La scelta delle centrali è sostenuta da figure
che si distinguono per il loro prestigio
scientifico, come Margherita Hack
e Umberto Veronesi, e da un ambientalista
come Chicco Testa. E uno degli argomenti
dei “sì” è proprio quello della riduzione
delle emissioni nocive
“La sicurezza? Gli standard ormai sono elevati. Con il paradosso che i Paesi confinanti con l’Italia, Francia, Svizzera, Slovenia, investono sul nucleare. Se, per assurdo, in questi territori si verificasse una catastrofe pagheremmo le conseguenze senza averne benefici”: a riprova che gli argomenti non sono tutti dalla parte degli antinucleari, a parlare così – in un’intervista a Il Sole 24 ore -è Margherita Hack, astrofisica di fama mondiale, una scienziata che politicamente ha sempre manifestato la sua posizione di sinistra, anche candidandosi alle ultime regionali. Ma sul nucleare ha firmato un appello a favore delle centrali: “Perché su questi temi in giro c’è troppa ignoranza. Non si può discutere di nucleare sulla base di preconcetti che non hanno fondamento scientifico”. E anche sulla ricerca di soluzione per il deposito delle scorie si dice lucidamente ottimista: “Ecco, questo può essere un problema serio su cui discutere, ma senza barriere ideologiche. Si possono trovare soluzioni interrando le scorie in luoghi assolutamente sicuri. Ma al nucleare non si può rinunciare: le energie rinnovabili non bastano a salvarci dalla dipendenza dalle fonti tradizionali”.
E a Margherita Hack si è aggiunto Umberto Veronesi, il grande luminare dell’oncologia, ex ministro del governo Prodi, senatore del Partito democratico, che ha accettato la presidenza dell’Agenzia per la Sicurezza Nucleare (“Potrei svolgere un lavoro come esperto in protezione ambientale”), raccogliendo “grande condivisione” da parte dei ministri dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, e dello Sviluppo Economico, Paolo Romani. “Il nucleare come soggetto di energia – ha detto Veronesi, intervenendo alla trasmissione radiofonica Mattino 5 – richiederà quattro anni per la primissima attività. I nuovi reattori sono i più potenti e i più sicuri, non c’è più dubbio su questo. Il referendum antinucleare in Italia si svolse dopo Chernobyl, ma lì ci fu la follia di un direttore che per fare un esperimento tolse dodici livelli di sicurezza. Una follia che non si ripeterà mai più. Dopo tanti anni non c’è più nessun rischio”.
Altra figura emblematica del fronte del sì alle centrali è Chicco Testa, dal 1980 al 1987 segretario nazionale e presidente di Legambiente, deputato del Pci e del Pds fino al 1994, già fermamente contrario al nucleare, tanto da autoaccusarsi di essere stato uno dei responsabili del ritardo italiano in questo campo. Oggi Chicco Testa, docente in varie università, è presidente del Forum Nucleare italiano, un’associazione no-profit fondata da gruppi industriali, Università e organizzazioni sindacali, con il fine dichiarato di “essere uno strumento di promozione del dibattito, di diffusione, di informazione, di dialogo e collaborazione trasversale al mondo delle imprese, della cultura accademica, scientifica, delle forze sociali, dei cittadini”. Il Forum è affiancato da un Comitato scientifico multidisciplinare che dovrà reperire e valutare gli elementi degli incontri, dei dibattiti e delle campagne informative.
“Il nucleare fa bene al clima”; è uno degli argomenti chiave dei sostenitori delle centrali. E non sembra essere un’affermazione azzardata. In effetti le emissioni di CO2 di una centrale nucleare sono molto ridotte, fino a un decimo, rispetto a quelle di una tradizionale (carbone, metano, gas). E viene ricordato che la “green economy” ecologica di Barack Obama contempla proprio uno sviluppo del nucleare.
E naturalmente il punto chiave è quello dell’energia. Il nostro Paese ha fame di energia, e deve acquistarla all’estero. Importiamo petrolio e gas dai Paesi produttori. Ed elettricità da chi si è dotato di centrali nucleari, come la Francia. Uno dei risultati è che in Italia l’energia elettrica è più cara del 60% rispetto alla media Ue. E comunque la dipendenza energetica crea una serie di scompensi nell’economia nazionale.
Di qui il ripensamento – dopo lo stop referendario -, e l’avvio del nuovo corso con l’accordo Berlusconi-Sarkozy del febbraio 2009 su una collaborazione nella costruzione in Italia di almeno quattro centrali (costo complessivo 16-18 miliardi di euro) basate sul modello francese Epr (European pressurized reactor), attraverso una joint venture Enel-Edf (Electricité de France). Da allora, come quasi sempre accade, i tempi si sono allungati, e ai problemi tecnici si sono affiancati, altrettanto ardui, quelli burocratici e politici. Si calcola che la prima centrale Epr da 1.600 MW non sarà funzionante prima del 2020. E intanto si è fatto avanti il gruppo italo-americano Ansaldo-Westinghouse che propone la costruzione di centrali di modello Westinghouse AP1000. Si è quindi ovviamente aperta una competizione che, a quanto sembra, sarebbe risolta accettando entrambi i modelli nel quadro di una diversificazione tecnologica che aumenterebbe il grado di efficienza e di sicurezza.
Una parziale confusione, o inversione, dei ruoli sembra essersi verificato a proposito della Sogin, la società pubblica nata nel 1999 per gestire i materiali radioattivi e pianificare lo smantellamento delle centrali nucleari esistenti in Italia. Nel 2009, con il cambiamento di rotta da parte del governo, era stato deciso il commissariamento della società e la sua ristrutturazione, il che però non era stato realizzato. La Sogin si è quindi trovata ad assumere un ruolo di primo piano, essendole stato affidato l’incarico di realizzare, in accordo con l’Agenzia per la Sicurezza Nucleare, il Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi, definendone anche la localizzazione.
E per quanto riguarda la scelta dei siti – sia per le centrali che per i depositi di scorie – il discorso ovviamente si complica. In gennaio la Conferenza Stato-Regioni si era conclusa con un rifiuto da parte dei governatori della legge sul nucleare, e anche se il parere delle Regioni non è vincolante sembra difficile scavalcarlo senza tenerne alcun conto. Specie proprio quando si avanza l’opzione federalista.
Certo, i pareri mutano in parallelo con i cambiamenti politici e, soprattutto economici. E in ogni modo, al di là dei pareri pro o contro, la scelta dei siti deve rispondere a precise esigenze: una centrale deve avere una rilevante e sicura disponibilità di acqua, quindi occorre collocarla in prossimità di un fiume, o sulla costa, e nello stesso tempo si deve tenere conto dei fattori geologici, meteorologici, e anche demografici.
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