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Ottobre/2010 - Pubblicazioni
Quando la verità storica non è quella giudiziaria
di Aldo Ligabò

Nel libro-intervista al giudice Rosario Priore
emergono scenari inquietanti. Sovente
la richiesta di giustizia si scontra
con la ragione di Stato. Emblematico il caso
della strage di Ustica che sarebbe stata
causata da una vera e propria
azione di guerra

E’ un’intervista, una lunga intervista del giornalista Giovanni Fasanella all’ex giudice istruttore romano Rosario Priore il libro “Intrigo Internazionale”, edito da ChiareLettere. E’ un libro esplosivo che lascia intravedere la verità sui molti misteri d’Italia che hanno segnato la storia repubblicana del nostro Paese.
Il cardine di questa intervista fiume a Priore è la differenza tra verità storica e verità giudiziaria. La Procura romana, che durante gli anni di piombo ha indagato sulla strage di Ustica, sul caso Moro, sul tentato omicidio di Giovanni Paolo II, sulla strage di Bologna nonché sui casi di eversione sia rossa sia nera, è riuscita ad arrivare ad un passo dalla verità ma, purtroppo, non è riuscita a certificarla con una sentenza per vari ostacoli: depistaggi, eliminazione di testimoni, sottrazione di documenti, reticenze ad alti livelli sia nell’ambito politico sia in quello dei servizi segreti. E’ successo perché la richiesta di giustizia e verità è entrata spesso in conflitto con la ragione di Stato. Nella premessa Rosario Priore afferma: “Ci sono verità che non ho mai potuto dire. Perché, pur intuendole e a volte intravedendole o addirittura vedendole chiaramente, non potevano essere provate sul piano giudiziario. Erano verità ‘indicibili’, secondo il neologismo coniato dal mio amico Giovanni Pellegrino e, scritte in una sentenza, avrebbero potuto produrre effetti destabilizzanti sugli equilibri interni ed internazionali”.
Nel dopoguerra l’Italia è stata in guerra nello scacchiere del Mediterraneo contro la Francia e la Gran Bretagna, Paesi appartenenti alla Nato, per la sua politica filoaraba sia di Moro sia di Mattei, entrambi assassinati. L’Italia dava fastidio agli interessi francesi ed inglesi perché l’Eni garantiva corrispettivi più favorevoli ai Paesi nordafricani come l’Algeria e la Libia nella misura del cinquanta per cento contro il trenta delle altre compagnie occidentali. E’ stato il nostro Paese ad organizzare in un albergo di Abano Terme, con la regia dei servizi segreti militari, il colpo di stato di Gheddafi in Libia. Il golpe è stato un duro colpo al cuore verso i britannici, che detenevano una forte influenza sull’ex colonia italiana. L’Italia, appoggiando Gheddafi, riuscì ad assicurarsi il controllo sul petrolio libico. La reazione degli inglesi al golpe in Libia, secondo Priore, non si fece attendere. Un’ipotesi non suffragata da prove è che la strage di piazza Fontana nel dicembre 1969 a Milano sia ascrivibile agli inglesi. Gli indizi sono tre: il lasso temporale tra il colpo di stato e l’attentato, tre mesi; il legame degli ambienti neofascisti italiani, accusati della strage milanese, con il comandante della X Mas Borghese, ritenuto vicino ai servizi britannici ed, inoltre, la coincidenza che l’espressione “strategia della tensione” fosse stata coniata dalla stampa di sua maestà nel dicembre 1969.
La ricostruzione della strage di Ustica è il capitolo più importante di questo libro, una ricostruzione che merita di essere approfondita nei dettagli. La sera del 27 giugno 1980 un Dc-9 dell’Itavia in volo da Bologna a Palermo, con ottantuno passeggeri a bordo, esplode sul Tirreno all’altezza di Ustica. Furono avanzate quattro ipotesi: cedimento strutturale, che fu quasi subito escluso, un missile, una quasi collisione con un altro aereo o una bomba. A tutt’oggi le due ipotesi più attendibili sono il missile e la bomba. Priore propende per la prima anche se, con onestà intellettuale, ammette che alcuni periti non escludono l’eventualità di un ordigno collocato nel vano della toilette dell’aereo. Priore è convinto che l’esplosione dell’aeromobile sia stata provocata “dall’esterno”. Secondo L’Aeronautica Militare, quella sera in quello spazio aereo il Dc-9 era solo, mentre analizzando i tracciati radar possiamo, anche grazie alla consulenza di due esperti statunitensi, affermare che il Dc-9 dell’Itavia era seguito da altri aerei, molto probabilmente militari, che volavano nella sua scia nel tentativo di nascondersi ai radar. Pertanto è plausibile ipotizzare uno scenario vero e proprio di guerra aerea.
Gli inquirenti si sono convinti che il Dc-9 sia stato abbattuto, per errore, da un missile sparato sicuramente da un aereo militare con questa dinamica: un caccia che volava parallelamente al Dc-9, non appena lo raggiunse, virò di novanta gradi da sud a est e si dispose in posizione d’attacco, “controsole”, per non essere visto dai piloti dell’aereo civile prima di lanciare il missile. I tracciati radar dicono che l’aereo dell’Itavia, dopo essere decollato dall’aeroporto Marconi di Bologna, oltrepassati gli Appennini, prese la rotta del Tirreno per raggiungere Palermo. In prossimità della Toscana comparvero da ovest e da est due caccia militari che scomparvero quasi subito. Subito dopo apparve sul Radar un Aereo Awacs Usa partito quasi sicuramente dalla base di Ramstein in Germania Federale. I due caccia militari apparsi da est e da ovest e subito scomparsi dal radar, secondo Priore, si erano nascosti o nella scia del Dc-9 o volando sotto la sua fusoliera. Secondo i centri radar di Ciampino, Poggio Ballone e Marsala, ci sono tracce di rotte parallele rispetto a quella del Dc-9: aerei militari che seguono e poi superano l’aeromobile. Uno dei due con la manovra prima accennata, assunta una posizione d’attacco, lanciò il missile distruggendo il Dc-9. Il radar registrò una nuvola, causata dall’esplosione, ed emersero le tracce di due aerei, il primo che fuggiva verso est ed il secondo che continuava la sua rotta verso sud. Si trattava dell’aereo sfuggito al missile. Questa ricostruzione, inizialmente contestata dalla nostra Aereonautica, è stata suffragata dall’esame dei tracciati radar effettuati dalla Federal Aviation Agency, che ha sentenziato che il Dc-9 era in volo da nord a sud. All’improvviso apparve da ovest un oggetto non identificato in avvicinamento. Poco dopo, senza che avvenisse alcuna collisione, il Dc-9 esplose, mentre il presunto aereo proseguì il suo volo verso est oltrepassando la nuvola di detriti.
Un’altra testimonianza di vitale importanza fu quella di John Transue, un uomo del Pentagono, con una vasta esperienza pluriennale in campo missilistico. Transue affermò che l’oggetto non identificato, che affiancava il Dc-9 alla sua destra, cioè ad ovest, era senza dubbio un caccia militare. Ma la rivelazione più importante fu che quel caccia era stato guidato da un radar basato a terra, probabilmente in Corsica o in mare su una portaerei.
Ricapitolando: il Dc-9 decolla, appaiono due caccia non identificati, che scompaiono quasi subito, poi c’è l’Awacs, quindi due caccia che puntano il Dc-9 ed infine i due caccia italiani pilotati da Naldini e Nutarelli, aggregati allo stormo di Grosseto, che vedono qualcosa di molto grave. Naldini e Nutarelli avvisano la base del pericolo “squoccando” elettronicamente il codice di emergenza. Prima di atterrare effettuano una manovra a triangolo, per segnalare ulteriormente il pericolo. Nei giorni seguenti i piloti italiani affermarono che “era successo qualcosa di terribile, che c’era stato un vero e proprio combattimento aereo e che si era sfiorata addirittura una guerra”. Purtroppo i due piloti dello stormo di Grosseto non ebbero il tempo di testimoniare, morirono nel tragico incidente delle Frecce Tricolori a Ramstein.
Coincidenze? Ma qual era il vero obiettivo di quell’azione di guerra? L’obiettivo degli attaccanti non poteva che essere libico, molto probabilmente lo stesso Gheddafi. L’attacco militare nei cieli di Ustica era sicuramente mirato contro un aereo che si sapeva sarebbe passato di là. Quell’aereo avrebbe sfruttato i buchi, cioè passaggi e aree non battuti dai radar del sistema Nadge della Nato. I libici conoscevano quei passaggi grazie alle soffiate dei nostri servizi. L’ipotesi più accreditata è che i caccia, che volavano nascosti dal Dc-9, dovevano prendere in consegna Gheddafi nel Tirreno per scortarlo verso l’Europa orientale. Ma l’attentato fallì perche il dittatore libico, avvertito molto verosimilmente dal nostro Sismi, cambiò rotta verso Malta.
Ma chi voleva uccidere Gheddafi? Secondo il presidente Cossiga i francesi, gli unici oltre agli Usa che potevano condurre una operazione militare del genere. I transalpini avevano nella portaerei Clemenceau e nella base aerea di Solenzara in Corsica la guida caccia necessaria per guidare i caccia provenienti da ovest verso l’obiettivo in ogni condizione. Priore esclude che l’amministrazione Carter sia stata coinvolta per due ragioni: la prima è che in quel periodo riforniva la Libia di armi e poi perché collaborò molto attivamente all’inchiesta, istituendo l’“Ustica Desk”, per agevolare il lavoro degli inquirenti.
Priore, ovviamente, durante l’inchiesta chiese informazioni alle Istituzioni francesi che si arroccarono in una totale chiusura, opponendo il segreto di Stato. Ma la verità storica si può intravedere: l’Ente che sovraintende la struttura radar della Nato ha confermato in quelle ore la presenza di una portaerei nel Tirreno tra la Corsica e la Sardegna, un notevole traffico aereo che “nasceva dal mare e perdeva quota in mare”. Un traffico che non poteva non provenire che da una portaerei: la Clemenceau appunto.
Un altro importante indizio è dato dalle dichiarazioni dell’ammiraglio americano James Flatley, comandante della portaerei Saratoga, alla fonda nel golfo di Napoli. Secondo il radar della portaerei statunitense vi era un notevole traffico aereo a sud di Napoli. L’ultimo indizio che pende verso la responsabilità dei francesi è stata la testimonianza del generale dei Carabinieri Nicolò Bozzo, in vacanza in Corsica, vicino la base di Solenzara. Bozzo dichiarò la notevole attività aerea. La base, quindi, era pienamente operativa e poteva tranquillamente guidare i caccia verso l’operazione Ustica. I francesi hanno mentito due volte: in primo luogo sulla non operatività della base di Solenzara a quell’ora, operatività confermata dal generale Bozzo. In secondo luogo sulla presenza, in quelle ore, della loro portaerei nel porto di Tolone, portaerei presente nel Tirreno secondo l’ente che dirige la struttura radar della Nato.
Qui è morta l’inchiesta Ustica. Secondo il giudice istruttore Rosario Priore, quando un Paese estero fornisce dichiarazioni ufficiali false di questo tenore esistono due opzioni: o se ne prende atto e quindi si esclude la sua responsabilità oppure se si ritiene che non siano veritiere bisogna fermarsi. “Una magistratura nazionale non ha certo il potere di procedere all’interno di un altro Stato: cozzerebbe contro i principi del diritto internazionale”.
Ma perché la Francia voleva eliminare Gheddafi? Primo perché la sua politica destabilizzava e ledeva gli interessi francesi in Africa e nel Mediterraneo, in secondo luogo perché, attaccando Gheddafi, si colpiva l’Italia per i suoi rapporti con la Libia. Gheddafi si prefiggeva di egemonizzare il continente africano e questo urtava contro gli interessi delle potenze europee. Ma il conflitto più duro tra Francia e Libia, in quel periodo, era rappresentato dal Ciad con i suoi ricchi giacimenti di Uranio. A seguito dell’invasione libica, che aveva occupato la striscia a Aouzou, la Francia rispose con l’invio di cospicue forze militari. La Libia aveva bisogno dell’Italia per la sua aviazione. Il nostro Paese, con società di copertura del Sismi, fornì istruttori, specialisti e perfino piloti militari, che presero parte a titolo privato ad operazioni di guerra contro la Francia.
L’Italia faceva tutto questo per il petrolio e per l’uranio. Era un vero e proprio conflitto segreto tra due Paesi, Italia e Francia alleati e aderenti alla Nato.
Gheddafi era pericoloso, fomentava la rivolta antifrancese in Tunisia, minacciava di invadere l’Egitto, forniva appoggio ad organizzazioni terroristiche di mezzo mondo. Di conseguenza minacciava interessi di molti Paesi, tra cui, appunto, la Francia. Di qui la decisione di farlo fuori e di dare un avvertimento al nostro Paese.
Ma perché l’operazione fu tentata solo nel giugno di trent’anni or sono? Perchè in quel momento Gheddafi era particolarmente debole a livello politico, si era guadagnato l’ostilità di Egitto e Tunisia. L’Urss aveva invaso l’Afganistan, distraendosi sul fronte africano, il presidente Usa Carter era in difficoltà a causa del fallimento del blitz per la liberazione degli ostaggi nell’ambasciata Usa a Teheran. Per queste ragioni ci si sentiva autorizzati a procedere contro il colonnello di Tripoli.

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