Parla lo storico Giuliano Muzzioli, professore ordinario di Storia economica presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia.
Perchè celebrare e ricordare il Risorgimento oggi?
Perché è una grande occasione per studiarlo e comprenderlo, più che celebrarlo; e dobbiamo analizzarlo per capire gli errori compiuti allora, e attivarci per correggerli. E pure per capire i numerosi errori commessi in seguito, ed aggiustarli. Ma soprattutto dobbiamo evitare - come troppi fanno - di buttare anche il bambino con l’acqua sporca.
Nonostante i 150 anni, il nostro Paese di fatto è ancora diviso, economicamente e culturalmente: cosa impedisce all'Unità d'Italia di diventare "senso comune"? Di far sì che si radichino e diffondano valori condivisi?
Per la fragilità delle formazioni governative succedutesi dall’Unità in poi. Al punto tale che, nel 1922, per governare gli italiani si ricorre - primi in Europa - ad una dittatura, la dittatura fascista.
È irrisolto il rapporto governati-governanti: troppo spesso si è basato sul ricorso alla forza e non alla costruzione di un consenso alimentato dalla risoluzione dei problemi. Per lo più il consenso è stato estorto con la forza e l’ideologia, o con il rimbambimento televisivo.
Secondo lei, gli intellettuali avrebbero potuto fare di più per favorire l'unità, anche culturale, del nostro Paese e la conoscenza del Risorgimento?
Per la conoscenza del Risorgimento e di tutta la successiva storia d’Italia. Molti intellettuali italiani, di straordinario valore, peccano di una cultura elitaria, nel senso che hanno ritenuto inutile occuparsi del popolino rozzo ed ignorante. E che il popolo italiano - tutto il popolo considerato come un unico aggregato - soffra da 150 anni di una sorta di sottosviluppo culturale, lo dicono i dati.
Nell’Ottocento avevamo il doppio di analfabeti (75% contro il 35%) rispetto a Germania, Francia e Inghilterra; oggi (recentissimi dati Ocse) abbiamo la metà dei laureati di tutti gli altri Paesi europei: in Italia sono il 12%, a fronte del 25% della media europea. Abbiamo anche meno diplomati, e la minor spesa per istruzione e ricerca scientifica.
E sulla mancata modernizzazione dell'Italia? Dipende dall'assenza di una classe dirigente all'altezza dei problemi?
In gran parte sì. Tutte le nostre classi dirigenti si sono contraddistinte per una scarsa propensione al riformismo, alla capacità di risolvere i problemi. Quindi ne è scaturita una storia, quella degli italiani, con uno Stato fragile, debole, formatosi via via seguendo un processo di selezione e formazione della sua classe dirigente assai criticabile. Il risultato è stato quello di inondarci di leggi (ne abbiamo circa 120.000 rispetto alle 12-15.000 degli altri Paesi europei).
È stato messo in piedi un apparato burocratico statale di difficilissima gestione: il decuplo di leggi rispetto agli altri Paesi e una burocrazia di funzionari assai meno preparati di quella degli altri stati. Sfido chiunque, tanto per fare solo un esempio, a trovare leggi di altri Paesi in cui, come in alcune leggi italiane pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale, si possa leggere, cito: “S’intende per nave da pesca una nave adibita alla cattura di pesci”. Oppure: “S’intende per suino da macello l’animale della specie suina destinato ad essere macellato”. O ancora: “Intendesi per sedile del conducente il sedile destinato al conducente”. Giudicate voi.
Se un bambino le chiedesse: cos'è l'Unità d'Italia?
La gioia, caro/a bambino/a, che provi quando prendi i vari, differenti pezzi dalla tua scatola dei lego e costruisci, realizzi l’idea che desideravi… casomai con l’aiuto di mamma e papà!
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Postgraduate alla University of Reading, (Gb), presso il Department of Agricultural and Food Economics. Compie ricerche su Aspetti economico-sociali della rivoluzione informatico-elettronica presso il Charles Babbage Institute - The Center for the history of information processing della University of Minnesota Usa e la biblioteca della London School of Economics. Relaziona al seminario Jornadas de cooperativismo y asociacionismo agropecuario y pesquero en Europa y America Latina siglos XIX y XX. Una perspectiva comparada, (La Laguna, 8-9 novembre 2001). Partecipa ai lavori del XIII Congresso Internazionale di Storia economica (Buenos Aires, 22-26 luglio 2002) con una comunicazione sulla cooperazione italiana tra Ottocento e Prima guerra mondiale. Coordina il comitato locale del prin 2004 sulle Imprese diretto da Franco Amatori. Dal 2001 al 2003 ha diretto il Dipartimento di Economia politica della Facoltà di Modena e Reggio Emilia. Membro della Società Italiana di Storia Economica. Ha diretto la rivista di storia locale “Modena storia”. Coordina (assieme al prof. M. Cattini, Università Bocconi) il progetto della Fondazione Cassa Risparmio di Modena "Archivi-A-Mo".
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