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Ottobre/2010 - Articoli e Inchieste
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Vivisezione: necessità o falsa scienza?
di Eleonora Fedeli

La nuova direttiva Ue prevede che cani
e gatti randagi possano essere usati
per la sperimentazione. Sull’altare della scienza
potranno essere sacrificati anche scimmie e specie
in via d’estinzione. Evidenze scientifiche, però,
dimostrano che la sperimentazione animale
è decisamente inadeguata per valutare gli effetti
di un farmaco sull’organismo umano

A nulla è valsa la richiesta di rinvio avanzata dall’europarlamentare dell’Idv Sonia Alfano e da altri 40 deputati in seguito all’approvazione del nuovo provvedimento sulla vivisezione. L’8 settembre scorso, infatti, il Parlamento europeo ha dato il via libera ad una direttiva che prevede non solo l’utilizzo di cani e gatti randagi, ma anche di grandi scimmie come lo scimpanzé (che condivide con la specie umana oltre il 98% del Dna) nel caso in cui non sia possibile raggiungere altrimenti lo “scopo della procedura” di ricerca.
Oltre a questi, molti altri i punti che hanno sollevato l’indignazione e la protesta di alcuni esponenti del governo italiano e di autorevoli rappresentanti della comunità scientifica e culturale. Con la nuova direttiva, ad esempio, si potrà fare ricorso alla soppressione di cavie per inalazione di anidride carbonica, una procedura che provoca alti e prolungati livelli di sofferenza. In casi particolari si potranno effettuare esperimenti, anche dolorosi, senza anestesia. Il divieto di arrivare al livello più alto di sofferenza è stato eliminato.
Secondo il commissario europeo John Dalli il testo rappresenterebbe un “buon compromesso” tra gli abolizionisti delle sperimentazioni e gli scienziati favorevoli ai test di laboratorio per il progresso della ricerca, un punto di equilibrio tra salvaguardia del benessere degli animali e necessità scientifiche. Anche secondo Paolo De Castro (Pd-Ds), Presidente della Commissione Agricoltura del Pe, la nuova direttiva costituisce «un buon compromesso, un testo ragionevole che rappresenta un progresso rispetto alle norme del 1986 nel rispetto delle esigenze scientifiche». Elisabetta Gardini (Pdl-Ppe), dopo aver parlato di «qualche preoccupazione ancora esistente», ha complessivamente giudicato il testo un «buon compromesso».
In molti, però, vedono nella scelta europea un grave passo indietro. L’unica a beneficiarne, secondo Piergiorgio Benvenuti, responsabile dei rapporti istituzionali di Fare Ambiente, sarà la «potente industria farmaceutica». «Deludente» anche secondo la biologa Michela Kuan, responsabile nazionale Lav del settore Vivisezione, «soprattutto in considerazione dei progressi scientifici, dell’affermarsi dei metodi alternativi all’uso di animali e dell’opinione pubblica espressasi in modo chiaramente contrario alla sperimentazione animale». Anche il ministro del Turismo, Michela Brambilla, ha criticato aspramente la nuova direttiva Ue: «non è più accettabile che moltissimi animali ogni anno vengano crudelmente torturati e sottoposti ad esperimenti feroci fino a perdere ingiustamente la vita, per scopi che nulla hanno a che fare con il progresso scientifico che pur tutti vogliamo perseguire. In cambio, dovrebbe essere incentivata la ricerca e lo sviluppo di metodi alternativi alla sperimentazione animale».
Non serve, del resto, essere accesi animalisti per avere delle perplessità su questo provvedimento. Basta scrivere “vivisezione” su qualsiasi motore di ricerca e cliccare sulla sezione “immagini”. Gatti con elettrodi fissati alla testa, scimmie con il cervello esposto, legate con cinghie alle sedie, occhi colmi di terrore e sofferenza. Anche la persona più cinica e spietata sarebbe sconvolta da una simile galleria degli orrori. La maggior parte di noi, però, allontana queste immagini dalla propria mente ed accetta la situazione. Le Istituzioni e l’establishment sanitario ci dicono che questo genere di esperimenti vengono condotti per il nostro stesso benessere, per trovare la cura a malattie largamente diffuse. Basta questo pensiero e ci voltiamo dall’altra parte. In fondo, meglio loro che noi.

Un inizio con il piede giusto
Già nel IV secolo a. C., Ippocrate aveva capito che le informazioni mediche più accurate e utili si possono ottenere grazie all’osservazione clinica, una procedura sperimentale che ha per oggetto di studio il paziente e per obiettivo la conferma della validità di interventi medici volti a migliorare la risposta terapeutica. Gli uomini, quindi, si curano osservando altri uomini, non squartando esseri di altre specie. Almeno secondo il padre della medicina.
Dopo Ippocrate, il medico più famoso dell'antichità fu Galeno Claudio di Pegamo, medico dei gladiatori e del figlio di Marco Aurelio. Galeno iniziò con lo studio del corpo umano, ma la Chiesa non permise più le autopsie, ritenendole altamente immorali. Non potendo più dissezionare cadaveri umani, Galeno ricorse agli animali, diventando così il padre della vivisezione. Il medico di Pergamo combinò i dati fisiologici animali con quelli umani e scrisse i più di cinquecento trattati di medicina che lo resero famoso. Le sue conclusioni, però, erano ampiamente errate e imprecise e furono superate solamente grazie agli studi successivi, eseguiti su cadaveri umani.
Sbarazzarsi dell’eredità di Galeno non fu affatto facile: mettere in discussione le sue teorie significava, nel migliore dei casi, essere licenziati. Bisognò attendere il Rinascimento e l’impeto del medico fiammingo Andrea Vesalio per spazzare via, una volta per tutte, il pensiero medievale. Il suo coraggio e la sua determinazione gli costarono l’accusa di eresia, ma grazie alle sue scoperte, ottenute mediante la dissezione di cadaveri umani, l'acquisizione della conoscenza medica accelerò e l’autopsia tornò ad essere praticata nelle scuole mediche più prestigiose d'Europa, a partire da quelle italiane, come Bologna e Padova.
Fino al XIX secolo, tutte le maggiori scoperte in campo medico furono perseguite attraverso l’anatomia descrittiva. Il funzionamento del cuore, dei polmoni, della circolazione sanguigna, le cause di numerose malattie e molti fenomeni che oggi consideriamo scontati, furono scoperti grazie allo studio effettuato sui corpi umani.
La scienza medica sembrava finalmente uscire dall'epoca buia in cui l'aveva gettata Galeno, ma, come spesso accade, la storia ripete sé stessa e i suoi errori.
Un passo indietro
Fu Claude Bernard, nella metà del XIX secolo, a riproporre la sperimentazione animale. Bernard ripiegò sulla scuola medica solo dopo aver fallito come commediografo, stroncato dal critico Saint-Marc Girardin. Non era di certo uno studente modello, ma alla fine riuscì ad ottenere un incarico come fisiologo in un laboratorio. Bernard riuscì a persuadere la comunità scientifica della "validità" della sperimentazione animale e del fatto che una malattia che non fosse riproducibile negli animali non poteva esistere nell'uomo. La comunità scientifica considerò i metodi di Bernard preferibili all'osservazione sull'uomo, in quanto molto più convenienti data l'abbondanza di animali a disposizione. Visti i precedenti di Bernard, gli scienziati capirono anche che la sperimentazione animale avrebbe fornito loro sia denaro che reputazione. Chi mancava di talento in ambito clinico poteva sempre fare carriera in laboratorio.
Nel 1865 Bernard pubblicò il libro "Introduzione allo Studio della Medicina Sperimentale". In esso descriveva il laboratorio come il "santuario della scienza medica" e profetizzava che grazie alla sperimentazione animale si sarebbero potute guarire molte più persone di quanto non si potesse fare con l'osservazione clinica. Inoltre sosteneva che gli effetti dei medicinali e delle sostanze tossiche erano gli stessi sia sull'uomo che sugli animali, a parte una differenza nel grado, mentre oggi sappiamo che non è affatto così.
Poi arrivò Charles Robert Darwin, naturalista inglese famoso per la teoria evoluzionistica. Secondo il darwinismo la specie umana non costituisce la meta verso cui tutte le altre specie tendono in una lunga e lenta evoluzione. Tutte le altre specie sono ugualmente all'apice dell'evoluzione: il fatto che gli animali non sono le "brutte copie" degli umani li rende inadatti allo studio della medicina per gli umani. Bernard, da parte sua, rifiutò completamente la teoria evoluzionista.

Perseverare è diabolico
La storia della medicina è ricca di episodi che dimostrano quanto la sperimentazione sugli animali non solo sia inutile, ma anche pericolosamente fuorviante. Luis Pasteur, chimico e biologo francese, diede tre importanti contributi alla scienza medica senza ricorrere all'uso di animali: la sterilizzazione, la pastorizzazione e la teoria dei germi della malattia. L’unica volta che ricorse alla sperimentazione sui cani fu per trovare un vaccino contro la rabbia, ma in quel caso scoprì che sugli esseri umani non solo non funzionava, ma poteva perfino essere mortale.
Il batteriologo tedesco Robert Koch, alle prese con lo studio del colera, osservò che, pur a contatto con tessuti infetti, i topi bianchi non contraevano la malattia. Messi da parte i topi e utilizzando un microscopio, Koch scoprì l'agente patogeno del colera. La sua esperienza dimostrò che quando un agente patogeno di una certa malattia è inoculato negli animali, la risposta dipende dalla specie.
Nonostante il tempo e i fatti smentissero i presunti successi ottenuti con la sperimentazione animale, essa continuò a diffondersi in tutte le branche della medicina. Addirittura costituì un ostacolo alla diffusione di importanti scoperte mediche, solo per il fatto che queste spesso non potevano essere riprodotte negli animali da laboratorio.
Alcuni esempi. La malattia di Addison, dal nome del suo scopritore, il medico inglese Thomas Addison, si manifesta quando le ghiandole surrenali non sono più in grado di produrre certi tipi di ormoni. La sua scoperta fu ignorata per trent'anni, solo perché i ricercatori non riuscivano a riprodurre gli stessi sintomi della malattia negli animali da laboratorio a cui erano state asportate tali ghiandole.
Nel 1895, in un'operazione chirurgica su una donna, il dr. Robert T. Morris mostrò il funzionamento delle ovaie. Ma il merito andò nel 1896 al ricercatore tedesco Emil Knauer per aver riprodotto la procedura sui conigli.
Nel 1833, il fisiologo e chirurgo militare americano William Beaumont, poté studiare il processo digestivo attraverso una grossa apertura nell'addome di un paziente ferito da un colpo di arma da fuoco. Il merito di quella scoperta, però, andò nel 1904 (71 anni dopo!) al fisiologo russo Ivan Pavlos, che ricevette il Premio Nobel dopo aver pubblicato i suoi studi sui meccanismi digestivi compiuti sugli animali.

Basta uno sguardo
Decisivo per la comprensione dei sistemi viventi fu l’avvento del microscopio, strumento senza il quale non sarebbe nata la biologia moderna, che portò all'accettazione della teoria delle cellule, secondo cui ogni organismo può essere compreso attraverso lo studio delle sue cellule. Questa rivelazione è di fondamentale importanza per la medicina e a favore delle argomentazioni contro la sperimentazione animale.
Tuttavia la gente continua a credere che si dovrebbero usare gli animali come modelli, specialmente i primati, poiché la loro struttura genetica approssima di molto la nostra. Il nostro Dna è uguale a quello delle grandi scimmie per il 97-99%. Sebbene questa approssimazione sia più che buona, non tiene in alcun conto le differenze a livello di sequenze di coppie-base del Dna, che contengono le informazioni per la formazione degli amminoacidi, e di cui sappiamo ancora poco. Pertanto l'argomento Dna a favore della sperimentazione animale è molto ingannevole.
Ci fu un evento decisivo che portò alla convinzione di rendere la sperimentazione animale una pratica riconosciuta a livello giuridico. Nel 1937, negli Stati Uniti, un nuovo antibiotico disciolto in una sostanza chimica, il diethilene glycol, provocò la morte di 107 persone. Gli scienziati somministrarono il farmaco ad alcuni animali, e anche questi morirono. Una pura coincidenza, che non provava affatto che tutte le specie animali reagiscono allo stesso modo a tutte le sostanze chimiche.
Nel 1938 il Congresso americano approvò una legge che impegnava le case farmaceutiche a provare la sicurezza dei propri prodotti. Ciò significava testare prima i prodotti sugli animali. La responsabilià dei controlli della corretta applicazione di questa normativa fu affidato alla Food and Drug Administration (Fda), una divisione del Dipartimento della Salute e Servizi Umani degli Stati Uniti.
La Seconda Guerra Mondiale incentivò lo sviluppo del settore farmaceutico a causa dell'enorme richiesta di antibiotici e vaccini. Per massimizzare i profitti le case farmaceutiche brevettarono i propri prodotti e si assicurarono il favore dei medici offrendo loro vasti campioni gratuiti, borse in pelle e perfino viaggi premio. Nel 1951 fu resa obbligatoria la prescrizione per la maggior parte dei farmaci. Ciò servì a rafforzare la collaborazione tra i medici e le case farmaceutiche, ad accrescere la fiducia dei pazienti nella medicina e ad aumentare i profitti.
Le cure miracolose pubblicizzate dalle case farmaceutiche non tardarono a manifestare gravi effetti collaterali. Il più noto e grave fu quello del Talidomide, un tranquillante per le gestanti che si dimostrò teratogeno. Teratogena è una sostanza che modifica il corredo genetico con il risultato di alterare il normale sviluppo dell'embrione e causare deformazioni nel nascituro.
Widikund Lenz, un pediatra tedesco, fu il primo a suggerire una correlazione tra il Talidomide e la teratogenesi. Il farmaco fu comunque messo trionfalmente in commercio, nonostante i numerosi casi di bambini nati focomelici da madri che lo avevano assunto durante la gestazione. A questi episodi seguirono nuove sperimentazioni sugli animali: gli scienziati cercavano la prova di ciò che già era noto nell'uomo. Nessuno degli animali da laboratorio trattati con il Talidomide, però, produsse feti focomelici e ciò ritardò il suo ritiro dal mercato. Dopo aver fatto esperimenti su 150 diverse razze di coniglio, se ne trovò una che, sottoposta a dosi comprese tra le 25 e le 300 volte superiori a una normale per l'uomo, generò alcuni piccoli con deformazioni.
Il farmaco fu ritirato nel 1962, quando ormai erano nati oltre 10.000 bambini focomelici. Gli studi sugli animali giocarono un ruolo attivo nell'ampliare questa tragedia. La ricerca su tessuti umani in vitro avrebbe evitato tutto questo.

La gallina dalle uova d’oro
Anche tra i sostenitori della lobby vivisezionistica qualcuno ammette che gli studi condotti sugli animali mancano di accuratezza e che forniscono pochi dati attendibili se riferiti all’uomo. Perché allora si continuano ad impiegare queste metodologie?
I medici Ray e Jean Greek, autori di Sacred Cows e Golden Gese: The Human Cost of Animal Experimentation (“Vacche sacre e oche dalle uova d’oro: il costo umano della sperimentazione animale”), provano a darci qualche spiegazione. Uno dei maggiori ostacoli sarebbe il denaro: «gli scienziati sono come tutti gli altri, materialisti ed opportunisti. Anche loro lottano per sopravvivere e primeggiare in un mondo altamente competitivo». Inoltre, «la sperimentazione animale è ordinata», spiegano i Greek. «Il bello dei ratti è che puoi andare a casa venerdì sera e riposare certo di trovarli nelle loro gabbie lunedì mattina. D’altra parte, la ricerca clinica sugli umani può risultare complicata. I clinici non hanno alcun controllo sui pazienti che possono anche decidere di non tornare agli appuntamenti successivi. Gli umani possono anche mentire in merito alle loro abitudini di vita. Inoltre, puoi indurre delle scimmie a farsi di cocaina od eroina nel tuo laboratorio piacevolmente pulito. Se vuoi studiare gli effetti di tali droghe sull’uomo, potresti avere a che fare con delle persone potenzialmente sgradevoli».
Anche il tempo è un fattore essenziale. «Una generazione, per un ratto, si sviluppa in una settimana, non in decenni. Nel tempo che un clinico impiega a pubblicare un buon articolo, un vivisettore ne può pubblicare almeno cinque. Il metodo più facile per pubblicare consiste nel prendere un articolo già esistente e apportargli delle modifiche: la specie animale utilizzata, il dosaggio del farmaco, la metodologia di valutazione dei risultati od altro ancor». È il numero e non la qualità a rivestire particolare importanza per quanti desiderano far carriera in ambito scientifico.
Accettare la situazione e non cercare di smuovere le acque è a sua volta un fattore chiave. La pressione imposta a studenti e giovani laureati affinché abbiano pubblicazioni al loro attivo non dovrebbe essere sottovalutata. Tutto ciò ha condotto ad una proliferazione di pubblicazioni di carattere scientifico, spesso a cura di ricercatori vivisezionisti. Questo significa inevitabilmente che i vivisettori sono in grado di mettere in luce il loro lavoro mentre chi si schiera contro la sperimentazione animale non trova spazi in cui esternare le proprie opinioni, nonostante sia stata stimata, al giorno d’oggi, l’esistenza di 100.000 testate scientifiche in attività. Molti di questi giornali dipendono dalle entrate monetarie legate alla pubblicità di aziende farmaceutiche e di altre industrie di questo tipo, i cui prodotti vanno ad incrementare la sperimentazione animale.
Come se non bastasse, bisogna anche lottare con il dominio delle grandi imprese. L’industria che gravita attorno alla sperimentazione animale presenta un incasso lordo, a livello mondiale, stimato tra i 100 bilioni ed un trilione di dollari l’anno. Queste cifre comprendono anche l’impiego di centinaia di migliaia di persone, compresi quelli che producono e vendono giacche per immobilizzare gli animali, pompe per alimentarli forzatamente, aghi, gabbie, bisturi e l’attrezzatura necessaria ad uccidere gli animali, senza poi menzionare la vendita degli animali stessi.
Anche le ditte farmaceutiche traggono vantaggio dalla sperimentazione animale, che tra l’altro rappresenta un’arma con la quale proteggersi nel caso in cui pazienti danneggiati dai loro prodotti dovessero far loro causa. In Europa la legislazione prevede che tutti i farmaci, prima di giungere allo stadio produttivo finale, debbano essere testati sugli animali sia per quanto riguarda la cancerogenicità che per la possibilità di indurre malformazioni fetali. Ma, come ci spiega Wendy Higgins, responsabile delle campagne dell’Unione Britannica per l’Abolizione della Vivisezione, tale pratica non è obbligatoria negli stadi intermedi di sviluppo di un farmaco, proprio nei quali viene però impiegato il maggior numero di animali.
Analoga è la situazione negli Stati Uniti. Secondo il dott. Ray Greek: «La maggior parte delle ditte farmaceutiche conduce molte più prove sugli animali di quelle richieste per legge in modo da poter dichiarare in Tribunale che effetti simili a quelli che hanno causato la morte della moglie del querelante non erano mai stati riscontrati. In via del tutto ufficiosa vi diranno che fanno affidamento sulla sperimentazione animale in quanto è un fattore di grande rilevanza per proteggersi da eventuali azioni legali». In altre occasioni le compagnie possono, con un voltafaccia, respingere la sperimentazione animale in quanto non indicativa per gli esseri umani. In entrambi i casi è estremamente difficile per le vittime riuscire a condurre un’azione legale contro queste ditte.

Le alternative
I veri progressi derivano sempre da ricerche basate su modelli umani, sostengono Ray e Jean Greek. Ad esempio la morfina, potente antidolorifico, viene estratta dai papaveri. Il chinino, utilizzato nella cura della malaria, deriva dalla corteccia di china. L’aspirina, il medicinale più diffuso al mondo, fu prescritto per la prima volta già da Ippocrate sotto forma di corteccia di salice. Nessuno di questi farmaci deve nulla alla sperimentazione animale.
Studi clinici sui pazienti e le buone vecchie osservazioni, ora non più di moda, hanno condotto, con successo, al trattamento della leucemia infantile e dei disturbi della tiroide. Sono state così sviluppate anche le attuali terapie per l’Hiv e l’Aids, oltre ad un certo numero di farmaci per il cuore.
Gli studi in vitro o in provetta hanno rivoluzionato la ricerca medica. La tecnologia che consente di conservare le cellule ed i tessuti ha fatto così tanti passi avanti che molte tipologie diverse di cellule possono essere mantenute in vita quasi indefinitamente, dando risultati molto più precisi, in quanto lo studio delle diverse patologie viene condotto allo stesso livello microscopico nel quale le medesime hanno luogo.
Altri campi di ricerca fondamentali sono quelli concernenti le autopsie e l’epidemiologia, nelle quali la moderna tecnologia permette di monitorare migliaia di pazienti in diverse Istituzioni. Ray e Jean Greek rilevano che sono stati gli studi epidemiologici a permettere la scoperta del legame esistente tra carenza di acido folico e spina bifida. Gli studi epidemiologici hanno anche messo in luce i rapporto di causa/effetto tra fumo e tumore, tumore e dieta, disfunzionalità cardiache e colesterolo, polvere di carbone e patologia del polmone nero o antracosi, fumo e problemi cardiaci, oltre a molte altre patologie. È stata sempre l’epidemiologia a provare il legame tra fumo e patologie polmonari nonostante le industrie del tabacco sostenessero per anni, in base ai risultati forniti dai modelli animali, che non vi era alcun rapporto tra i due. Gli sperimentatori hanno tentato invano per più di mezzo secolo di provocare per mezzo del fumo del tabacco il cancro negli animali. Da ciò ne conseguiva il ragionamento che fino a che gli animali non erano affetti da tumore a causa del tabacco non vi erano prove che esso causasse il cancro.
Trovare delle alternative non comporta neppure costi eccessivi. Molte, anzi, sono più economiche dello sfruttamento degli animali. Inizialmente bisognerebbe affrontare dei costi legati all’implementazione delle nuove procedure ma, sulla lunga distanza, il risparmio giustificherebbe l’investimento fatto.


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