P er un’analisi sul rapporto fra territorio e Forze di polizia, la realtà della Capitale offre un osservatorio di grande rilievo. In questo contesto, tra le priorità da affrontare, il Silp intende mettere al centro dell’attenzione lo sbilanciamento gravoso tra centro e periferie. Basta segnalare i parametri seguenti per comprendere la situazione.
A Roma centro sono insediati diversi commissariati ogni due chilometri quadrati, a fronte di una densità di popolazione esigua. Concretamente, ne beneficia una realtà sociale di livello medio alto, oltre ai lavoratori degli uffici che rappresentano le strutture istituzionali, gli Enti, i grandi gruppi economici.
In linea di principio, nulla da eccepire. Corretto proteggere il “cuore” di una metropoli. Altrettanto ineccepibile, però, segnalare che, nelle periferie, i commissariati attivi sono chiamati a coprire territori di 113 km quadrati, spesso gravati da intensità abitative altissime. Un quartiere per tutti, il Casilino: sfiora i 400mila abitanti censiti e, a questi, va sommato il mondo variegato e cangiante dei cosiddetti ‘irregolari’.
Ecco perché serve una ridistribuzione delle forze, mentre chi organizza sembra pensare ancora con la testa di 50/60 anni fa, quando – primi fra tutti – andavano tutelati i palazzi del potere.
Questo è un dato oggettivo. Null’altro vi è da aggiungere: anche se, sotto il punto squisitamente politico, non si può tralasciare d’individuare tali scelte come scelte di natura classista.
E’ inevitabile, del resto, individuare anche nell’azione dei sindaci che si sono succeduti parte della responsabilità per la cattiva organizzazione delle Forze di polizia sul territorio. Tra i motivi di tale responsabilità, l’aver avallato l’approvazione di piani urbanistici in cui i grandi assenti sono stati gli spazi dedicati a servizi essenziali, dalle postazioni di Polizia e Carabinieri alle scuole. Tra gli svariati casi si veda, ad Est di Roma, la rapidissima realizzazione di un quartiere di circa 50mila residenti che, di fatto, risulta essere esclusivamente un dormitorio.
Grave non intravedere, inoltre, un’altra responsabilità delle Amministrazioni comunali che – è bene non scordarlo – da qualche anno partecipano direttamente alle attività di sicurezza urbana, con i propri delegati dal sindaco: prediligere, cioè, un sistema di sicurezza più attento verso i propri bacini elettorali a scapito di altri. In questo senso, parlano non poche ordinanze.
Su tante questioni territoriali, comunque, il Silp di Roma è sceso direttamente in campo e, dove sono emerse esigenze di sicurezza, ha anche fatto manifestazioni pubbliche. A Tor Bella Monaca, ad esempio, il Silp è intervenuto apertamente, offrendo il proprio contributo a livello mediatico. Lo spirito di ogni intervento, però, è sempre stato finalizzato ad offrire all’ambito decisionale, alle competenze della politica, le soluzioni possibili alla soluzione di problematiche.
Il Silp può manifestare e rendere disponibile il proprio contributo. Circa un anno fa, questo sindacato è stato in grado di fornire un piano dettagliato per ristrutturare e riorganizzare il sistema di sicurezza della Capitale. Tutto a costo zero. Tutto a partire da gli status quo. Due commissariati e una caserma dei Carabinieri, in tre chilometri quadrati, sono uno spreco o no? Il Silp non ha mai smesso di porre questioni che – ad essere chiari – si riverberano anche sulla inamovibilità dei colleghi, incidendo così anche sulla mobilità interna.
Tante lodi per quel lavoro, ma nulla più.
Il Silp di Roma, tra l’altro, ha mosso accuse precise anche sul poliziotto di quartiere: quella che poteva divenire una buona occasione d’intervento e che si è rivelata, alla fine, una vicenda fallimentare. Infatti, con costi importanti sono stati formati poliziotti, un migliaio circa, presso la Scuola di Pescara. Dovevano permettere l’azione di 160 pattuglie al giorno. Oggi ne escono non più di otto. Perché? In questo modo, non si è sprecato denaro pubblico?
La verità è una: il poliziotto di quartiere ha vissuto il tempo di uno spot elettorale. Al contrario, quella figura conteneva in sé un progetto positivo: il poliziotto che vive a stretto contatto con i cittadini e la loro realtà.
Il Silp ritiene che la ‘persona’ sia al centro di ogni istanza e, in questo senso, coniuga il binomio sicurezza/legalità. Un binomio che, se si usa la testa, mostra attitudini separate e distinte. Ci può essere sicurezza, infatti, anche nell’illegalità: non sono pochi i territori del nostro Paese che possono apparire molto sicuri. A ben guardare, però, lo sono perché controllati dalla criminalità organizzata che – come molti operatori sanno – non ama richiamare l’attenzione con atti efferati laddove vive e vegeta.
La legalità, invece, è rispetto delle regole, è l’impostazione di una filosofia di vita, in un dato contesto di un periodo storico. In America del Nord, una volta, era legale la schiavitù. Ciò non toglie che si giudichi quella norma incivile, disumana. Non sempre, insomma, la legalità risponde al più ampio bisogno comune. Essa va attualizzata, e deve compenetrarsi nel maggior numero di specificità componenti la società che la esprime.
Tornando a temi inerenti il territorio romano, tra le criticità maggiori che pesano sul binomio sicurezza/legalità oggi vi sono tutte quelle situazioni di corruzione che coinvolgono molte attività, dagli appalti alla gestione delle strutture. Sintomatico, in questo senso, il caso del Cafè de Paris di via Veneto, a Roma, uno dei simboli più alti e noti in tutto il mondo, finito nelle mani di famiglie di ’ndrangheta.
Se, poi, si esce dalla Capitale, da Frosinone a Latina, si avverte il predominio della criminalità organizzata che, sempre di più, trova più conveniente inserirsi nelle attività attinenti alla cosa pubblica, piuttosto che nella filiera del privato.
Il binomio sicurezza/legalità è legato a tutto questo. Quando si fa riferimento non più allo Stato ma a “terze persone”, per qualunque attività, per avere giustizia, per un posto di lavoro, per avere una casa, in un regime di illegalità soffusa, ma dilagante, la sicurezza passa in secondo ordine.
Ecco perché il Silp si muove – forse unico tra i sindacati di Polizia – mettendo al centro della propria azione la persona in sé. A Roma il Silp non è mai stato avulso dal contesto sociale; non ha mai imboccato la semplificazione di sindacato corporativo, ma ha dispiegato un’azione rivolta a tutte le possibili realtà, come nello stile e nella tradizione Cgil. D’altronde non si può scindere l’essere poliziotto dall’essere cittadino. Questa filosofia, in ordine pubblico, favorisce l’incontro e non lo scontro.
Questa filosofia medita, naturalmente, anche un rapporto articolato e di collaborazione con chi è delegato alla sicurezza urbana. Una questione complessa che – per essere brevi – si deve oggi affrontare non prima di aver chiarito una condizione: quali siano i limiti di azione del delegato alla sicurezza. In caso contrario, ecco creata la sovrapposizione, l’accavallamento che stravolge le leggi. La legge n. 121/81 indica, senza dubbio alcuno, di chi sia la responsabilità della sicurezza. Essa spetta alla figura del questore. Questo modello è un modello civile.
Con l’intromissione sempre crescente dell’ambito politico, le acque si sono intorbidite. Non può cioè esistere che il sindaco dica al questore: “Là servono tre Volanti”. In questo modo si mina tutto il sistema. Un esempio. In questi ultimi anni si è registrata una continua richiesta di ‘pattuglioni’ antiprostitute; ed è evidente che il problema non può essere risolto così. Infatti, a seguito di mesi e mesi di continui pattuglioni (per due o tre volte a settimana, è stato impegnato quasi l’intero sistema repressivo della Capitale), sarebbe interessante rivolgere al Campidoglio alcuni quesiti. Si è riusciti a censire le prostitute che sono a Roma? Quante prostitute sono state rimpatriate? Quante multe sono state elevate? Quante di queste multe sono state pagate?
Ebbene, il Comune afferma di aver elevato alle prostitute decine di migliaia di multe. Basterebbe andare a verificare, per scoprire che ne saranno state pagate nemmeno cento. Il perché è presto detto: chi, con lo status di ‘irregolare’, pagherebbe una multa?
Basta questo per affermare che senza una legge nazionale, che regolarizzi la situazione della prostituzione, questo tema è semplicemente irrisolto. Fintanto che ogni sindaco compilerà le proprie ordinanze in base alle proprie esigenze e, in non pochi casi, il questore sarà visto come intralcio all’attività di propaganda dell’ambito politico, non si riuscirà a fornire risposte idonee.
A Roma, le prostitute saranno al massimo 300, con un ricambio periodico tutto interno ai confini europei: ad esempio, dall’Italia alla Spagna, e viceversa. In questo scenario, ciò che è paradossale è che ci si trova ad agevolare i trans. Perché? Se fermi un trans a Roma, dove al Cie (Centri di identificazione ed espulsione) non esiste il padiglione dedicato alla loro accoglienza, il fermato dovrebbe essere portato a Milano. Domanda: e chi lo fa?
I sacrifici sono doverosi, ma gli slogan non li incoraggiano. Serve una consapevolezza istituzionale. Il Silp Roma lavora perché si verifichino le condizioni per un tale risultato.
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