Dal 1977 dedico il mio tempo libero al volontariato della Protezione Civile. Ho partecipato nel corso dei miei lunghi anni di volontariato a varie emergenze (Sarno, Basilicata e Campania, Piemonte, Val D’Aosta e Liguria, Molise, Umbria, Marche... potrei continuare ma ritengo superfluo), “rubando” sempre e comunque il mio tempo libero solo ed esclusivamente alla mia famiglia (che mi ha sopportato e condiviso), ai miei interessi personali, o hobby che dir si voglia, senza mai vedere alcuno di quei “nani” che ora sul trespolo predicano e pontificano. Questo è un insegnamento di vita che trasmetto ai miei figli ed ai miei volontari.
Ritengo opportuno, e forse anche necessario, portare a conoscenza dei più anche l’altro lato del mondo della Protezione Civile, quello dei volontari; quello che per convenienza, per sottacenza, per servilismo e, diciamolo chiaro, per interesse, per riuscire a mandare avanti la baracca elemosinando i contributi perché crede in quello che fa, applaude e magnifica il “capo”, il “dirigente massimo”, quello per intenderci che alla fine ti fa avere quanto ti serve (che comunque sarebbe un tuo diritto) per mandare avanti la baracca.
Vorrei, per sommi capi, rendere nota la nostra personale esperienta.
Non solo gli “antichi” (terremoto Umbria-Marche del 1997), ma anche gli antenati hanno pianificato la ricostruzione a tre tappe, o saltelli che dir si voglia: tenda, containers o prefabbricati, case. Ve lo dice uno che nel giugno 1976 a Trieste, in una manifestazione di piazza, inconsciamente urlava “dalle tende alle case”; già a ottobre del medesimo anno mi ero ricreduto!!! Non è possibile, non esiste a meno che non si voglia indurre alla fuga la popolazione. Ricordiamoci che oltre alla priorità sopra detta, vi è un’altra che da noi ha fatto scuola: prima le fabbriche, dopo le case e alla fine le chiese. Solo così non avremo mai più scenari d’abbandono, non avremo mai più cattedrali nel deserto, costruite per il nulla e per nulla. Lo sperpero del denaro pubblico parte da questo, parte dal ricompattare il tessuto sociale, da una pianificazione attenta e seria del Dipartimento, già in fase di studio preliminare sui possibili grandi eventi e sciagure. Non si può, come si usa dire, “navigare a vista”, è da anni che strumenti informatici, sofisticati, ci danno la possibilità di navigare meglio!
Il terremoto abruzzese ha dato a noi volontari l’impressione che non si abbia voluto, per convenienza personale o per apparizione propria, applicare ed ampliare alcuni protocolli già in vigore, che danno veramente il senso che siamo una grande squadra. Certo abbiamo trovato i Com, ma quello che a noi ha fatto veramente impressione è stato che questi erano letteralmente bloccati dal Dicomac ove il Dipartimero era “escluso” da tutto quanto costruito negli anni. A riprova di ciò vi faccio presente che la seconda colonna mobile, partita dalla mia regione, già nella giornata del 6 aprile è stata fermata, per tutta la notte dal 6 al 7 aprile, in una piazzola di sosta dell’autostrata perché nessuno sapeva dove inviare i soccorsi! Aberrante a dir poco.
Perché il Dipartimento non ha coordinato sul campo, così come previsto dalla legge, il “sistema”? Perché si è volutamente delegato ai vari Prefetti, militari, ecc. e chi ne ha più ne metta, i compiti di coordinamento? Perché gli ordini e le indicazioni arrivavano da tutte le parti e sempre contraddittorie tra loro? Come mai in nessun Com abbiamo visto un sindaco o assessore o rappresentante della comunità locale? Noi volontari siamo stati preparati ed istruiti per ritrovare, presso ogni Com, una figura referenziale locale che ci accompagni nel corso di aiuto e di emergenza, indicandoci le priorità e le necessità.
Quanto sono solo alcune considerazioni sulla fase emergenziale, ma - ed è quello che a noi più preoccupa - è il dopo, è la fase successiva alla stabilizzazione nelle tendopoli che lascia allibiti, è constatare che anche questa volta nulla abbiamo imparato, nulla abbiamo recepito, nulla ci sta spronando a migliorare e a far sì che il nostro Paese viva tranquillo.
Ci ostiniamo a raccontare fandonie dicendo “dalle tende alle case” (new town), sradicando così i concetti fondamentali del vivere e dell’essere città, paese, comunità. Perché si è subito abbandonata l’idea di delegare a ogni Regione una parte della fase post-emergenza, dando così la possibilità ai terremotati di avere un tetto (dal Friuli e dal Trentino Alto Adige erano pronti dei prefabbricati in legno da installare in brevissimo tempo!).
Parliamo tanto di “modello Friuli”, modello Umbria-Marche, ma perché, se siamo veramente una squadra, non accettiamo i consigli, le esperienze, la professionalità della panchina, delle riserve che hanno già avuto modo di sperimentare effettivamente e fattibilmente, al di sopra e al di là della politica, come si può gestire una ricostruzione ove l’interlocutore diretto tra il cittadino e le Istituzioni è il sindaco e non, come nel caso dell’Abruzzo, un commissario già oberato da numerosissime cariche contemporanee che gioco forza non può assolvere a pieno il mandato ricevuto.
Si badi bene, un commissario che fa parte di una squadra di governo, lo stesso governo che, predicando bene e razzolando molto male, con decreto 112/2009 ha tagliato 4,5 milioni di euro al fondo per il monitoraggio sismico previsto dalla legge 244/2007; ridotti da 510 milioni a 270 milioni di euro i fondi per la difesa del suolo; soppressi i finanziamenti di 151 milioni di euro destinati alla prevenzione e difesa del suolo della Sicilia e della Calabria; soppresso il fondo di 45 milioni di euro per il ripristino del paesaggio e la difesa del suolo previsto dall’art. 2, comma 404, della legge Finanziaria 244/2007; soppresso il fondo di 15 milioni di euro per la difesa del suolo dei piccoli Comuni e, dulcis in fundo, ridotti i fondi per la messa in sicurezza degli edifici scolastici rispetto ad un fondo generale di 100 milioni di euro istituito con la legge Finanziaria 244/2007, il piano antisismico è stato rifinanziato individuando uno stanziamento pari al 5% - non più il 10% - del piano per le grandi infrastrutture.
San Giuliano non ha insegnato nulla, non abbiamo capito niente! Vogliamo le grandi opere, il grande ponte sullo stretto, per poi far sfilare i volontari come sul passante di Mestre...
Voglio ribadire un concetto: i terremoti non si possono ancora prevedere, ma certamente possiamo sapere con un certo dettaglio, dove avverranno e che tipo di danni provocheranno.
Tutti noi sapevamo e conoscevamo il grado di sismicità de L’Aquila, sul cui territorio le leggi antisismiche erano state promulgate nel 1953, e tutti avremmo dovuto conoscere anche lo stato di conservazione degli edifici pubblici e privati, ma se l’esempio che ci deriva ora dallo Stato è quello sopra descritto... lasciamo perdere; io, i miei volontari e tutti noi “fannulloni” sempre e comunque saremo in prima linea ad aiutare chi ha bisogno, augurandoci comunque che il tornaconto politico in qualcuno non prevalga sulla necessità e sui bisogni di tutti.
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