Intervista al segretario generale del Siulp, Felice
Romano, sul nuovo strumento di ingresso
facilitato alle partite di calcio che ha innescato
vivaci polemiche, anche tra gli addetti
ai lavori: “Ma la tutela dei cittadini che vanno
a seguire la squadra del cuore, passa anche
per l’educazione allo sport e la collaborazione
delle società sportive”
Si è parlato molto della “tessera del tifoso”, a causa della quale vi è stata anche una violenta contestazione al ministro dell’Interno Roberto Maroni. Dal punto di vista della Polizia, questa tessera può avere un effetto positivo, controllando l’accesso a determinati settori degli stati, o rischia di diventare un ulteriore problema?
Facciamo una premessa che io ritengo sia indispensabile per chi, non essendo dell’“ambiente”, voglia comprendere fino in fondo di che cosa stiamo parlando.
La tessera del tifoso non è indispensabile o obbligatoria per andare allo stadio. Pertanto, coloro i quali non vogliono usufruire delle agevolazioni che la tessera consente, possono comunque continuare ad andare allo stadio.
A cosa serve allora la tessera del tifoso; essa, parafrasando sul tema della mobilità, è come una sorta di telepass per gli automobilisti che viaggiano in autostrada. Infatti, così come l’automobilista evita di fare le code quando giunge al casello perché dotato di telepass, il titolare della tessera del tifoso, nelle partite dichiarate a rischio dall’Osservatorio Nazionale (organismo istituito presso il ministero dell’Interno che è deputato a valutare la pericolosità degli incontri di calcio), può comunque recarsi in trasferta usufruendo della prevendita dei biglietti con posti riservati nel settore degli ospiti e non, invece, comprare il biglietto singolarmente con la possibilità di trovarsi seduto nel mezzo della curva dei sostenitori della squadra opposta.
Il tutto chiaramente attraverso un percorso di fidelizzazione tra tifoso e società sportiva nella quale la Polizia viene interpellata solo per accertare se il richiedente della tessera abbia o meno precedenti di Polizia o condanne relative a reati di ordine pubblico.
È evidente quindi che la tessera del tifoso costituisce un elemento fiduciario tra società sportiva e propri tifosi che, in funzione dell’accertamento preventivo dei requisiti soggettivi, da diritto a potersi recare nelle trasferte a rischio con le stesse condizioni che di solito sono consentite negli incontri ordinari.
È evidente che tutto questo oltre ad agevolare il lavoro degli organismi di Polizia nel controllo agli stadi, costituisce anche un rafforzamento di chi va allo stadio veramente per amore dello sport e della squadra, e non invece per ricercare un luogo dove dare sfogo allo stress e alle frustrazioni accumulate nel corso della settimana.
La piaga dei tifosi violenti, degli ultras, esiste da tempo, e non sembra in via di guarigione. Secondo lei è un fenomeno che può essere tenuto sotto controllo con adeguate tecniche di contenimento e repressione, o richiede altri interventi di più largo respiro?
Il fenomeno del tifo violento è sicuramente un aspetto sociale che risente soprattutto dalle tensioni che si generano nella nostra collettività piuttosto che da cause strettamente legate all’evento sportivo. È facile quindi inquadrare la violenza negli stadi in una vera e propria manifestazione delinquenziale e non invece in una pretesa difesa o sostegno della propria squadra calcistica.
Esso è pertanto un fenomeno, come tutti quelli di devianza sociale che sfociano in atti criminali, che non può essere ricondotto esclusivamente ad un problema di Polizia. Va invece affrontato in un’ottica più ampia di educazione sociale e di emancipazione culturale che, insieme agli interventi di contenimento o repressione che gli organi di Polizia debbono attuare di fronte al consumarsi di fatti costituenti reato, l’unica strada per arginare, correggere se non debellare definitivamente il fenomeno.
Infatti, non è un caso che la violenza dei tifosi sia presente quasi esclusivamente negli incontri di calcio, e non anche in tutte le altre discipline sportive che pure giornalmente disputano incontri tra diverse squadre, perché il calcio per il grosso giro di interessi economici che muove, è costantemente sotto i riflettori dei mass media nazionali, costituendo così un palcoscenico eccezionale per coloro i quali vogliono farsi notare dalla società. Questo però presuppone che quei tifosi violenti, fortunatamente pochissimi rispetto alle migliaia e migliaia di persone che si recano allo stadio, vanno con un progetto e un obiettivo premeditato; creare le condizioni per avere scontri e tafferugli a prescindere dall’evento sportivo.
In questo senso è evidente che la sola azione di Polizia non può bastare. Essa deve essere accompagnata da un intervento a più ampio respiro che parta dall’educazione alla legalità e allo sport.
Non crede che, in fondo, il tifo violento sia l’estremo punto d’arrivo di un modo deformato di considerare il calcio, non come uno sport (altri sport agonistici non determinano situazioni minimamente simili), ma come una sorta di rito sacrale e liberatorio?
Sulla scorta di quello poc’anzi affermato non vi è dubbio che il calcio rappresenta “l’arena” in cui i soggetti sottoposti a devianze sociali e di cui diventano poi portatori, intravedono nel calcio il momento in cui poter sfogare le loro frustrazioni e i loro disagi anche alla luce di una presunta ed erronea convinzione di totale impunità determinata dalle grandi masse che sono interessate dalla violenza che questi soggetti sono capaci di generare (cosiddetto effetto catartico).
Ecco perché riteniamo che la tessera del tifoso rappresenti un ulteriore elemento di rafforzamento del tifo sano e di emarginazione di coloro i quali, con la scusa del tifo, vogliono impunemente continuare a delinquere in occasione delle partite di calcio.
Allargando il discorso, non pensa che vi sia un problema di educazione famigliare, dato che la grande maggioranza dei tifosi violenti sono giovani? E che di questo si dovrebbe tenere maggiormente conto nel valutare il risarcimento dei danni causati?
Sicuramente sì. Il problema della violenza negli stadi è strettamente legato all’aspetto culturale e quindi ad un problema di educazione alla cultura e alla legalità. In questo non solo le famiglie ma tutte le agenzie educative presenti nella nostra società, siano essere quelle istituzionali come la scuola, siano esse sociali come i circoli ricreativi, le associazioni e gli stessi club dei tifosi, hanno un ruolo determinante nell’istruire i giovani alla cultura della legalità, dello sport e del rispetto altrui.
Su questo però va fatta un’autocritica a 360 gradi. Troppo spesso in passato si è “soprasseduto” su fenomeni allarmanti ritenendo che potessero essere inquadrati nell’esuberanza giovanile anziché nell’inizio di una devianza e di un disagio della società così come si è stati troppo duri nei confronti delle Istituzioni preposte alla sicurezza quando ci sono stati episodi di singoli operatori che, pur essendo censurabili non li si è inquadrati nell’errore del singolo operatore, ma piuttosto in una strategia della gestione dell’ordine e della sicurezza pubblica.
Non vorrei essere frainteso, gli errori degli operatori, essendo professionisti, vanno rilevati, accertati e censurati. Da qui però a gridare che vi sia una regia che tenti di imporre “il pugno di ferro” nella gestione dell’ordine pubblico, ne passa di acqua sotto i ponti.
Forse, l’aver anteposto gli interessi economici e quelli dello spettacolo a tutto e a tutti ha ingenerato un alibi in quanti andavano allo stadio per sfogare le proprie frustrazioni e la propria vena delinquenziale piuttosto che costringerli a riflettere sul valore dello sport e sulla gravità delle loro azioni. Questo è un errore che non va ripetuto.
Che cosa possiamo dire sulle responsabilità delle società di calcio? Fanno abbastanza per contrastare il fenomeno della violenza, o la considerano un male in qualche modo inevitabile, e forse necessario?
L’esperienza ci ha insegnato che il tifo organizzato ha rapporti costanti e stretti con le società. La contestazione operata nei confronti del ministro degli Interni, proprio sul tema della tessera del tifoso, ha dimostrato che esiste un falso tifo di tipo criminale ed eversivo gestito da una regia ancora ignota che persegue il solo obiettivo del disordine piuttosto che quello di supporto allo sport.
Io ritengo che le società sportive sicuramente hanno una responsabilità: quella di non aver preso in modo netto e chiaro le distanze da quel tifo violento che troppo spesso purtroppo abbiamo dovuto registrare intorno agli incontri di calcio.
Ciò è tanto vero che anche sulla tessera del tifoso, che come detto dovrebbe rafforzare il rapporto di fidelizzazione tra tifo sano e società, alcune società sportive anche importanti l’hanno contestata, sostenendo che questo fa diminuire il numero degli spettatori a prescindere “dalla qualità” degli spettatori stessi.
Da ciò emerge purtroppo un dato veramente scoraggiante ma che è ricorrente nella storia del calcio.
L’obiettivo delle società, perlomeno quelle alle quali facciamo riferimento, che contestano la tessera del tifoso, è esclusivamente economico a prescindere da chi fa crescere la loro economia. È come dire, parafrasando, che una società pur di avere i capitali che gli servono per la sua attività, accetti anche quelli che sono proventi di attività illecite e di associazioni criminali.
Noi riteniamo che se si vuole perseguire l’esaltazione dello sport e di chi ama lo sport, questo deve essere prioritario anche rispetto al numero dei partecipanti alle manifestazioni sportive.
Per chiudere rispondendo alla domanda, ritengo che le società sportive debbano fare sicuramente di più nella direzione appena detta.
Per finire, le Forze di polizia devono sopportare tagli economici, la carenza di strumenti efficienti, dure e spesso pericolose condizioni di lavoro. E’ accettabile che venga considerato quasi normale il fatto che debbano anche affrontare – con i rischi e i sacrifici che tutti sappiamo – delle masse di esagitati che praticano sistematicamente la violenza per il semplice desiderio di distruggere e ferire?
I poliziotti, e gli appartenenti alle Forze di polizia in generale, grazie al lavoro soprattutto fatto dal sindacato – e ad onore del vero ha trovato sensibilità e riscontro nei vertici dell’Amministrazione e in alcune volte anche nella politica – sono oggi dei veri e propri professionisti della sicurezza.
Come tutti i professionisti è insito in loro l’accettazione del rischio che il proprio lavoro comporta.
Ogni poliziotto sa, quando inizia il proprio turno di lavoro, che potrebbe incontrare non solo danni a se stesso ma addirittura il rischio del sacrificio estremo.
Questo fa parte della loro missione e lo si accetta consapevoli che ciò serve a garantire una società civile e sicura nella quale ogni cittadino, nel rispetto della legge e di tutti gli altri cittadini, possa manifestare anche il proprio dissenso o la propria insoddisfazione rispetto a ciò che riguarda la sua vita. Una sorta di patto insomma, nel quale ognuno, cittadini e rappresentanti delle Istituzioni, sono disposti a cedere un pezzo dei diritti riguardanti la singola persona, nell’interesse generale di coniugarli con quelli dell’intera collettività.
Oggi, purtroppo, stanno venendo meno le condizioni che hanno garantito l’equilibrio di questo patto, con la conseguenza che il patto rischia di saltare.
Non è più ammissibile che in nome e per conto non del calcio ma degli interessi economici che si muovono intorno al calcio e che sono appannaggio di pochi, si possa continuare ad accettare che intere città siano devastate o, per evitare questo siano “blindate”. Perché in entrambi i casi chi viene calpestato nella sua dignità di cittadino di questo Paese, è il singolo cittadino che vede compressi diritti fondamentali quali la sicurezza o la libertà di circolazione.
I poliziotti in quanto cittadini e rappresentanti delle Istituzioni, chiaramente sono colpiti due volte.
Ecco perché è necessario intervenire per consentire a questi professionisti di continuare a fare il loro lavoro e ciò deve avvenire sostanzialmente su due binari sostanziali: il primo è di tipo culturale e sociale. Educare i cittadini ed in particolare i giovani alla cultura della legalità e del rispetto dello sport e delle Istituzioni.
Il secondo, che riguarda il piano normativo, deve agire negli appostamenti di spesa necessaria a fornire gli strumenti e i mezzi per poter operare nei servizi di ordine pubblico ma anche di norme che consentano di colpire quei pochi facinorosi che stanno minando seriamente la cultura dello sport e la tradizione storica del calcio del nostro Paese.
FOTO: Felice Romano, Segretario generale nazionale Siulp
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