Le linee guida della discussione
negli organismi statutari
Il terzo Congresso del Silp-Cgil dovrà affrontare e definire le linee guida sulle politiche contrattuali e rivendicative, di seguito indicate, su cui sarà avviata la discussione negli organismi statutari eletti.
• Il rinnovo contrattuale normativo ed economico;
• il rinnovo del biennio economico scaduto e di quello in scadenza;
• il secondo livello di contrattazione;
• le carriere ed i profili professionali;
• i ruoli tecnici;
• le pari opportunità;
• il sistema previdenziale ed il trattamento di fine rapporto;
• la salute e la sicurezza sul lavoro;
• la disciplina.
Le politiche per il rinnovo
dei contratti
Il solco tracciato nel 2008 dalla Conferenza di organizzazione del Silp per la Cgil sul tema fondamentale dei diversi livelli di contrattazione può ritenersi oggi più che mai valido e, per questo, programmaticamente perseguibile. Ciò in ragione del fatto che molti degli elementi di discussione trattati in quell’occasione e successivamente sintetizzati e formalizzati nel documento approvato dalla Conferenza stessa, non hanno trovato ad oggi applicazione alcuna nell’ambito dei pochi processi negoziali seguiti alla sua approvazione.
Non vi è dubbio che qualche risultato sia stato in parte raggiunto, vedasi le innovazioni apportate con la firma dell’ultimo Anq, ma tutto ciò non è sufficiente per poter definire migliorato sostanzialmente il quadro normativo cui fa capo la Polizia di Stato e, per molti aspetti, l’intero Comparto Sicurezza. Vero è che la definizione della coda contrattuale integrativa del D.p.r. 170/2007 ha in parte corretto il quadro complessivo collegato alle retribuzioni del personale, aggiungendo un terzo scaglione all’assegno di funzione, ma è altrettanto vero che i benefici sono stati goduti soltanto da una parte, numericamente esigua, degli operatori del settore Sicurezza: per il resto non si è trattato che di adeguare il compenso relativo all’ora di lavoro in regime straordinario, riallineare l’assegno di funzione ai 27 anni anziché ai precedenti 29 anni, in linea con quanto avvenne per l’assegno dei 19 anni, anticipato a 17. Stessa cosa dicasi per l’adeguamento del buono pasto.
In una situazione paradossale in cui la parte economica del Contratto di Lavoro è scaduta al 31 dicembre 2009 ed in cui, per il successivo contratto, non si intravedono spiragli che lascino immaginare il sopraggiungere di adeguati miglioramenti economici, il Silp per la Cgil deve porre in essere iniziative di lotta che, incalzando l’attuale esecutivo, possano trovare una positiva soluzione all’attuale situazione. Il governo, con una decisione arrogante in contrasto con i proclami e con le chiacchierate operazioni di facciata, ha ritenuto opportuno “incentivare” l’intero Comparto Sicurezza stanziando soltanto le risorse necessarie per garantire un nuovo biennio di vacanza contrattuale. Marginalizzazione delle esigenze degli operatori della sicurezza, improvvisazione, tagli di risorse, minacce di chiudere unilateralmente i contratti, strumentali espressioni di solidarietà e risicati margini d’iniziativa, sono i gravi elementi della politica dell’esecutivo con cui il sindacato deve oggi fare conti.
La strada, affinché il sindacato in Polizia possa realmente definirsi tale e, quindi, possa operare utilizzando tutti gli strumenti propri del sindacato, passa attraverso la piena e completa libertà sindacale. D’altro canto in una condizione estremamente avversa come l’attuale - che vede il governo distante dalle reali necessità del Paese nell’ambito della sicurezza e della legalità e che ignora anche le proteste di piazza del 50% degli operatori del Comparto - sembra giunto il momento di iniziare a discutere di forme più incisive di lotta, che facciano pesare le tematiche sindacali e che possano rappresentare un reale passo in avanti nella democrazia e nelle stesse dinamiche contrattuali. Nuovi avanzati strumenti di confronto, capaci di porre al centro dell’attenzione politica le tesi del sindacato ed in grado di conquistare maggiori spazi informativi presso i media. Elementi questi che, se rapportati all’attuale processo contrattuale, possono rappresentare un concreto passo avanti, poiché garantirebbero maggiore forza ai rappresentanti dei lavoratori nell’ambito del confronto con la parte pubblica.
Il modello contrattuale attualmente applicato al Comparto Sicurezza è oggettivamente superato e, per questo, avrebbe bisogno di una riforma radicale che sia, ovviamente, accompagnata da una complessiva rivisitazione e semplificazione delle normative che regolano le attività della Polizia di Stato (Regolamento di Servizio, Regolamento di disciplina, ecc.). La Parte Pubblica non può continuare a rivestire una posizione di netto predominio sotto il profilo decisionale rispetto alle parti con le quali dovrebbe confrontarsi: con un Ministro della Funzione Pubblica che detta i tempi della contrattazione e, cosa ancor più grave e pericolosa, giuridicamente titolato a determinare autonomamente gli esiti della contrattazione.
Le modifiche introdotte dal Decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195 (attuazione dell'art. 2 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di procedure per disciplinare i contenuti del rapporto di impiego del personale delle Forze di polizia e delle Forze armate) e del decreto legislativo 30 maggio 2003, n. 193 (Sistema dei parametri stipendiali per il personale non dirigente delle Forze di polizia e delle Forze armate), seppure migliorative rispetto al passato, appaiono lacunose, inadeguate e sperequative rispetto alle complessive esigenze di razionalizzazione dei processi di cui la categoria sente il bisogno; ciononostante, possono rappresentare una solida base di partenza per snellire, ammodernare ed omogeneizzare le procedure contrattuali.
Oggi, il Comparto Sicurezza aspira ad avere un proprio modello sindacale democratico, libero da condizionamenti e con margini di intervento più ampi; un modello sindacale fortemente legato al mondo confederale, con dinamiche di confronto al passo con quelle esistenti nella Pubblica amministrazioni. L’esigenza di adeguarsi alle altre Polizie europee non può essere ostacolata da vecchie logiche militariste, poiché se così continuerà ad essere, non solo non si faranno i necessari passi avanti nell’ambito delle retribuzioni, ma ne soffrirà anche l’efficienza dell‘attività di contrasto alla criminalità.
E’ indubbio che la riforma della Polizia di Stato sia stata un enorme passo avanti per la democrazia del Paese e per i diritti dei lavoratori di Polizia, ma è giunto il momento di intervenire per adeguare e rafforzare la legge 121/81 alle necessità attuali ed a quelle future. E’ indispensabile ampliare i margini di democrazia, riformando quegli articoli che, allo stato, appaiono superati. Anche quei provvedimenti correttivi di cui si è già parlato, che hanno indubbiamente contribuito a migliorare il sistema contrattuale e, con esso, le condizioni di lavoro degli operatori, oggi più che mai devono essere riformati, pena l’impossibilità di rispondere in modo adeguato e razionale alle esigenze complessive del Comparto.
Ferma restando l’esigenza di vedere quantificati in modo chiaro gli stanziamenti economici che la legge Finanziaria destina annualmente al Comparto Sicurezza, sarebbe utile individuare idonei meccanismi “vincolanti” per la parte pubblica, che consentano di avviare e concludere le trattative contrattuali entro tempi certi. Sulla questione sarebbe utile rivedere anche i parametri di calcolo della vacanza contrattuale. Strumento, quest’ultimo, che non remunera dignitosamente il disagio economico derivante dal ritardato o mancato rinnovo del contratto di lavoro.
Anche il D.d.l. n. 1.167, sul riconoscimento della Specificità, peraltro sancita dal precedente esecutivo attraverso il “Patto per la Sicurezza”, siglato il 31 luglio 2007 e fortemente voluto dal Silp per la Cgil, appare una operazione del tutto strumentale e propagandistica da parte di chi non ha ritenuto di “riempire” di contenuti economici il provvedimento, rimandando a “successivi provvedimenti legislativi” le occorrenti risorse finanziarie. Analogamente sono da ricercare idonei meccanismi che rendano la stipula dell’Anq automatica o immediatamente consequenziale alla sottoscrizione del contratto normativo e che sanzionino l’Amministrazione qualora tali tempi non vengano rispettati. Occorre dare certezza applicativa alle norme contrattuali già scritte, lasciando meno spazio alle interpretazioni soggettive o alla ampia discrezionalità dell’Amministrazione. E, d’altro canto, pare ormai imprescindibile la richiesta di retribuzioni che siano all’altezza di tali scelte; ancora è grave il divario esistente con le altre Polizie europee, alle prese con dinamiche criminali equiparabili alle nostre, ma alle quali viene riconosciuta indiscutibilmente una maggiore dignità.
In tale ottica, il pressante impegno delle Forze dell’ordine dovrà trovare giusta risposta nel capitolo della Specificità della categoria, per cui si dovranno prevedere nelle leggi Finanziarie contestuali ai rinnovi contrattuali, opportuni, specifici stanziamenti per il Comparto Sicurezza.
A questo proposito, avendo registrato alcune indiscrezioni circa la presunta volontà di una parte del governo di applicare al personale delle Forze di polizia le norme del D.l.vo n. 150 del 27 ottobre 2009 che riguardano la misurazione e la valutazione delle “performance” individuali e collettive, e, quindi, la distribuzione delle risorse destinate al trattamento accessorio, sulla base delle tre fasce previste dal citato provvedimento, ci siamo recentemente visti costretti a chiedere al Ministro dell’Interno un suo orientamento al riguardo, dal momento che l’applicazione della predetta normativa, oltre ad essere illegittima, determinerebbe un ingiusto danno economico ad operatori che stanno svolgendo un ruolo importante nel garantire più elevati livelli di sicurezza ai cittadini. Illegittima sarebbe pertanto l’applicazione di questo complesso di norme perché l’art. 1 del citato decreto fa espresso riferimento all’art. 2, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 per individuare le Pubbliche amministrazioni alle quali si applica la riforma, e fa espresso riferimento all’art. 3 del predetto decreto legislativo 165/2001 per individuare le Pubbliche amministrazioni, tra le quali rientrano le Forze di polizia, che continuano ad essere disciplinate dai rispettivi ordinamenti, ed alle quali, dunque, la riforma non si applica.
Disastrosa, dal punto di vista degli strumenti di incentivazione del merito e, quindi, dal punto di vista dei riflessi economici per il personale, risulterebbe l’applicazione agli operatori delle Forze di polizia di una norma che già prevede, in astratto, che il 25% del personale delle fasce di base è escluso da qualsiasi trattamento accessorio collegato alla performance individuale. Una norma di dubbia legittimità per i lavoratori in generale, ma assolutamente inaccettabile per funzioni, come quelle di Polizia, che vengono esercitate spesso in condizioni di elevato disagio e rischio, e per certi aspetti senza soluzione di continuità, con riferimento agli obblighi connessi alla qualifica di agenti o ufficiali di Polizia giudiziaria attribuita al personale di quella fascia.
In questo caso verrebbe messa in discussione la specificità delle funzioni di Polizia se, attraverso ardite e improbabili interpretazioni della legge, si dovesse applicare la citata normativa al Comparto Sicurezza. Una specificità che per ora è riconosciuta soltanto nella legge, e che verrebbe cancellata prima ancora di essere concretamente riconosciuta. Motivo per cui siamo in attesa di un fattivo impegno perché nell’ambito dell’esecutivo si scelga l’unica strada possibile di incentivazione del merito per gli operatori di Polizia, quella del contemporaneo riconoscimento dell’impegno dimostrato e dei risultati raggiunti.
Parallelamente non pare essere più rinviabile una politica della casa, che non pregiudichi ulteriormente i lavoratori del Comparto, la cui elevata mobilità è sempre stata oggetto di sottovalutazione da parte dei governi che non hanno mai investito seriamente in tale ambito. Una politica di agevolazione edilizia che possa “accompagnare e sostenere” - in un momento in cui si chiede ai lavoratori di Polizia un più intenso impegno –, la forte mobilità che l’attuale condizione sembra dover richiedere.
La gestione della mobilità
del personale
Oggi non è più tollerabile rimanere a “guardare” un’Amministrazione che procede al trasferimento “a domanda” del personale senza che il sindacato abbia in mano il benché minimo strumento di verifica sulla metodologia posta in essere nel processo di individuazione del personale da movimentare. Pertanto, è necessario che i criteri sulla mobilità del personale diventino materia di contrattazione affinché, proprio nella sede contrattuale, si fissino criteri oggettivi e tempi certi nell’ambito dei quali operare i trasferimenti.
Analogamente a quanto si propone per la mobilità del personale, si ritiene necessario che anche il congedo per la formazione, l’aspettativa per motivi personali, le assegnazioni temporanee (ex art. 7), rientrino nel novero delle materie per le quali la contrattazione di primo livello ne determini vincolanti criteri di concessione. Tali istituti, che incidono fortemente sulla vita personale di ciascun lavoratore, oltreché su quella professionale, non possono rientrare nel novero delle “concessioni discrezionali” penalizzando così, come sempre più spesso accade, chi ne ha diritto rispetto a chi ne gode per “discrezione”.
Su questi temi servono regole chiare che fissino confini oltre i quali, a tutela del diritto di tutti i potenziali beneficiari, la discrezione rivesta il ruolo di componente particolarmente marginalizzata.
Prendendo atto del fatto che, tale argomento, è stato affrontato dall’art.12 del nuovo Anq, si rende oltremodo necessario accelerare il processo di “sperimentazione” dell’esenzione dall’impiego nei servizi notturni e serali esterni del personale ultra cinquantenne, ovvero, con almeno 30 anni di servizio. Ciò al fine di valutarne l’effettiva incidenza in termini di disimpegno numerico degli organici e la successiva, ed eventuale, estensione di tale esenzione anche dai servizi notturni e serali “interni”.
In ogni caso paiono necessari nuovi strumenti di tutela per quel personale che, per ovvie ragioni di riservatezza, non assurge all'attenzione dell'opinione pubblica e, conseguentemente, non trova gratificazioni economiche o di crescita professionale come qualsiasi altro lavoratore del Comparto. Può sembrare paradossale che, per esempio, chi svolge un lavoro così delicato come il “servizio di protezione”, non possa avere dei riconoscimenti che possano valere per la progressione di carriera; appare pertanto giunto il momento di riconoscere una forte specificità a questi operatori.
Sotto il profilo del miglioramento e della semplificazione del meccanismo attraverso il quale contrattare la parte economica, ferma restando la parziale validità dell’attuale sistema stipendiale, è ineludibile l’esigenza di intraprendere un percorso che consenta di portare a compimento quel processo avviato con l’adozione del sistema stipendiale basato sui parametri. Un processo riformatore che sani le sperequazioni del sistema (l’appartenente alla qualifica apicale di un ruolo che passa per concorso alla qualifica iniziale del ruolo immediatamente successivo beneficia di un parametro stipendiale inferiore rispetto a quello già posseduto). Di converso, per sanare ulteriori illegittime sperequazioni retributive ancora evidenti tra il personale avente pari qualifica, e non sanate dalla parametrazione, occorrera ripristinare l'esatta applicazione della norma contrattuale già prevista dall'art. 2, c.22/bis del Dl n. 387/87 convertito con l. 472/87 così citata: “a tutto personale con trattamento stipendiale inferiore a quello spettante al pari qualifica avente pari o minore anzianità di servizio ma promosso successivamente è attribuito il trattamento stipendiale di quest'ultimo”.
Per queste ragioni è necessario perfezionare il sistema parametrale intervenendo su due punti fondamentali:
1. il parametro di riferimento non può più essere legato esclusivamente alla qualifica rivestita ma deve trovare ulteriore riscontro anche nell’anzianità di servizio;
2. occorre individuare gli strumenti attraverso i quali ridurre la forbice che, contratto dopo contratto, divide sempre più i parametri più alti da quelli più bassi.
Per raggiungere questi ambiziosi obiettivi sarebbe oltremodo utile completare il processo di semplificazione dei ruoli della Polizia di Stato, avviato con i precedenti riordini delle carriere (Decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 197 - Attuazione dell'art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino delle carriere del personale non direttivo della Polizia di Stato - Decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 334 - Riordino dei ruoli del personale direttivo e dirigente della Polizia di Stato).
Partendo dal presupposto che, in molti casi, a qualifiche diverse corrispondono identiche funzioni, particolarmente utile per il raggiungimento di una equa razionalizzazione dei parametri sarebbe un’opera di snellimento delle qualifiche nell’ambito di ciascun ruolo.
Occorre ampliare il ventaglio di materie da trattare nel 2° livello di contrattazione, individuando meccanismi attraverso i quali le determinazioni dei lavoratori, di cui il sindacato si fa portavoce, rapportate anche alle complessive esigenze dell’Amministrazione, abbiano per quest’ultima carattere vincolante.
Non più rinunciabile è l’esigenza di inserire, tra le questioni oggetto del confronto contrattuale, le dinamiche legate all’organizzazione del lavoro e alla distribuzione dei carichi di lavoro. Su questo tema, senza ombra di dubbio, può e deve essere giocata una partita importante con l’Amministrazione a tutela dei lavoratori, al fine di uscire dalla confusione esistente.
La contrattualizzazione del personale dirigente, non può continuare a rimanere uno slogan! Il sindacato deve porre in essere ogni utile iniziativa affinché anche il personale appartenente al ruolo dirigente sia assoggettato alle stesse dinamiche contrattuali del personale dei rimanenti ruoli della Polizia di Stato.
Resta inoltre del tutto irrisolto l’anacronistico, ma ancora attuale, regime delle disdette sindacali ancora condizionato al 31 ottobre di ogni anno, obbligando i lavoratori a rimanere iscritti ad un’organizzazione sindacale, anche quando con essa viene meno l’indispensabile rapporto fiduciario.
Il secondo livello di contrattazione
L’Accordo nazionale Quadro ricopre un carattere assolutamente strategico per le affermazioni dei diritti dei lavoratori e per dare certezze al lavoro e alla qualità dell’impegno professionale. Pur nella precisa coscienza del fatto che si tratta di “accordo” tra parte datoriale e rappresentanze, si ritengono prioritari alcuni obiettivi da perseguire e da affermare, affinché l’Anq si configuri definitivamente come uno strumento efficace nei rapporti tra Amministrazione e rappresentanze sindacali a livello periferico e centrale:
• la certezza dei rinnovi degli accordi scaduti, contestualmente ai rinnovi della parte normativa dei contratti nazionali;
• l’inserimento di forme e percorsi che favoriscano l’emersione del “mobbing” e dei fenomeni di malessere del personale, in seguito ad eventi traumatici e non (situazioni di particolare stress professionale e/o familiare). Occorre creare gli spazi contrattuali per giungere ad accordi anche decentrati per l’individuazione di figure istituzionali in grado di monitorare e seguire distonie e disagi;
• prevedere la possibilità di inserire materie di formazione negli accordi decentrati ed un budget dal quale attingere per la formazione a livello locale;
• accentuare le forme di contrattazione, poiché lo spazio a disposizione dell’Amministrazione per cambiamenti programmati di turni è ancora troppo ampio. In quest’ottica occorre rafforzare le certezze dei lavoratori. Le varie enunciazioni secondo le quali l’orario può essere anticipato e posticipato di un’ora per motivi di ordine e sicurezza pubblica e che detto orario, ex ante, può essere programmato secondo le tipologie degli articoli 8 e 9, espone i lavoratori ad una fluidità eccessiva per la quale con ampia discrezionalità il turno di lavoro può collocarsi su ogni quadrante orario. Tale flessibilità attribuisce alla parte datoriale una doppia potestà, senza confronto: sia nelle informazioni preventive sugli orari, sia sugli impieghi estemporanei in turni serali e notturni;
• avvicinare le norme contrattuali ai tempi correnti, contemplando l’obbligo degli uffici di avvisare il personale sulle variazioni di ogni giorno, non solo per quelle ricadenti nei fine settimana, considerando ormai superati i dettami di un regolamento di servizio risalente al 1985. Tale obiettivo può essere raggiunto soltanto sincronizzando il rinnovo dell’Anq con la parte normativa contrattuale;
• dare efficacia all’impiego ex art 12 dell’attuale Anq del personale con particolari requisiti, elemento aggiunto nell’ultimo Accordo ma enunciato già nel contratto del 2002, ritenendo assolutamente insufficiente qualsiasi forma sperimentale che di fatto disincentiva la parte datoriale al reperimento di ulteriori risorse da destinare alla categoria;
• individuare con certezza i soggetti deputati alle contrattazioni per i Reparti Mobili poiché detti lavoratori, per l’estrema mobilità del loro impiego, sono soggetti a continue variazioni di orario anche nei lunghi periodi che trascorrono in aggregazione fuori sede;
• creare efficaci meccanismi di emersione dello straordinario programmato che spesso si nasconde dietro quello emergente;
• inserire meccanismi che rendano più efficace e più gratificante dal punto di vista normativo l’istituto della reperibilità programmata, la cui lunga durata e i cui criteri ampi ne trasformano l’applicazione in mero emolumento che sottrae professionalità e rende il personale impiegabile per ogni esigenza anche non operativa.
Rimangono inoltre del tutto carenti i criteri sanzionatori verso la parte datoriale nei casi di mancata applicazione o violazione degli accordi. Solo, infatti, con forme vincolanti e procedure sanzionatorie sarà possibile dare certezza all’applicazione di ogni possibile “accordo”.
Le carriere
Il Silp per la Cgil continua a battersi per la realizzazione di un processo di riordino che riguardi contemporaneamente le funzioni, le professionalità e le modalità di avanzamento in carriera degli operatori di Polizia. Ciò nasce dalla consapevolezza che interventi parziali sui singoli ruoli e qualifiche disgiunti dai contenuti delle funzioni svolte, finiscono, inevitabilmente e irreparabilmente, per creare continue sperequazioni nel sistema delle carriere degli appartenenti al Comparto Sicurezza e Difesa.
Un Comparto, come noto, composto da Amministrazioni a status civile e militare, con funzioni, come nel raffronto tra Sicurezza e Difesa, spesso profondamente diverse.
E’ parere del Silp per la Cgil che il riordino delle carriere debba costituire un’opportunità per migliorare e razionalizzare l’attuale sistema preposto alla sicurezza del Paese anche attraverso la separazione del Comparto Sicurezza dalla Difesa come necessità per una reale e concreta valorizzazione delle diverse professionalità e per realizzare un moderno ed efficiente sistema di sicurezza interna ed esterna che corregga gli attuali sprechi, in un quadro di compatibilità di risorse umane ed economiche più generali di cui il Paese ha bisogno. E’ ferma intenzione del Silp per la Cgil, di costruire un progetto che disegni uno sviluppo complessivo e duraturo delle carriere che sia credibile dal punto di vista delle risorse necessarie. Per questo è necessario avviare in tempi rapidi l’iter per l’emanazione di una legge delega sul riordino delle carriere. Pertanto l’attuale governo deve confermare e garantire la disponibilità immediata delle risorse economiche stanziate dai precedenti esecutivi a partire dal 2005 ad oggi in forma strutturale quantificando, al più presto, le ulteriori risorse economiche aggiuntive per la più compiuta realizzazione di un credibile progetto di riforma. Detto riordino dovrà altresì eliminare le sperequazioni economiche e normative relative ai trattamenti derivanti dalla diversità di status nonché dalla mancata riqualificazione rispetto al pubblico impiego prevedendo, altresì, anche la contrattualizzazione della dirigenza.
Il Silp ritiene, da sempre, indispensabile un processo riformatore: fondato sulle funzioni complessive, che riguardi tutti i ruoli;
- che assicuri un corretto rapporto tra mansioni esercitate e qualifica rivestita;
- che tuteli la specificità professionale degli operatori del Comparto, e realizzi forme di riqualificazione delle carriere, analogamente a quanto avvenuto nel pubblico impiego;
- che valorizzi, anche attraverso lo strumento dei concorsi interni, il possesso del titolo di studio valido per accedere alle qualifiche superiori, che elimini gli eventuali disallineamenti, e consenta la riduzione delle qualifiche in relazione alle posizioni funzionali;
- che tuteli le anzianità acquisite, e riconosca trattamenti economici compensativi, nel caso di operatori che, per i limiti numerici posti all’avanzamento o per l’anzianità anagrafica, raggiungano la qualifica superiore solo al termine della carriera;
- che comunque garantisca, per il personale di tutti i ruoli, la nomina alla qualifica superiore il giorno antecedente a quello di cessazione dal servizio per limiti di età, infermità o decesso;
- che realizzi il ruolo unico degli agenti, assistenti e sovrintendenti: valorizzando economicamente un ruolo che è stato penalizzato dal decreto dei parametri, favorendo per gli agenti la possibilità di avanzamento in relazione al titolo di studio posseduto, garantendo agli assistenti capo comunque la promozione alla qualifica superiore prima della cessazione dal servizio, garantendo, in via transitoria, modalità di accesso alle carriere superiori per gli appartenenti al ruolo dei sovrintendenti che hanno superato prove di esame o selettive (es. 15°, 16°, 17°, 18° corso e similari) evitando illegittime sperequazioni in termini di progressione di carriera tra pari qualifica;
- che attribuisca funzioni direttive ordinarie a qualifiche dell’attuale ruolo degli ispettori, garantendo, nella fase transitoria, percorsi di carriera che tengono conto delle posizioni acquisite e del titolo di studio posseduto;
- che attribuisca al personale con le nuove funzioni direttive, il trattamento economico della dirigenza, sulla base di quanto previsto dall’art. 43/ter della legge 1° aprile 1981, n. 121;
- che garantisca modalità di accesso alla carriera dirigenziale da parte del personale con le nuove funzioni direttive, in relazione al merito ed al titolo di studio conseguito;
- che unifichi in un’unica carriera dirigenziale i ruoli degli attuali funzionari di Polizia, garantendo al personale di questa carriera:
a) l’estensione delle disposizioni normative e di quelle relative ai trattamenti economici accessori stabilite dagli accordi sindacali del personale non dirigente;
b) la perequazione dei trattamenti rispetto al personale delle altre carriere dirigenziali in regime di diritto pubblico;
c) l’adeguamento dell’indennità di valorizzazione dirigenziale;
che preveda procedure negoziali, per la definizione dei trattamenti economici e normativi del personale della carriera dirigenziale;
- che completi la fase attuativa del riordino in tempi brevi, in modo da garantire una sostanziale continuità a tutto il processo di riforma;
- che preveda una maggiore distinzione dei comparti sicurezza e difesa, al fine di garantire una maggiore articolazione dei trattamenti, in relazione alla diversità di funzione svolta.
Queste le direttrici di un progetto in grado di rispondere alle esigenze di modernizzazione delle Forze di polizia e di riconoscimento e valorizzazione delle professionalità espresse dagli operatori del Comparto.
Il Silp è pertanto costantemente impegnato a conseguire questi obiettivi per un razionale e moderno processo di riordino dei ruoli e delle funzioni degli operatori di Polizia.
I ruoli tecnici
Le condizioni di disagio dei lavoratori del ruolo tecnico-scientifico e professionale della Polizia di Stato impongono una radicale rivisitazione del Dp.r. 337/82, che dovrebbe partire dal recupero della dignità della funzione “tecnica”, intesa come insieme di competenze, quale frutto di anni d’esperienza nella funzione, e di specifica preparazione derivante dalla formazione propria di un individuo. Quanto premesso, evidentemente, non può non avvenire che rispondendo alla seguente domanda: servono ancora i ruoli tecnico-scientifici e professionali in un apparato di Polizia moderno ed efficace?
La risposta, senz’altro positiva, viene dall’osservazione del trend di crescente importanza che il ricorso alle tecnologie assume nell’esercizio di ogni professione, arte e, non certo per ultimo, nel diritto, dove dibattimenti nei processi penali e riapertura di casi archiviati, dipendono dalle perizie delle parti in causa o dall’analisi del Dna, e relegano sempre più in secondo piano quella concezione di un investigatore forte solo del suo “fiuto”.
Riteniamo, pertanto, prioritario definire quali delle funzioni tecniche esistenti siano ancora attuali ed utili, quali invece obsolete e, se nel caso, quali di nuove sia opportuno introdurre. Una volta individuate le funzioni, pare essere risolto uno dei problemi più gravosi che affliggono il personale appartenente al ruolo in esame, ovvero l’annosa questione dei profili professionali, datati ormai nel lontano 1985.
Codificati i profili professionali, si ottiene a cascata la chiave di lettura per individuare le nuove dotazioni organiche, cioè quel numero di operatori necessari per rendere funzionale il nuovo progetto di apparato tecnico-scientifico e professionale, con la conseguente riorganizzazione degli Uffici centrali e periferici. Ancora, la scelta del dove dislocare sul territorio dette funzioni tecniche, con la loro relativa consistenza numerica, segna la nascita delle piante organiche del ruolo, la cui attuale inesistenza è tra le ragioni di maggiore incertezza e frustrazione per gli appartenenti al ruolo.
Capitolo specifico è quello relativo alla formazione e all’aggiornamento del personale tecnico-scientifico professionale che, partendo dall’istituzione di una Scuola tecnica, sappia anche concretamente realizzare la possibilità di effettuare corsi altamente professionalizzanti presso Enti di Stato o privati, con cadenza almeno annuale.
Particolare delicatezza ed urgenza riveste l’irrisolta questione delle funzioni degli appartenenti al ruolo tecnico-scientifico e professionale, con specifico riferimento alle attribuzioni di Ps e Pg, la cui soluzione non è rinviabile.
Per il settore tecnico sanitario occorrerà dare dignità a coloro i quali hanno acquisito la qualifica di revisore attraverso un concorso interno, sciogliendo il nodo legato al possesso o meno del titolo di diploma di infermiere, che ha ingenerato un’inaccettabile confusione all’interno del medesimo ruolo.
Il Silp per la Cgil ritiene infine che una seria riforma del ruolo tecnico-scientifico e professionale, debba inevitabilmente prevedere una corposa fase transitoria, utile a superare le rigidità dovute alla mancanza di specifico titolo di studio, attraverso convenzioni con il mondo scolastico ed universitario (quando gli attuali collaboratori capo frequentavano la scuola media superiore, molti dei titoli di studio oggi giustamente richiesti per la progressione in carriera non esistevano), alla ingiustificata impermeabilità tra ruoli, in particolare con quelli a basso contenuto “tecnico” come per gli operatori, ed all’immotivato rifiuto dell’Amministrazione di avvalersi d’istituti utili alla mobilità dei tecnici, quali il cambio di ruolo per ragioni di servizio.
Le pari opportunità
La necessità di azioni forti e continue, sia propositive che di controllo dell'applicazione delle norme che garantiscono le pari opportunità dei lavoratori e delle lavoratrici, è ormai riconosciuta dal Silp-Cgil come una delle priorità politiche fondamentali. D’altro canto, la presenza delle donne nella Polizia di Stato (ferma al 15% della forza complessiva) subisce un forte attacco indiretto dalla legge 226/2004, che riserva la totalità dei posti messi a concorso per i ruoli iniziali nei Corpi di Polizia ad ordinamento civile e militare ai volontari a ferma breve. Nel tempo, ciò rischia di tradursi in un sensibile affievolimento dei diritti già riconosciuti.
Il Silp-Cgil deve assumere il massimo impegno perché la Polizia di Stato non torni ad essere un territorio a cittadinanza quasi esclusivamente maschile ed una simile evenienza rappresenterebbe un enorme passo indietro, in controtendenza con le direttive di pari opportunità che riconoscono alla donna pari e pieni diritti per l'accesso al lavoro. Valorizzare le differenze deve rappresentare un fattore di qualità che innalza il livello dei servizi e risponde con più efficacia ai bisogni e alle esigenze dei cittadini e delle cittadine.
Il Silp-Cgil deve mettere in campo ogni energia possibile per conseguire la rimozione di tutte le forme esplicite ed implicite di discriminazione, prima fra tutte la normativa che limita fortemente l’assunzione di personale femminile. D’altronde, per il raggiungimento di un obiettivo di tale portata, come pare essere quello della realizzazione sostanziale di pari opportunità sul lavoro, inciderà molto la capacità della nostra organizzazione di mettersi in rete con i soggetti della società civile o delle Istituzioni con i quali collaborare soprattutto in un’ottica di crescita culturale complessiva che, in un ambiente lavorativo a prevalente presenza maschile, non deve essere affatto trascurata.
Una battaglia per migliorare la qualità del lavoro, fornire nuove opportunità di sviluppo professionale, rimuovere tutti gli ostacoli che ancora si frappongono alla valorizzazione professionale e allo sviluppo di opportunità di carriera, così come sviluppare pratiche di lavoro e organizzative di qualità che valorizzino l'apporto dei lavoratori e delle lavoratrici, non potrà che garantire al Silp-Cgil il raggiungimento di nuove frontiere che consentano di superare il tradizionale intendimento secondo il quale siano solo le norme sulla “tutela della famiglia” a garantire pari opportunità. In realtà, anche se queste norme indubbiamente hanno il pregio di consentire la possibilità di armonizzare lavoro e famiglia, non sono l'unico strumento da considerare per la realizzazione delle pari opportunità. La donna non può essere confinata nel ristretto ambito di lavoro e famiglia, ma deve esserle garantita l'opportunità di dispiegare la propria personalità sia nel lavoro che nella società civile.
Pare essere giunto il tempo di avviare un confronto sulla possibilità di immaginare forme di lavoro part-time, per tutti quei settori che possano agevolmente usufruire di questa modalità di lavoro, ragionando anche sulla possibilità di ampliare le fasce di orario flessibile.
Comunque il D.p.r. 51/2009 ha recentemente previsto alcune disposizioni che ampliano la normativa sulla tutela della maternità e paternità, che debbono essere salutate non come il punto di arrivo, ma come un ulteriore gradino verso la realizzazione di un ventaglio di diritti che intonino la specificità delle mansioni con più situazioni soggettive e personali. Ad esempio sarà importante prendere atto di quanto sia elevato il numero di personale separato e divorziato che debba esercitare la potestà genitoriale nelle più diverse forme dell'affidamento condiviso, considerando che in queste situazioni spesso si vive una situazione di “monoparentalità” alternata, la quale può risultare ben più gravosa di una gestione parentale condivisa all'interno di una famiglia.
Un aspetto essenziale e da non sottovalutare è l'inclusione delle misure dirette a favorire le pari opportunità nel lavoro e nello sviluppo professionale anche ai fini di azioni propositive nelle materie oggetto di contrattazione decentrata. Forse liquidata in precedenza con pochi frettolosi e pleonastici richiami alla normativa vigente, è materia nella quale il Silp-Cgil può far valere la propria differenza in termini di analisi e proposta legata sia a principi generali di parità che a esigenze particolari di territorio. Le possibilità offerte dalla contrattazione decentrata e il monitoraggio e la ricognizione delle problematiche realizzate dal Comitato e delle Commissioni pari opportunità sono strumenti da valorizzare maggiormente ed il Silp-Cgil deve impegnarsi perché ciò avvenga completamente, soprattutto in materia di tutela della salute e partecipazione a corsi di formazione ed aggiornamento.
In un’ottica di avanzamento verso un ambiente di lavoro per tutti più accogliente, è forse giunto il momento di iniziare la discussione sull’adozione, come ormai avviene per quasi tutte le Pubbliche amministrazioni, del “Codice di Condotta” contro le molestie sessuali, cogliendone l’essenza di strumento adatto a prevenire atti e comportamenti, anche verbali, a connotazione sessuale.
Un sindacato che si prefigga obiettivi così importanti ha bisogno di veder crescere la presenza di donne al proprio interno a tutela dei diritti delle lavoratrici. Una accresciuta partecipazione numerica e sostanziale è essenziale per indirizzare con forza l'attività sindacale verso la creazione di un sistema di regole all'interno della Polizia di Stato che rispetti il ruolo ed il lavoro delle donne.
Il sistema previdenziale ed il trattamento di fine rapporto
Sebbene recentemente una norma strutturale dell’attuale ordinamento abbia assunto una rilevante portata equitativa rispetto alle altre Forze di polizia (art. 18 del Dpr 170/2007, peraltro riconducibile ad analoga disposizione prevista nella legge 12 maggio 1995 n. 195: “Al fine di garantire uniformità alle disposizioni recate dai decreti del Presidente della Repubblica di cui all’art. 2 del D.l. 12/05/1995 n.195, le Amministrazioni ed i Comandi generali, provvedono a trasmettere reciprocamente e tempestivamente le proprie disposizioni applicative emanate sulle materie oggetto di contrattazione e di concertazione”), permangono rilevanti sperequazioni e disomogeneità tra gli ordinamenti di tutto il Comparto Sicurezza che pare giunto il tempo di porre serio rimedio. Oggi, quella della completa perequazione pare essere una condizione ineludibile che conduca ad eliminare ogni difformità di trattamento - come quello che in altri settori del Comparto Sicurezza garantisce ritenute previdenziali destinate ad un fondo le cui somme, poi rivalutate, incrementeranno il trattamento pensionistico.
Oggi, distante da ogni possibile equità, pare essere il trattamento di ausiliaria - che in presenza di requisiti di idoneità fisica, consente a domanda di permanere in servizio oltre i 60 anni di età, per ulteriori 5 anni - riservata ai militari dell’Arma e della G.d.F., (D.lgs.165/97) che consente un trattamento economico di favore, prevedendo un ulteriore assegno pensionistico, pari al 70% della retribuzione spettante ad un pari grado in servizio effettivo. Pur con la distinzione tra i due ordinamenti (militare e “amministrazione civile ad ordinamento speciale”), non sembrano esistere serie motivazioni per cui detto beneficio ancora vigente, basato su una facoltà, non possa essere esteso anche al personale della Polizia di Stato. La facoltà di permanere in servizio (trattenimento) dispiega effetti anche in favore dei pubblici dipendenti, limitatamente ad un periodo di ulteriori 2 anni (art.72 legge 133/2008), rispetto alla data del pensionamento d’ufficio.
Da un siffatto quadro normativo, appare evidente che i lavoratori della Polizia di Stato e delle altre Forze di polizia ad ordinamento civile, rimangono esclusi dalla possibilità di raggiungere il livello di trattamento pensionistico dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e dei pubblici dipendenti. Nella Polizia di Stato la questione, stante la vigente normativa, assume aspetti ancor più rilevanti per i destinatari del sistema di calcolo misto (meno di 18 anni di contributi al 31/12/1995) e quello contributivo (neo assunti dal 1/1/1996) che sono penalizzati da un trattamento pensionistico calcolato con un coefficiente di trasformazione corrispondente all’età di 60 anni.
L’effetto che nel tempo dispiegheranno le ultime riforme sui trattamenti di pensione, sembrano suggerire una seria discussione sulla necessità di un impulso normativo che sostenga la possibilità volontaria di ricorrere almeno ad uno dei citati istituti, al fine di incrementare la rendita tenuto conto che i primi accessi al pensionamento dei destinatari del sistema misto sono prevedibili dal 2015. Pertanto, in un’ottica di stringente perequazione, applicando a fondo l’art.18 del Dp.r. 170/2007, pare necessario puntare sulla estensione nel nostro ordinamento dell’art. 58 del Testo Unico D.p.r. 1092/73, che, vigente nel Comparto ad ordinamento militare, prevede in caso di riforma dal servizio un assegno pari alla retribuzione, in attesa della liquidazione del trattamento pensionistico .
Non solo le norme di legge creano divari insanabili ed ingiusti, nell’attuale ordinamento anche alcune circolari interpretative hanno determinato posizioni previdenziali diversificate tra il personale proveniente dal disciolto Corpo delle Guardie di Ps e quello entrato nei ruoli successivamente alla legge di riforma 121/81.
Per sanare le evidenti disparità di trattamento, anche rispetto alle altre Forze di polizia ad ordinamento militare, pare giunto il momento di contrattare uno strumento giuridico che consenta, anche al personale della Polizia di Stato in possesso permanentemente delle qualifiche di Polizia Giudiziaria e di Pubblica sicurezza, ai fini dell’acquisizione del diritto a pensione di anzianità di cui all’art. 6, comma 2, del D.lgs 30 aprile 1997 n. 165 e per la determinazione della misura del trattamento di pensione, l’applicazione, qualora più favorevoli, delle disposizioni stabilite negli artt. 53 e 54 del Testo Unico approvato con D.p.r. 29 dicembre 1973 n.1092 e quelle contemplate nel capo II dello stesso D.p.r. ed ogni altra norma in materia previdenziale prevista per le Forze di polizia ad ordinamento militare.
Circa il trattamento di fine servizio, è necessario puntare alla valorizzazione dell’indennità pensionabile - recentemente equiparata dall’art. 17, comma 23, D.l 1 luglio 2009 n. 76 al trattamento economico fondamentale - nel calcolo del trattamento di pensione puntando anche a definire, finalmente, una corretta interpretazione riguardo i 6 scatti sullo stipendio perché possano avere effetto anche sull’indennità di buonuscita, superando le contraddizioni delle altalenanti interpretazioni delle diverse Inpdap territoriali.
Non meno grave pare la possibilità che s’intervenga sul cosiddetto “tasso di sostituzione” tra l’ultima retribuzione percepita in servizio e il primo trattamento pensionistico che, in futuro, rischia di generare pensioni miserabili senza che intervengano i trattamenti pensionistici integrativi.
E’ ormai il tempo di serrare le fila per ottenere l’avvio immediato della previdenza complementare, tramite le procedure di negoziazione e concertazione attivate, secondo quanto già previsto dall’art.40 del D.p.r. 254/99, al fine di definire la costituzione di uno o più fondi pensione per il personale delle Forze armate e delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare.
Deve essere studiata attentamente la possibilità che non resti preclusa al personale della Polizia di Stato, che raggiunga i requisiti per l’accesso al pensionamento, la presentazione dell’istanza di “certificazione dei diritti acquisiti”, tendente a preservare da riforme future il diritto di accesso al pensionamento ed il calcolo del trattamento stesso.
La salute e la sicurezza sul lavoro
In tema di sicurezza sul lavoro occorre superare il preoccupante affievolimento dell’incisività delle norme vigenti a tutela dei luoghi di lavoro e dei lavoratori. Una normativa che, pur essendo stata recentemente ridimensionata dalle modifiche apportate dall’esecutivo al decreto legislativo 81/08, se venisse rispettata con maggiore attenzione, contribuirebbe senz’altro a migliorare la vivibilità e la sicurezza dei lavoratori che prestano la loro attività all’interno del Comparto Sicurezza.
Analogamente deve essere superata la frammentata individuazione dei datori di lavoro all’interno del Dipartimento della Ps condizione che rende di fatto difficile attribuire, in modo certo, le responsabilità di violazioni alla normativa vigente e di conseguenza rende difficilmente applicabili le previste prescrizioni e sanzioni.
Una condizione, peraltro, amplificata dal fatto che l’attività di controllo sul rispetto delle norme sulla sicurezza sui luoghi di lavoro, all’interno degli ambiti lavorativi del Comparto Sicurezza, non viene svolta dalle Asl territoriali ma bensì da quegli organi del ministero dell’Interno che adempiono alle funzioni di vigilanza sanitaria. Come gli Uffici centrali Ispettivi di Vigilanza costituiti in seno alla Direzione centrale Vigili del Fuoco e del Dipartimento della Ps (art. 12 comma 3 D.lvo 81/08).
Dall’esperienza raccolta dal 1994 (introduzione del D.lvo 626/94) ad oggi (vige il D.lvo 81/08) pare evidente che l’efficacia della vigilanza sanitaria risulta essere molto indebolita, in particolare perché i medici ed i tecnici con competenze ispettive, oltre a dipendere funzionalmente e gerarchicamente da Direzioni centrali del ministero dell’Interno, non possono garantire una capillare presenza sul territorio nazionale a causa dell’esiguità delle risorse umane e tecniche a propria disposizione. E’, dunque, fondamentale rivendicare una modifica della normativa che continua a vincolare i luoghi di lavoro della Polizia di Stato ad una vigilanza sanitaria affidata ad organismi dipendenti dal ministero dell’Interno.
Dalle novità introdotte dal D.lvo 81/08, che assegnano alle organizzazioni sindacali della Polizia di Stato un ruolo importante e delicato, emerge un’ulteriore responsabilità per il Silp-Cgil: nella valutazione del decreto ministeriale da emanare, bisognerà evidenziare le peculiarità organizzative che dovranno essere tenute in considerazione per l’applicazione delle disposizioni contenute nel D.lvo 81/08 nei riguardi della Polizia di Stato. In quel contesto le organizzazioni sindacali avranno la possibilità di migliorare i contenuti assolutamente inadeguati del decreto ministeriale 450/99, ancora in vigore, che venne a suo tempo emanato senza il coinvolgimento sindacale.
Un appuntamento che il Silp-Cgil dovrà affrontare con grande determinazione e con l’obiettivo di riuscire a rendere maggiormente funzionale l’applicazione delle norme che tutelano la sicurezza sui luoghi di lavoro anche per la Polizia di Stato.
Un passaggio importante, anche perché il nuovo Anq (art 23) ha stabilito finalmente che entro sei mesi dall’introduzione di quel decreto ministeriale dovranno essere eletti i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls).
Un notevole passo avanti che consentirà di svincolare le Segreterie provinciali dei sindacati dalla facoltà di svolgere tali funzioni che, occorre ricordare, devono essere svolte da rappresentanti eletti dai lavoratori e formati obbligatoriamente dal datore di lavoro per svolgere tale incarico.
L’impegno del Silp-Cgil non deve trascurare l’importante ripercussione positiva sulla vivibilità del Comparto Sicurezza, che si potrebbe ottenere grazie ad una seria ed attenta politica mirata al rispetto della normativa sulla sicurezza sui luoghi di lavoro. Un impegno che deve vedere rafforzato lo sforzo organizzativo del Silp-Cgilsu questo argomento in attesa della nomina dei nostri Rls.
Sin da ora sarà pertanto necessario costruire capillarmente sul territorio nazionale un forte rapporto di collaborazione con i Rls dei lavoratori dell’Amministrazione civile del ministero dell’Interno, che come noto sono già stati nominati.
La disciplina
La normativa sulla responsabilità disciplinare con i relativi meccanismi sanzionatori e di censura incidono, loro malgrado, sui valori fondamentali della persona - costituzionalmente garantiti - inevitabilmente compromessi dalla natura sanzionatoria delle pene, le quali gravano sullo stato professionale e d’impiego del soggetto.
La efficacia lesiva ed invasiva insieme della sanzione, la compromissione di valori fondamentali del soggetto, le ulteriori pregiudizievoli conseguenze che ne scaturiscono, sono chiari indici della delicatezza e della rilevanza della materia disciplinare.
Come noto, il Silp per la Cgil, si è fermamente opposto alla modifica del D.p.r. 737/81 sulla base delle proposte avanzate dall’Amministrazione in adempimento della legge delega 16 gennaio 2003 n. 3, art. 40, perché quella proposta era caratterizzata da evidenti elementi militaristi e antidemocratici.
Si conferma però la necessità di procedere inderogabilmente ad una revisione dell’attuale normativa, giuridicamente superata ed insostenibile, che risente di una impostazione datata e che non garantisce gli adeguati livelli di trasparenza e di tutela dell’incolpato. Una revisione, questa, da affidare ad una legge delega, attraverso un confronto parlamentare finalizzato alla determinazione dei fini, dei principi e dei criteri direttivi ai quali ispirare il processo riformatore del regolamento di disciplina ed ai quali il governo si dovrà uniformare nell’espletamento del proprio mandato.
Un processo riformatore necessario ad adeguare l’attuale sistema “disciplina” nella Polizia di Stato ad esigenze di trasparenza e democrazia indispensabili a garantire un moderno e giusto livello di tutela per chi, nel corso della sua vita professionale, si trovi sottoposto ad un procedimento disciplinare e, contestualmente, un opportuno livello di tutela per la stessa Amministrazione.
Ciò premesso, atteso l’articolato quadro di norme che sovrintendono alla convivenza di una organizzazione complessa quale è la Polizia di Stato, considerato che anche il Regolamento di servizio dovrebbe essere adeguato alle attuali esigenze, la riforma del Dp.r. 737/81, a parere del sindacato, dovrebbe ispirarsi ai seguenti principi.
1. Principi genenali:
Facoltatività. L’azione disciplinare è facoltativa rispetto all’azione penale che è obbligatoria.
Gradualità. Rispetto dei termini, delle regole, delle garanzie dell’incolpato (dove accusa e difesa sono sullo stesso piano in linea con i principi del sistema accusatorio e non inquisitorio), delle leggi esistenti (in particolare la legge 241/90 in merito l’accesso a tutti gli atti del procedimento da parte dell’incolpato)) e di una più equa composizione dei C.p.d. e C.c.d. tra rappresentanti dell’Amministrazione e dei sindacati.
La sanzione deve tendere più alla rieducazione che alla punizione fine a se stessa.
2. Norme di attuazione:
• Occorre comprendere, preventivamente attraverso una veloce inchiesta preliminare, le modalità di svolgimento dei fatti e le ragioni che sono alla base dell’azione disciplinare;
• occorre stabilire regole certe e procedure trasparenti da adottare in caso di contestazione, va altresì evitato che, durante l’esercizio delle garanzie difensive, per esigenze dell’Amministrazione, le spese sostenute dal difensore nominato dall’incolpato siano a carico del medesimo;
• omogeneità nell’applicazione del procedimento disciplinare e delle conseguenti sanzioni, al fine di evitare disparità di trattamento tra i lavoratori per fatti identici o analoghi;
• occorre tenere in considerazione i precedenti di servizio e disciplinari, le circostanze attenuanti ed aggravanti;
• il sistema sanzionatorio deve essere uniformato a quello previsto per i pubblici dipendenti;
• i termini del procedimento devono essere espressamente considerati perentori (non ordinatori), come sostiene la copiosa giurisprudenza, e devono essere uniformati a quelli del D.p.r. 3/57, al fine di non creare disparità di trattamento con gli altri dipendenti pubblici:
• In caso di procedimento penale:
- l’azione disciplinare è facoltativa;
- in caso di patteggiamento e/o rito abbreviato gli accertamenti disciplinari debbono essere ricostruiti ex novo;
• Occorre prevedere la possibilità di poter inoltrare, per i provvedimenti definitivi emessi dal Capo della Polizia, il ricorso gerarchico al Ministro dell’Interno, prima di presentare un ricorso giurisdizionale al Tar o un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica;
• in caso di ricorso giurisdizionale deve essere sospesa l’efficacia del provvedimento sanzionatorio.
FOTO: Daniele Tissone, Segretario nazionale Silp
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