Nel linguaggio di tutti i giorni è entrato da un po’ di tempo un nuovo termine inglese: la “privacy”. Ma cosa è la privacy?
La privacy è un diritto fondamentale oggi riconosciuto dall’ordinamento giuridico di tutti i Paesi europei e delle principali nazioni del mondo.
La sua affermazione come posizione giuridica tutelata ha richiesto un lento processo di riconoscimento in quanto, fino alla fine del 1800, la legge proteggeva esclusivamente il diritto di proprietà e tutelava le persone rispetto alle invasioni fisiche della loro abitazione.
Solo alla fine del 1800, negli Stati Uniti è stato riconosciuto il diritto a essere lasciati soli, cioè il diritto di impedire ad altre persone di invadere la sfera privata di ognuno di noi, indipendentemente dal luogo in cui tale violazione avveniva. Lentamente questo concetto è stato accettato e riconosciuto anche in Europa, anche se nel corso degli anni ha subito un’interessante evoluzione.
Fin dalla sua origine la privacy è stata intesa come uno strumento per proteggere la propria riservatezza e difendersi dai comportamenti invadenti di chi voleva violare quest’aspettativa al segreto. In un certo senso la privacy è lo strumento attraverso il quale ognuno di noi può disegnare un confine tra se stesso e gli altri (compreso il datore di lavoro).
Si tratta di una situazione giuridica che disciplina il modo in cui una persona vive in società nei confronti delle altre persone. Proprio per questo motivo il concetto stesso di privacy e il suo significato, nel corso degli anni, hanno subito profondi mutamenti, in relazione al mutare della società e degli strumenti tecnologici utilizzati comunemente.
Diventava invece sempre più importante evitare che altre persone (per altre persone si intende tutti, sia fisiche che giuridiche) potessero abusare delle informazioni riferite ad un soggetto, raccogliendole a sua insaputa e utilizzandole per finalità non consentite. Se non fosse garantita questa tutela, ognuno di noi sarebbe sottoposto a pressioni, richieste e potrebbe subire conseguenze negative che limiterebbero fortemente la sua libertà e l’esercizio dei suoi diritti.
Per questo motivo, nel corso del 1900, la privacy ha esteso il suo significato diventando uno strumento giuridico per garantire anche questa specifica situazione.
Il punto fermo di questa evoluzione è che ogni persona (anche noi Carabinieri) è titolare del diritto di disporre dei dati che la caratterizzano e che ne qualificano l’individualità (tendenze sessuali, opinione politica, fede religiosa, ecc.).
La privacy è diventata così il diritto a esercitare un controllo sulle informazioni che ci riguardano. In questo senso, la privacy consiste:
a) nel diritto di sapere se qualcuno sta raccogliendo informazioni sul nostro conto e per quale finalità desidera utilizzarle;
b) nel diritto di decidere se vogliamo acconsentire a questa raccolta e all’utilizzo o se preferiamo negare questo consenso.
Da questa evoluzione del concetto di privacy deriva l’attuale legislazione in materia di dati personali. La tutela della privacy oggi si occupa principalmente di garantire il diritto fondamentale di esercitare il pieno e consapevole controllo sui nostri dati personali.
Quando si parla di privacy quindi oggi non si fa riferimento solo al diritto alla riservatezza, ma anche al nostro diritto di scelta circa l’uso che vogliamo gli altri facciano dei nostri dati personali. Proprio per questo, oggi la privacy è considerata un presupposto fondamentale per esercitare tutti i diritti che lo Stato ci riconosce. Infatti, possiamo davvero sentirci liberi e privi di condizionamenti solo se possiamo essere certi che nessuno abbia raccolto informazioni sul nostro conto per motivi illeciti o senza il nostro consenso.
Per eventuali “motivi leciti”, il legislatore penale ha previsto una forma di tutela in tale senso, sostituendo l’istituto della comunicazione giudiziaria con l’informazione di garanzia, attraverso il quale una persona viene avvertita di essere sottoposta a indagini preliminari, ovvero che si stanno raccogliendo elementi sul suo conto, utili alla formulazione di una imputazione, che seppur effettivamente è indirizzata a garantire l’esercizio del diritto alla difesa soltanto per gli atti cui i difensori hanno diritto di assistere, nella prassi è sottointeso un diritto dell’accusato e del suo difensore ad apprendere, in prima persona, dei capi d’accusa o delle ipotesi di reato a suo carico. Anche il legislatore amministrativo ha previsto una simile forma di tutela con l’istituto dell’avviso di avvio del procedimento amministrativo.
Anche noi militari abbiamo il diritto di non rendere note a terzi, compresa la nostra Amministrazione, informazioni riguardanti la propria sfera personale. Vero è che non ci sono ragioni oggettive per opinare diversamente e perché dall’esame del diritto positivo non si rinvengono norme che limitano tale specifico diritto.
Infatti, nel momento in cui si è dovuto riconoscere anche ai militari gli stessi diritti proclamati per tutti i cittadini della Costituzione, si è preso atto che a mente dell’art. 3 della legge 382/1978 è possibile, con legge, introdurre limiti all’esercizio di alcuni diritti costituzionalmente garantiti: e non sembra per vero che vi siano, appunto, disposizioni che prevedono la limitazione dell’esercizio, in capo al militare, del diritto alla privacy.
Fatte queste premesse, ora occorre chiedersi se sia possibile indagare sulla vita privata di un militare (anche per verificare la condotta da questo tenuta fuori dall’orario di servizio). Per rispondere a questo quesito, occorre “indagare” sempre nel diritto positivo e in prima battuta, è il caso di prendere in esame l’art. 36 del regolamento di disciplina, secondo cui “il militare ha il dovere di tenere in ogni circostanza una condotta esemplare ed onorevole”, tale obbligo è stato posto in capo al militare in modo strumentale, ovvero per “salvaguardare il prestigio della Forza armata” (bene, quest’ultimo, indubbiamente di altissima valenza per l’ordinamento). La norma va letta, in combinato disposto, con quella di cui all’art. 10 dello stesso regolamento, laddove si afferma che “il militare deve astenersi, anche fuori servizio, da comportamenti che possono condizionare l’esercizio delle sue funzioni”. Donde il militare, evidentemente, anche nella vita privata ha il dovere di improntare il proprio comportamento in aderenza ai principi sopra proclamati. Appare pertanto pacifico che il militare debba tenere un particolare contegno anche nella vita privata, nel senso che non deve adottare un comportamento lesivo del buon costume o che possa pregiudicare la sua imparzialità.
Per buon costume s’intende quel concetto elastico dell’ordinamento, nel senso che cambia con l’evoluzione (o involuzione a secondo del libero punto di vista di ogni persona) della società, esso è il complesso dei principi di etica sociale e della morale media. Come autorevole dottrina (Gazzoni) evidenzia, il buon costume “è crierio di giudizio che si pone dalla parte della realtà sociale e non dalla parte dell’ordinamento”. Si può ben affermare che un comportamento è conforme al buon costume se la maggioranza dei consociati lo tollera, ad esempio: il seno scoperto di una donna (anche se carabiniere) sulla spiaggia non desta stupore negli altri bagnanti, l’omosessualità dichiarata non è contraria al buon costume ed eventuali discriminazioni sono fatto-reo, oggi nella trasgressiva provincia italiana, ricca di club privè per lo scambio di coppia, avere l’amante non è certo un danno al buon costume e quindi non arreca danni all’immagine dell’Istituzione, per i militari scapoli il problema non si pone proprio. Questi esempi sono indirizzati ai neo inquisitori che si aggirano nelle nostre caserme che forse, a causa dei loro problemi psicofisici, pensano di essere nell’ordine dei frati minori (che hanno il voto della castità) e no nell’Arma dei Carabinieri.
Per imparzialità s’intende che il militare, nello svolgere i suoi compiti, deve operare senza discriminazioni o favoritismi, pertanto non deve assumere comportamenti che possono compromettere il suo servizio: un militare che fa debiti con commercianti della propria giurisdizione, certamente non è nelle condizioni di svolgere il proprio servizio con imparzialità, e pertanto va trasferito, ed eventualmente anche punito, perché in questo caso ha certamente arrecato un danno all’Istituziome. Un militare che frequenta pubblicamente, e non in ragione del proprio ruolo, persone controindicate (non solo il ladro di galline anche il parlamentare pregiudicato) certamente va ripreso.
Un militare che assume un comportamento negativo non fa scaturire automaticamente una lesione al prestigio dell’Istituzione, per avere tale danno c’è bisogno, come previsto dalla dottrina maggioritaria, del cosiddetto strepitus, in altre parole che la condotta del militare abbia risonanza pubblica in maniera negativa. Per risonanza pubblica s’intende che dei fatti ne deve essere a conoscenza un bel numero di persone (non il comandante o l’intero personale del reparto, bensì la cittadinanza), le quali s’indignano per l’accaduto. Il classico esposto anonimo, come già analizzato nella delibera n. 190 del 16/3/2009 di quest’organismo, non fa perfezionare il sopracitato strepitus. Il delegato Tucci, con la sua dichiarazione di voto contrario, ha evidenziato che, a seguito di tali componimenti poetici che in altre Amministrazioni sono immediatamente cestinati, i nostri superiori, dando credito a dei vigliacchi, s’immergono in vere e proprie indagini, non disdegnano di effettuare investigazioni su materie squisitamente personali con uno zelo investigativo che, sfortunatamente, non usano per combattere la criminalità.
Volutamente, in quest’unile disamina della questione inerente la riservatezza della vita privata dei Carabinieri, non sono state richiamate le norme del vetusto regolamento dell’Arma, il quale soccombe alla presenza di norme gerarchicamente superiore e successive.
Questa breve analisi è frutto di alcune segnalazioni pervenute ai promotori da parte di alcuni militari che si sono visti violati i propri diritti, no di cittadini ma di uomini.
Per quanto esposto vi chiediamo di deliberare quanto segue:
1) di chiedere al Cub di voler confezionare una pregnante circolare e non un richiamo alle norme che sono quotidianamente violate dai più, che miri a tutelare il diritto alla riservatezza di tutti i militari della Regione Campania;
2) di interessare il Co.I.R.
Un militare ha il dovere di improntare il proprio comportamento, nella vita privata, in ossequio ai principi derivanti dal proprio status giuridico, ma è pur vero che non è consentito a nessuno svolgere investigaioni sulla vita privata, ovvero, sulle attitudini sessuali, opinioni pubbliche, appartenense etniche, credo religioso, ecc. di qualsiasi persona, qualora ciò accadesse, le condotte poste in essere integrerebbero fatti-reato.
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