Osservando il palinsesto delle principali reti televisive italiane ed internazionali, notiamo una programmazione piuttosto ampia di film e soprattutto telefilm, basati prevalentemente sull’analisi di cruenti fatti di sangue tramite l’indagine poliziesca di tipo scientifico, e trasmissioni di inchiesta giornalistica che approfondiscono drammatici eventi quasi quotidianamente riportati dalle cronache.
La strenua ricerca di indizi sulle crime scenes, lo studio attento del modus operandi di spietati serial killer e criminali di ogni genere, la necessità per gli investigatori di reperire prove inoppugnabili suffragate dai riscontri di modernissime apparecchiature scientifiche, sembrano stimolare l’interesse di una sempre più ampia porzione di pubblico, non solo per il bisogno di essere informati.
Come spiegare l’attenzione che le persone rivolgono a queste tematiche? Possiamo considerarla solo come l’ennesima tendenza del momento? O questo interesse è naturalmente insito nella ragione umana ?
Pensiamo ad esempio all’innato desiderio di conoscenza dell’uomo, che è per istinto un ricercatore, un indagatore! La curiosità è la molla che spinge ad appagare il naturale desiderio di sapere, e le crime fiction, ad esempio, sembrano fornire alcune risposte, seppur provenienti dal mondo del verosimile, all’atavica necessità di curiosare nei meandri della mente umana.
La passione per la detection non è solo dei nostri tempi. Prima ancora della nascita del cinema, il romanzo giallo è stato specchio della realtà. Allora come oggi, nell’immaginario collettivo, il criminale col suo mondo ed i suoi atti, affascina e coinvolge, anche perché l’ “essere contro” è avvertito come naturalmente espressivo e assolutamente realistico.
Joel Black, professore di Letteratura dell’Università della Georgia ha addirittura condotto degli studi sull’ estetizzazione della violenza, concludendo che: “se, tra tutte le azioni umane possibili, ce n’è una che evoca l'esperienza estetica del sublime, di certo si tratta dell’omocidio”.
Nella finzione, fintanto che avevano a che fare con i detective di eccellenza ( Sherlock Holmes, Poirot, Dupin) i delinquenti non avevano scampo, poi con l’avvento della ragion debole, (metà del XX sec.), anche le “macchine pensanti” hanno cominciato a vacillare e ad evidenziare i loro limiti.
Ma la curiosità per il genere poliziesco ed episodi di cronaca nera, non è nel tempo diminuita, questo a riprova di come letteratura, moda e società, siano espressioni di una stessa dinamicità. In particolare sono i detective che continuano a piacere anche con le loro debolezze tipicamente umane. Il pubblico li ammira, vorrebbe essere li con loro a cimentarsi in un’attività così affascinante, per la sua varietà ed unicità.
Affascina la loro determinazione, la loro lucidità nel guardare in faccia al male per quello che è, nell’andare fino in fondo all’abisso. Nelle metropoli sempre più corrotte moralmente, in cui domina l’anomia sociale, i crimini divengono essi stessi oggetto di comunicazione, capaci di vincere quell’ indifferenza che il pubblico sembra nutrire verso tematiche non immediatamente comprensibili, quali la politica , l’economia etc..
Non solo telefilm e cinema. Alcuni programmi televisivi ad esempio, studiando dei casi reali tristemente noti all’ opinione pubblica, permettono agli spettatori di entrare a conoscenza di parte del lavoro dei veri investigatori e delle loro moderne tecniche investigative. Si pensi al programma mandato in onda in otto puntate su Rai Tre nel 2006 dal titolo U.A.C.V., in cui le telecamere seguirono per diverse settimane il lavoro di una squadra di esperti della Scientifica diretta dal Primo Dirigente dott. Carlo Bui, o alla più recente Real C.S.I., trasmessa su Italia Uno.
Diversi anche i dibattiti in seconda serata, con autorevoli ospiti, spesso con vere e proprie ricostruzioni ( discutibili a dire il vero) delle scene del crimine, con lo scopo dichiarato dell’ informazione ed il vero target dell’ audience.
Nella realtà come nella fiction (che non significa finzione, ma realtà verosimile e pertanto possibile) di fronte al delitto il pubblico si emoziona, ammutolisce e s’indigna per il particolare raccapricciante e astruso. L’avvenimento mette in atto una differenza che meglio sottolinea la quotidiana, logica sicurezza del reale. Ad una condizione: che il messaggio proveniente dalla finzione possa essere decodificato.
Appagare quindi non solo la curiosità, ma la necessità di sicurezza nella vita vera, attraverso l’ effetto catartico della rappresentazione della violenza, della criminalità più bieca, spiegate mediante l’ausilio dei più moderni ritrovati tecnologici, attraverso la scienza quindi, comuque al servizio della sagacia e dell’intuito dell’investigatore.
Scrive Aristotele nella Poetica: “la tragedia è l’imitazione di un’azione seria, la quale mediante una serie di casi che suscitano pietà e terrore, ha per effetto di sollevare e purificare l’animo da siffatte passioni ". In parole povere le azioni rappresentate nella tragedia di allora, come nelle crime fiction odierne, non sono altro che la messa in scena del più laido agire umano; la loro visione fa sì che lo spettatore si immedesimi negli impulsi che provocano l’azione dell’eroe tragico (o dell’assassino della fiction ) generando una condanna della malvagità (che nella tragedia greca era scaturente dalla ὕβρις ovvero la tracotanza, l'agire contro le leggi divine, oggi potremmo più generalmente dire l’agire contro le leggi del diritto naturale).
Lo spettatore, osservando il dramma, s’interroga sul senso della vita, della morte, sulla presenza del male, della colpa, del dolore, sul destino. Quei sentimenti quali l’amore, l’odio, la vendetta, la pietà che dominavano negli eroi tragici, una volta proiettati sulla scena, venivano razionalizzati e come espulsi, liberati, dagli strati più profondi della coscienza.
Questo in parte può spiegare anche oggi cio’ che avviene nella visione della violenza sotto la forma della spettacolarizzazione nei film, o nella ricostruzione analitica di veri casi di cronaca nera. Il cronista Enrico Gregori, parla di “esorcismo”: in un intervista pubblicata su Fragmenta /Blogosfere. It, da Fausta Maria Rigo, afferma che “vedere, scandagliare, capire la morte altrui è una specie di barriera che tiene la morte lontana da noi”.
Nondimeno, bisogna riconoscere la presenza di un interesse morboso rispetto alla figura dell’omicida seriale e dei suoi crimini da parte dei mass media e dell’opinione pubblica. In particolare i mass media, sembrano in grado quasi di indirizzare anche le reazioni e i comportamenti successivi ai fatti stessi.
A tal proposito emblematiche ci appaiono queste parole di Annalena Benini, in un articolo per "Il Foglio: “una madre cerca la propria figlia, ha bisogno della televisione, un assassino deve deviare i sospetti (oppure gridare: aiuto, sono stato io, lo vedete che non sono sincero, guardate che non ho lacrime, venitemi a prendere), quindi va in televisione. Non c'è nient'altro che abbia la stessa forza. E non c'è nessuno che, davanti alla morte partecipativa, riesca a distogliere lo sguardo (…)”.
Secondo gli esperti nelle fasce di età particolarmente a rischio, o nelle menti di personalità fragili, esiste il concreto pericolo di identificarsi con modelli negativi sui quali proiettare la propria rabbia, frustrazione e ribellione.
E lo spiega bene il sociologo statunitense David Philliphs quando parla del cosiddetto “ effetto Werther”. Il Libro di Goethe i dolori del giovane Werther, nel quale il protagonista, Werther appunto, muore suicida in seguito ad una delusione amorosa, dopo aver riscosso un grande successo, ispirò un’ incredibile serie di suicidi in tutta Europa. Questo, secondo Philliphs, vale in termini generali anche per i delitti.
I giornalisti, i cronisti e gli sceneggiatori di fiction, hanno una grande responsabilità e il mondo dell’informazione deve essere consapevole del fatto di poter influenzare le menti più deboli.
Nella fiction contemporanea, propinata in tv, nei romanzi o al cinema, anche dalle tracce più insignificanti, grazie alle tecnologie più sofisticate, si può risalire all’autore del reato. Si ricostruiscono i retroscena, si spiegano i moventi, a ritroso, partendo da un bandolo della matassa complicata da mille nodi, ma comunque sempre si riesce a risolvere il caso, assicurare il colpevole alla giustizia, ristabilire il confine tra il bene e il male.
La realtà, si sa, è cosa ben diversa e non fa sconti.
Curiosità, spirito di avventura, voglia di spettacolarizzazione, necessità di indagare l’animo umano liberandosi dalle passioni negative e un pizzico di morbosità più o meno consapevole sono i motivi che spingono il pubblico verso il mondo delle crime fiction e della cronaca nera.
Questi nuovi “generi di intrattenimento” risultano vincenti. Vincenti perché sapientemente manovrati da una regia mangiasoldi, per fare soprattutto audience.
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