Nel mese di marzo la capienza delle 206 strutture penitenziarie del Paese (161 Case circondariali, 38 Case di reclusione e 7 Istituti per le misure di sicurezza) ha registrato la presenza di 61.202 detenuti.
Un numero allarmante, considerato che la capienza regolamentare degli istituti è pari a 43.182, mentre quella tollerabile (che è sostanzialmente, il mettere due-tre persone dove dovrebbe starcene una sola!) è pari a 63.616 posti. Cifra, quest’ultima, che in un paio di mesi, non solo sarà sicuramente superata, ma che ragionevolmente si eleverà all’allarmante numero di 70.000 detenuti presenti nelle carceri italiane entro la fine di quest’anno.
Detenuti che potrebbero diventare 100.000 in poco più di tre anni, se non viene invertito il trend di crescita dei ristretti. Il 31 agosto 2006, ad esempio, avevamo 38.847 detenuti che lo stesso giorno del 2008 erano aumentati a 55.831. Ben 17.000 detenuti in due anni. Tutto ciò va a discapito delle condizioni detentive in linea con il dettato costituzionale previsto dal terzo comma dell’articolo 27 e delle condizioni lavorative delle donne e degli uomini del Corpo che lavorano in prima linea nelle sezioni detentive. Un Corpo, quello della Polizia Penitenziaria, in cui si registrano carenze di organico pari a oltre 5.500 unità.
Alla luce di questi numero si converrà che la questione generale del sovraffollamento penitenziario non può trovare esclusiva risposta nello sviluppo dell’edilizia, come recentemente previsto nel decreto cosiddetto “milleproroghe”, che ha individuato commissario straordinario ad hoc l’attuale capo dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta.
Non può trovare esclusiva risposta nello sviluppo dell’edilizia per i tempi lunghi di esecuzione dei lavori e, soprattutto, per la carenza di risorse umane - di Polizia Penitenziaria e del Comparto ministeri - da impiegare.
A nostro avviso è necessario individuare risorse per prevedere nuove assunzioni nel Corpo - eventualmente rimuovendo gli ostacoli legislativi che impediscono di bandire concorsi nazionali per specifiche sedi regionali - e rimodulare il complessivo sistema sanzionario del Paese.
Era da quel provvedimento di indulto del 2006 (del quale usufruirono 27.472 detenuti) che si sarebbe dovuto ripartire. Ma il mondo della politica - e chi allora governava il Paese - ha colpevolmente perso quell’occasione per porre interventi strutturali in materia penitenziaria. E oggi siamo esattamente nelle stesse condizioni che determinarono quel provvedimento legislativo.
Crediamo allora che si debba concretamente percorrere una nuova politica della pena che, differenziando arrestati e condannati a seconda del tipo di reato commesso in una logica di riorganizzzione dei circuiti penitenziari, preveda una maggiore espansione dell’esecuzione penale esterna (ossia il sistema delle misure alternative, che può essere incentivata offrendo garanzie di sicurezza credibili sia dal giudice che le dispone sia dalla stessa collettività) e l’impiego della Polizia Penitenziaria all’interno degli Uffici di esecuzione penale esterna (Uepe) con compiti di controllo.
E’ da qui, a nostro avviso, che si dovrebbe ricostruire il sistema penitenziario italiano. Ma è opportuno farlo in fretta, vista la costante crescita esponenziale di detenuti. Ci auguriamo che il governo voglia e sappia cogliere questa sfida di civiltà.
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