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Ottobre/2010 - Editoriale
direttore@poliziaedemocrazia.it
I problemi trascurati generano gravi rischi
di Paolo Pozzesi

L’autunno si presenta incerto, forse “caldo”, forse “freddo”. Comunque tutt’altro che gradevole. E l’incertezza impedisce di azzardare previsioni, e di prepararsi almeno psicologicamente ad affrontare l’immediato futuro. Abbiamo assistito, da spettatori leggermente frastornati, alle faide estive che hanno lacerato il centro-destra, e immediatamente nel centro-sinistra ci si è premurati di dimostrare di non essere secondi a nessuno in quanto a polemiche e lotte intestine. Si è parlato, e si continua a parlare, di elezioni anticipate, anche se tutti, a cominciare dal Presidente della Repubblica, si dicono favorevoli a una durata normale della legislatura, e naturalmente, come sempre, non tutti dicono quello che pensano veramente.
Tutto questo, in fondo, potrebbe non risultare troppo grave, se non si profilassero due rischi. Uno: le diatribe, le dissertazioni, le manovre sottobanco in Parlamento, distolgono l’attenzione dai problemi reali, concreti, quotidiani dei cittadini, l’abbassamento del livello di vita, la disoccupazione, l’istruzione pubblica e la legalità, senza la quale non esiste una società civile. Due: questo spettacolo, poco edificante e piuttosto noioso, alimenta uno sconforto e un disinteresse generalizzati che aprono la strada a estemporanee proposte salvifiche.
Non è necessario essere dei fan dell’attuale governo per suggerire che una crisi nella situazione attuale, con il consecutivo avvio di una campagna elettorale, sarebbe la soluzione sbagliata nel momento sbagliato. I problemi reali sarebbero rinviati, e troverebbero posto solo come fatue promesse nei programmi elettorali. Non occorre attendere il responso delle urne per sapere quali sono i punti dolenti della condizione italiana. Per chi già non lo ha, trovare un lavoro è impresa disperata, e nello stesso tempo si erode il potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti, che in dieci anni – afferma un rapporto Ires Cgil – hanno perduto 5,453 euro, tra inflazione effettiva più alta di quella prevista, e mancata restituzione del fiscal drag. E secondo l’Ocse gli stipendi italiani sono al 23° posto, dopo tutti i nostri vicini europei, compresi Grecia e Spagna. Sono queste le premesse del “non arrivare alla fine del mese”. E con questi problemi da affrontare ogni giorno, più qualche altro che si aggiunge per fare buon peso, è comprensibile che lo spettacolo fornito dai politici, di maggioranza e di opposizione, crei stati d’animo che, con un termine invecchiato ma valido, potremmo definire “qualunquismo”. E con tutto il rispetto per la memoria di Guglielmo Giannini (che era un estroso gentiluomo di altri tempi), il qualunquismo in edizione Seconda Repubblica presta il fianco a operazioni basate sulla protesta a tutto campo, che tendono a fare presa contando, appunto, sulla confusione e su un legittimo malumore, lasciando intendere – probabilmente in buona fede – che le soluzioni sono lì, basta ascoltare chi di dovere.

* * *
“Siamo dei rivoluzionari, stiamo facendo una grande rivoluzione”. Lo ha proclamato Beppe Grillo dal palco della kermesse che ha raccolto a Cesena il 25 e il 26 settembre scorso settantamila aderenti – in gran parte giovani – al suo Movimento Woodstock 5 Stelle. Il nome si richiama al grande raduno dell’agosto 1969 dei “figli dei fiori” che raccolse a Bethel, nello stato di New York, 400.000 giovani in una Tre giorni “of peace and music”. Anche quello era un movimento, basato essenzialmente sul rock (senza trascurare il country) e sull’etica del rifiuto. La politica vera e propria con la Woodstock americana c’entrava poco o niente, e nelle declamazioni di Grillo – che sa come parlare a chi ottime intenzioni ma detesta i discorsi complessi – non c’entra molto neppure con quella 5 Stelle. “Basta con i partiti, è semplice”, grida il comico genovese, che certo non pensa a un’abolizione autoritaria, ma a una semplice disaffezione. “Noi siamo vivi, loro sono morti. Il comunismo è morto perché lo hanno applicato male. Questo capitalismo è morto perché non prevede la democrazia. Il welfare è in crisi in tutta Europa”. Beppe Grillo è un bravissimo e simpatico professionista, e afferma che il suo movimento ha “un programma bellissimo, tutto work in progress, al quale ognuno può dare il suo apporto”.
Come a Bethel 41 anni fa, anche a Cesena la musica dominava, con varie presenze di spicco, e anche un indefesso Dario Fo, fresco come ai tempi delle prime contestazioni. Ma, fra le pieghe, la politica non mancava. In previsione del voto, ravvicinato o meno, Grillo pensa che, attraverso la rete, “riusciamo a portare cinque o sei eletti in Parlamento”.

* * *
“Credo che sulla politica si possa dire poco. E cioè che la politica non c’è”. Questa secca, quasi brutale, dichiarazione non è stata pronunciata da Beppe Grillo alla Woodstock di Cesena, ma da un personaggio ben diverso da lui, Luca Cordero di Montezemolo dopo un convegno a Reggio Emilia del Congresso nazionale dei dottori agronomi e forestali. “Sento parlare di problemi interpersonali – ha aggiunto – di alchimie, di campagne acquisti e cessioni, tante cose che sono fuori dai problemi del Paese”. E ha elencato “i problemi veri da affrontare di cui non sento nemmeno lontanamente parlare: i problemi del lavoro, quello dell’occupazione, che è grosso e drammatico in campo giovanile, quello della crescita. Da quindici anni siamo il Paese che in Europa cresce di meno”.
Tutto vero, e, del resto, già detto e scritto ampiamente. Ma durante questi quindici anni Luca Cordero di Montezemolo è stato dal 2004 al 2010 presidente della Fiat, dal 2004 al 2008 presidente della Confindustria, e dal 1991 è presidente della Ferrari. Le prediche possono essere bene accette, a condizione che non restino tali, e non siano a senso unico. Possibile che il mondo – peraltro benemerito – delle grandi imprese, della finanza di alto bordo, delle megabanche, non abbia nessuna responsabilità nell’ingolfamento di un motore che, se non andiamo errati, sono stati loro a controllare? Traendone, legittimamente, cospicui benefici. Certo, il discorso non riguarda solo l’Italia, ma noi stiamo parlando dell’Italia. Insomma, ben venga la protesta, a condizione che non si trasformi in un ulteriore battibecco privo di un esito minimamente positivo.

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