“Il diritto penale municipale” (a cura di Roberto Acquaroli, Edizioni Università di Macerata, 2009, p. 88) è un agile volumetto che raccoglie di atti di un seminario, svoltosi nel marzo del 2009 a Macerata, sul nuovo ruolo che le amministrazioni locali hanno assunto nelle politiche della sicurezza, con particolare riferimento all’innovazione del potere di ordinanza dei sindaci dopo la riforma del testo unico degli enti locali del 2008 e alla costituzione di associazioni di cittadini con lo scopo di assicurare un più capillare controllo del territorio (cd. ronde). Su tali tematiche la produzione scientifica è ormai copiosa, ma “Il diritto penale municipale” si distingue sia per rigore scientifico, che per l’immediata comprensibilità dei suoi contributi anche ai non addetti ai lavori.
Lo scritto di apertura (“Paure urbane e nuovi dispositivi di sicurezza”) è di Massimo Pavarini, professore ordinario di diritto penale a Bologna, il quale vede aprirsi due possibili scenari politici di fronte ai fenomeni di disordine e degrado sociale propri delle nostre città: il primo, che fa leva sulla paura come strumento principe di governo politico, finisce per invocare una ‘democrazia penale’ (definito governo politico attraverso l’insicurezza e la paura); il secondo che, investendo su una nuova cultura politico-amministrativa della sicurezza a livello locale, confida in un governo della sicurezza sempre più parsimonioso della risorsa repressiva (il governo politico dell’insicurezza e della paura). Le politiche della sicurezza nel nostro Paese sono state finora pensate ed attuate sul modello della ‘democrazia penale’: “Governare la cosa pubblica attraverso la paura e i sentimenti d’insicurezza costringe in primo luogo a produrre, in termini crescenti, la risorsa utile e sempre scarsa della paura e dell’insicurezza. Il governo attraverso l’insicurezza e la paura ha sempre più bisogno di insicurezza e paura [...] e confida alla fine nella sola forza della criminalizzazione diffusa e di massa”. In tal modo, il criterio di accesso ai diritti proprio dello stato sociale viene rovesciato, passando dalla rimozione delle condizioni materiali ostative alla piena tutela dei diritti di tutti (propria del welfare state), alla determinazione dei nuovi criteri di accesso alla tutela dei diritti dei (soli) meritevoli: l’esclusione di talune persone dai benefici dello stato sociale diviene possibile mediante la criminalizzazione del loro status: “La pratica della nuova esclusione sociale impone l’adozione di una cultura e di una strategia di difesa da chi è escluso”, che inevitabilmente viene considerato pericoloso, e quindi da emarginare, allontanare, punire. Si tratta di un circolo vizioso che difficilmente, nel breve periodo, potrà essere interrotto, essendo necessario un radicale cambiamento di prospettiva nella considerazione delle politiche della sicurezza, la quale, infatti “può essere intesa e governata come bene pubblico solo nella produzione di maggiore ‘sicurezza dei diritti per tutti’, in primis di coloro – i più deboli – che soffrono di minore tutela dei propri”.
Seguono lo scritto di Pavarini, i contributi di Stefano Villamena (ricercatore in diritto amministrativo a Macerata) sulle problematiche relative alla nuova configurazione del potere di ordinanza dei sindaci dopo l’approvazione del pacchetto sicurezza del 2008 e di Carlo Ruga Riva (associato di diritto penale all’Università di Milano Bicocca) sulla tendenza delle forme di controllo penale a divenire sempre più pervasive: “Il comune denominatore delle disposizioni in commento è rappresentato dall’ampliamento soggettivo delle persone cui sono demandate funzioni repressive: privati cittadini associati in ronde, medici. [...] Più pene per tutti grazie ad una macchina di law enforcement che ai conduttori tradizionali (forze di polizia) va affiancando autisti improvvisati (milizie cittadine) e riluttanti (medici), in una spirale che potrebbe domani, chissà, toccare preti, avvocati, psichiatri chiunque sa dove si annida il deviante”.
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