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Agosto-Settembre/2010 - SOLO ON LINE SU POLIZIA E DEMOCRAZIA
Docenti e studenti di Ingegneria dell’Università La Sapienza in assemblea
Tagli ingiustificati delle risorse mettono a rischio la stabilità del sistema universitario pubblico
di Carlotta Torre

Un segnale più che forte, drammatico, era già venuto il 21 settembre scorso da una mozione approvata dal Senato accademico dell’Università di Roma La Sapienza, che dopo aver presentato quanto era stato fatto in termini di riduzione di Dipartimenti e Facoltà, decentramento e riordino della governance, concludeva: “La responsabilità è ora del Governo e del parlamento che debbono dare risposte concrete sui finanziamenti ormai drammaticamente insufficienti (l’università italiana è l’ultima in Europa) e sullo stato giuridico che i ricercatori attendono da 30 anni. La Sapienza ha operato per razionalizzare, risparmiare e progettare in funzione della qualità. Se dalla politica non ci saranno risposte, soprattutto finanziarie, avremo una didattica da terzo mondo e una ricerca in dissoluzione. In tali condizioni non saremo in grado di iniziare l’anno accademico 2010-2011”.
E il 29 settembre un’assemblea indetta dal il Consiglio di Facoltà di Ingegneria ha raccolto nel Chiostro del Sangallo insieme a numerosi studenti (anche quelli della sede distaccata di Latina, che nonostante i 1500 iscritti è minacciata di chiusura) il Rettore Frati, i Presidi Vestroni, Campariello e Sabetta, professori, ricercatori e personale. Tutti uniti e concordi per denunciare i tagli ingiustificati delle risorse da parte del governo e il mancato riconoscimento del ruolo dei ricercatori. E a proposito di questi ultimi è stato precisato che parlare di “sciopero dei ricercatori” è semplicistico e sbagliata: semplicistica in quanto l’agitazione riguarda tutte le figure professionali, e sbagliato perché i ricercatori non hanno sospeso la ricerca, cioè l’attività per quale vengono pagati, ma la loro disponibilità a tenere le lezioni, un lavoro puramente volontario. Da sottolineare che a Ingegneria i ricercatori coprono il 30% dei corsi.
Le misure contenute nel DDL Gelmini, si è detto, mettono a rischio la stabilità del sistema universitario pubblico. Il futuro degli aspiranti ingegneri – e in genere degli Atenei italiani - si presenta fosco: niente assunzioni per sostituire i pensionati, contratti brevi, nessuna prospettiva incoraggiante per la ricerca e per chi la fa. “Non sarebbe forse giusto – ha chiesto polemicamente qualcuno - consigliare alle matricole di fuggire all’estero dato che in Italia una offerta formativa ricca di contenuti non è possibile perché si pensa che costi troppo ?”.
Comunque la mobilitazione, che appare largamente condivisa, proseguirà – come ha confermato la Conferenza dei Presidi delle Facoltà di Ingegneria italiane – anche con manifestazioni di protesta, in particolare nei giorni in cui il DDL sarà discusso alla Camera.

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