuni settori della comunità ebraica ultraortodossa le donne sanno essere nel loro rigore anche più estremiste degli uomini ed hanno talmente interiorizzato il concetto che la purezza dell’intera comunità ebraica dipenda dall’invisibilità delle donne da arrivare a tali comportamenti estremi che hanno un chiaro parallelo con le donne islamiche che scelgono con coscienza di causa di indossare il burqa e di separarsi dal mondo circostante.
L’uso eccessivo dell’abbigliamento per coprire il corpo femminile è stato analizzato brillantemente dalla femminista laica ed ex-musulmana ora atea, Hirsi Ali. Secondo la Ali “non dovremmo dibattere l’abbigliamento in sé ma cosa rappresenta, ed il fatto che la morale sessuale dice che gli uomini non possono trattenersi a livello sessuale. Sono come cani selvaggi e le donne sono dei pezzi di carne tentatrici e se non si vuole produrre il caos nella società, allora le donne dovrebbero stare chiuse a casa o se devono uscire allora devono velarsi. Una donna che si vela spontaneamente sta indossando una bandiera che dice ad ogni uomo che è un potenziale stupratore e che è incapace di trattenersi sessualmente e mi piacerebbe sapere cosa pensano gli uomini di questo, inoltre una donna che si vela sta dicendo alle donne che non si velano che è una puttana”. L’analisi, per quanto pensata per il contesto islamico, ben si adatta comunque alle derive misogine dell’estremismo ebraico. Oltre all’abbigliamento l’altra ossessione degli ebrei ultraortodossi è rappresentata dalla presenza delle donne nello spazio pubblico. Una presenza che vorrebbero limitata e, soprattutto, ben inquadrata in ambiti il più possibile separati dagli uomini.
Come nei bus ad esempio. Naomi Regan, scrittrice ed autrice di teatro israeliana, è stata protagonista nel 2004 di un episodio che più facilmente si sarebbe immaginato in Iran. Uscita a fare una passeggiata e salita su un bus è stata minacciata ed aggredita perché si era rifiutata di sedersi in fondo alla vettura nella sezione che i fanatici ultraortodossi avevano riservato alle donne. L’episodio, rimbalzato sui media internazionali, è stato l’inizio di una causa giudiziaria tesa a preservare la laicità dello spazio pubblico ed a proteggerla dalle influenze degli estremisti ebrei. La linea di bus in cui la sfortunata Regan era a sua insaputa salita era “meahdrin” una sorta di linea specifica per la comunità ultraortodossa. Ed anche in questo caso il fenomeno sta aumentando di ampiezza. Le linee di bus in qualche modo riservate agli ultraortodossi sono in aumento. E le aggressioni ai danni di donne “disobbedienti” pure.
Due anni dopo l’aggressione alla Regan è stata la volta di Miriam Shear, aggredita in un bus che, peraltro, non era riservato agli ultraortodossi. Anche lei si era rifiutata di sedersi in fondo alla vettura. L’attaccamento e la difesa di Israele non vanno però a discapito della coerenza in merito alla difesa dell’uguaglianza tra uomini e donne, unita alla preoccupazione per le future possibile derive in senso teocratico che tali pratiche potrebbero generare. “Oggi è solo un posto a sedere sul bus. Ma non si sa cosa potrebbe accadere domani. Odio la cattiva pubblicità rivolta ad Israele. Ma odio ancora di più l’idea che il positivo spirito ebraico che ho speso la mia vita a coltivare ed a trasmettere, lo Stato ebraico che amo, e che ho speso la mia vita a difendere e a costruire, sia cambiato, progressivamente, fino a diventare non riconoscibile”. La questione appare al momento ancora irrisolta ed il Ministero dei trasporti, stando alla stampa israeliana, vorrebbe mantenere delle linee “volontarie” ad hoc per la comunità ultraortodossa, ad ennesima dimostrazione del peso politico della stessa. Di contrasto, diversi gruppi laici e per i diritti delle donne stanno inscenando manifestazioni pubbliche di protesta in cui chiedono, provocatoriamente ed ironicamente, alle persone di camminare separatamente con uomini da un lato e donne dall’altro. Con le donne ovviamente vestite in maniera modesta secondo i canoni degli ultraortodossi come è indicato, con sempre maggiore frequenza, su manifesti affissi nelle strade, che ricordano alle donne quale dovrebbe essere il loro abbigliamento. E per quelle che non volessero sentire ragioni c’è sempre la Brigata del Pudore, gruppo radicale ultraortodosso che opera nel quartiere di Méa Shéarim, che si sta facendo conoscere per ricordare alle donne, in modo sempre più minaccioso, quale è il loro posto e come devono essere vestite.

Stato debole
Con questo tipo di reazioni non bisogna stupirsi se il desiderio delle donne ebree religiose di poter pregare al muro del pianto ha suscitato una risposta rabbiosa da parte degli ultraortodossi e, congiuntamente, un atteggiamento debole da parte delle autorità israeliane.
“Penso si sia trattato di un incontro a carattere intimidatorio”. Anat Hoffman non ha dubbi. L’incontro con la Polizia israeliana all’inizio di gennaio con tanto di impronte digitali è stato un modo per minacciarla. La Hoffman è stata convocata e redarguita per il suo doppio ruolo politico. Direttrice dell’Israel Religious Action Center, braccio israeliano del movimento reform, e leader del gruppo Women of the Wall, Anat ha subito in prima persona un attacco, in via indiretta, da parte degli integralisti ebrei ultraortodossi. Il suo gruppo, Women of the Wall, ormai da oltre 20 anni conduce una strenua battaglia per permettere alle donne di pregare ad alta voce, indossando il tallit e leggendo dalla Thorà nella sezione femminile del Muro del pianto, il luogo più sacro dell’ebraismo. Abominio assoluto per gli ultraortodossi, che hanno sempre fatto la guerra alle donne con ogni mezzo. Lecito e non. Il gruppo, le cui componenti si riconoscono in tutte le correnti dell’ebraismo, inclusa quella ortodossa, ha dovuto intraprendere una lunga ed estenuante battaglia legale arrivata fino alla Corte Suprema ed il cui esito negativo le ha viste relegate al Robinson Arch, un sito archeologico che non ha alcuna valenza sacra. La stessa Corte Suprema che, in passato, aveva garantito i diritti della popolazione araba, non li ha invece garantiti alle donne ebree religiose. Alcune, coraggiosamente e quasi in sordina, ogni tanto si trovano la mattina presto quando il muro è poco frequentato e riescono a leggere dalla Thorà. Accortezze che non sono servite a Nofrat Frenkel che, lo scorso novembre, è stata arrestata perché colpevole di indossare il tallit senza nasconderlo sotto l’impermeabile e di portare con sé la Thorà. La Frenkel, studentessa di medicina, ha rischiato di non poter esercitare la professione medica nello stato ebraico. Il ruolo attivo delle Forze di polizia contro Women of the Wall mostra a che punto sia sbilanciato lo stato ebraico a favore dei religiosi ultraortodossi.
Phyllis Chesler, femminista americana e co-autrice insieme a Rivka Haut di Women of the Wall, claiming sacred ground on Judiasm Holy site ricorda nel suo blog Chesler Chronicles che la Polizia israeliana è intervenuta a infastidire le donne. Ma mai a proteggerle. Neanche quando gli ultraortodossi, sia uomini che donne, hanno lanciato loro escrementi, sedie o sassi , le hanno spintonate, minacciate, aggredite, o insultate. Comportamenti dettati da una matrice di pensiero misogina come mostra il ragazzo che nel documentario Praying in Her Own Voice, che ripercorre la storia del gruppo, paragona le donne alle scimmie. Per la Chesler, gli atti del governo israeliano nei confronti delle donne religiose sono una vergogna.
Anche molti altri considerano la macchia di inchiostro sull’indice della Hoffman come una macchia sullo Stato ebraico. La notizia ha provocato, in seno alla diaspora ebraica statunitense, reazioni molto accese. “Il muro è diventato un luogo sgradevole. È un posto dove regna l’estremismo” ha commentato Eric Yoffie, presidente della Union for Reform Judaism alla rivista ebraica Forward aggiungendo che il movimento reform sta seriamente valutando azioni di protesta nei confronti del governo israeliano. A cominciare dall’appello fatto ai propri fedeli, congiuntamente ai leader del movimento conservative, a scrivere protestando agli ambasciatori israeliani. E denunciare il controllo assoluto dei fanatici haredim che non riconoscono gli altri ebrei e vogliono le donne al Muro invisibili e mute. Incluse le soldatesse a cui è proibito di cantare l’inno nazionale.
Nubi all’orizzonte quindi tra gli ebrei di Israele e quelli statunitensi che sempre di più mal sopportano le derive estremiste degli ultraortodossi e la connivenza dello stato di Israele nei loro confronti.

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